Vaccini COVID: Perché gli Agricoltori del Ghana del Nord Dicono ‘No, Grazie’?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio, non fisico, ma di comprensione, in una parte del mondo spesso lontana dai nostri riflettori: il Ghana del Nord. Sapete, il Ghana è stato il primo paese dell’Africa subsahariana a ricevere i vaccini contro il COVID-19 tramite l’iniziativa COVAX, un evento che nel febbraio 2021 sembrava un faro di speranza. Eppure, quasi tre anni dopo, a dicembre 2023, solo il 44,3% dei ghanesi aveva completato il ciclo vaccinale primario (due dosi). E l’esitazione vaccinale? Alle stelle, toccando il 52,2% a livello nazionale nel 2022.
Mi ha colpito leggere uno studio recente che ha cercato di scavare più a fondo, concentrandosi su una categoria specifica e vitale per l’economia locale: gli agricoltori del Ghana del Nord. Perché proprio loro? Beh, l’agricoltura impiega circa il 73% della forza lavoro in quelle regioni e contribuisce all’80% del PIL locale. Capire le loro ragioni è fondamentale, non solo per la salute pubblica, ma anche per la stabilità economica. Se gli agricoltori si ammalano perché non vaccinati, la produttività cala, e le conseguenze si sentono.
Molti studi precedenti si erano concentrati sulle aree urbane o su popolazioni più istruite, spesso usando sondaggi online che, diciamocelo, tagliano fuori gran parte del mondo rurale. Questo studio, invece, ha usato un approccio misto: interviste approfondite faccia a faccia (o telefoniche) con 24 agricoltori (metà da aree rurali, metà urbane) e un questionario quantitativo basato sulla scala di Oxford per l’esitazione vaccinale. L’obiettivo? Dare voce direttamente a loro, capire le sfumature, le paure, le convinzioni dietro quella che viene definita “esitazione”.
La Sfida dell’Accesso e della Disponibilità
Una delle prime cose emerse con forza dalle interviste è la difficoltà pratica. Non è solo una questione di “volere” o “non volere” il vaccino. A volte, semplicemente, non è facile ottenerlo. Immaginatevi: lunghe code ai centri vaccinali, attese interminabili. Un agricoltore ha raccontato: “Non è facilmente accessibile. Quando vai, devi metterti in una lunga fila, e ti danno un orario preciso. Ma come agricoltore, hai lavoro da fare e altri obblighi.”
A questo si aggiunge la frustrazione per la scarsità dei vaccini. Alcuni hanno passato giorni in fila per poi sentirsi dire “sono finiti”. E chi ci torna più, dopo un’esperienza del genere? C’è anche la percezione, forse non sempre fondata ma significativa, che le persone nelle città (“Town people”) abbiano un accesso privilegiato rispetto a chi vive nei villaggi. Questo alimenta una sfiducia nel sistema sanitario che può avere ripercussioni anche quando i vaccini diventano disponibili.
Misinformazione e Credenze Locali
Poi c’è il capitolo, affascinante e complesso, della disinformazione e delle credenze radicate. Attenzione, qui non si parla necessariamente di fake news create ad arte per nuocere, ma spesso di informazioni imprecise condivise in buona fede, magari basate su esperienze passate o interpretazioni locali. Alcuni agricoltori, ad esempio, erano convinti che il COVID-19 fosse una malattia già conosciuta da tempo nelle loro comunità, con nomi locali come “Gbankogu” o “Diligu” o “Fiegfieg” (simili al catarro), e che si potesse curare con le erbe tradizionali.
“Noi Dagomba qui, conosciamo il Covid-19 come ‘kohanpieligu’, quindi avrei preso delle erbe locali prima di fare qualsiasi altra cosa“, ha detto uno di loro. Queste figure, a volte guaritori tradizionali o leader di opinione, hanno un’influenza enorme. Se loro credono nelle cure erboristiche, intere famiglie e comunità potrebbero seguirli, vedendo il vaccino come superfluo o addirittura estraneo.
Una Dose è Meglio di Due? La Preferenza per il Monodose
Un altro tema ricorrente è stata la preferenza netta per i vaccini monodose. Il motivo principale? La comodità. Niente seconde visite, niente appuntamenti da ricordare. “Preferisco quello che prendi una volta sola rispetto a quello per cui devi tornare“, è stato un commento comune. Ma non è solo praticità. Alcuni temevano che dosi multiple potessero “sovraccaricare” il sistema immunitario, altri erano preoccupati per gli effetti collaterali percepiti: se stai male dopo la prima dose, la voglia di tornare per la seconda svanisce. “Le persone che non si sentono bene dopo la prima dose potrebbero non tornare per la seconda. Quindi preferirei un vaccino che si prende tutto in una volta“, ha spiegato un intervistato. Persino un leader di un’organizzazione agricola ha confermato: “Preferiamo la dose unica a quella che devi ripetere“.
Paure e Dubbi sulla Sicurezza
Qui tocchiamo un nervo scoperto: la paura. Paura degli effetti collaterali, paura che il vaccino possa addirittura uccidere. Queste preoccupazioni non nascono dal nulla. Spesso sono alimentate da racconti, aneddoti, esperienze vissute o riportate all’interno della comunità. “Abbiamo sentito che il vaccino uccide le persone e introduce nuove malattie nel corpo“, ha confidato un agricoltore, spiegando perché non si era vaccinato nonostante gli operatori sanitari fossero passati più volte da casa sua.
Altri hanno citato casi specifici: “Anche un uomo in questa comunità è stato vaccinato ed è stato colpito profondamente, ed è stato mandato all’ospedale… e un’altra persona… è stata colpita gravemente dopo essere stata vaccinata“. Al di là della veridicità o della correlazione causa-effetto (spesso difficile da stabilire senza dati medici), queste storie hanno un peso enorme. Si aggiunge anche la preoccupazione economica: se il vaccino è gratis ma poi devi pagare per curare gli effetti collaterali in ospedale, il beneficio percepito crolla. Anche semplici effetti come dolori muscolari o debolezza, raccontati da altri, bastano a spaventare: “Se senti questo, ti spaventi e pensi che se lo prendo anch’io, sentirò questi effetti collaterali“.
Non aiutano, poi, i commenti negativi o dubbiosi provenienti da fonti inaspettate, come alcuni professionisti sanitari o notizie riportate dai media (anche social media), magari senza adeguata verifica. “Abbiamo sentito al telegiornale che alcuni vaccini non vanno bene, alcuni dottori li hanno disapprovati… Questo ci ha scoraggiato“.
“Qui il COVID Non C’è Più”: Complacency e Mancanza di Informazioni
Infine, c’è un senso crescente di complacency, la sensazione che il pericolo sia passato. Molti agricoltori ritengono che il COVID-19 non sia più una minaccia significativa, o che non lo sia mai stato veramente nella loro regione. “La malattia non è nemmeno presente in Ghana. Non capisco perché si continuino a somministrare i vaccini COVID“, ha affermato uno. Altri lo vedono come un problema “straniero”, “della terra dell’uomo bianco”.
Questa percezione è aggravata dalla mancanza di informazioni continue e accessibili, specialmente nelle aree rurali. “Ultimamente è tutto silenzioso riguardo al COVID-19. Non riceviamo più molte informazioni, specialmente nei villaggi… Non so come il settore sanitario possa fare in modo che queste informazioni continuino a circolare nelle nostre comunità“. Se non senti più parlare del problema, è facile pensare che non esista più o che non sia importante.
I Numeri Confermano le Parole
I dati quantitativi raccolti con il questionario confermano questo quadro complesso:
- Circa il 37,5% ha dichiarato che rimanderebbe la vaccinazione.
- Il 16,7% la rifiuterebbe del tutto.
- Solo il 12,5% ha mostrato un atteggiamento positivo verso i vaccini.
- Ben il 58,3% ha affermato che vaccinarsi contro il COVID-19 è attualmente “non importante”.
- Il 50% non raccomanderebbe il vaccino a familiari o amici.
Questi numeri dipingono un quadro di diffidenza e bassa priorità percepita, coerente con le ragioni emerse dalle interviste.
Cosa Ci Insegna Tutto Questo?
Questo studio ci ricorda potentemente che l’esitazione vaccinale non è un blocco monolitico. È un intreccio complesso di fattori: barriere logistiche (accesso, disponibilità), credenze culturali e sociali (misinformazione, cure tradizionali), preferenze individuali (monodose), paure (sicurezza, effetti collaterali) e percezione del rischio (complacency, mancanza di informazioni). Ignorare questa complessità significa fallire nelle campagne di salute pubblica.
Le raccomandazioni che emergono sono chiare e pratiche:
- Rendere disponibili più vaccini monodose, vista la preferenza espressa.
- Condurre campagne di informazione continue, usando le lingue locali e canali accessibili come la radio, per contrastare la disinformazione e mantenere alta l’attenzione.
- Migliorare l’accesso pratico, magari integrando i vaccini COVID nelle routine settimanali degli infermieri comunitari o potenziando la catena del freddo nei centri sanitari rurali (CHPS).
- Prioritizzare le popolazioni agricole nelle future emergenze sanitarie, riconoscendo il loro ruolo cruciale per la sicurezza alimentare.
Insomma, la storia degli agricoltori del Ghana del Nord è un monito: per affrontare sfide globali come una pandemia, dobbiamo ascoltare le voci locali, capire i contesti specifici e adattare le nostre strategie. Non basta avere i vaccini, bisogna costruire fiducia e rendere la scelta della salute la scelta più facile, anche per chi vive lontano dai riflettori.
Fonte: Springer