Esercizio e Stress: Perché Non Funziona Uguale per Tutti? La Risposta nei Geni
Lo stress, chi non lo conosce? Fa parte della vita, è una risposta fisiologica e psicologica a stimoli esterni. Ma avete mai notato come ognuno di noi reagisce in modo diverso? C’è chi sembra incassare colpi su colpi e rimanere in piedi (i cosiddetti resilienti) e chi invece vacilla più facilmente, diventando più suscettibile a problemi come ansia o depressione (i suscettibili). Questa differenza, amici miei, è un mix complesso di genetica, ambiente e fattori molecolari che stiamo ancora cercando di decifrare completamente.
Sappiamo tutti che l’esercizio fisico è spesso consigliato come un toccasana contro lo stress, un vero e proprio antidepressivo e ansiolitico naturale. E funziona, per molti! Ma, proprio come per la risposta allo stress, anche l’efficacia dell’esercizio non è uguale per tutti. Perché? Cosa succede a livello biologico quando alcuni traggono enormi benefici dall’attività fisica mentre altri sembrano quasi immuni ai suoi effetti positivi?
Per capirci qualcosa di più, abbiamo deciso di indagare, usando come modello dei topolini da laboratorio. Lo so, non siamo topi, ma questi piccoli roditori ci aiutano a studiare meccanismi biologici che spesso sono sorprendentemente simili ai nostri.
Mettere i Topolini Sotto Stress (Per una Buona Causa!)
Il nostro primo passo è stato creare un gruppo di topolini “stressati”. Li abbiamo sottoposti a quello che chiamiamo stress cronico da costrizione (CRST): per due ore al giorno, per 14 giorni, li abbiamo messi in tubi ventilati dove non potevano muoversi molto. Non è il massimo della vita per un topo, lo ammetto, ma è un modo standardizzato per indurre sintomi simili a depressione e ansia.
Dopo questo periodo, abbiamo valutato il loro comportamento con test specifici, come il Tail Suspension Test (TST) e il Forced Swim Test (FST). In pratica, misuriamo quanto tempo un topolino rimane immobile quando si trova in una situazione spiacevole (appeso per la coda o in acqua senza via d’uscita). Più tempo sta fermo, più è considerato “depresso” o in preda alla disperazione comportamentale. Come previsto, i topi stressati erano molto più immobili dei loro compagni non stressati.
Ma ecco il punto interessante: non tutti i topi stressati erano uguali! Usando un algoritmo di machine learning chiamato K-means clustering (una specie di sistema intelligente per raggruppare dati simili), abbiamo analizzato i risultati dei test TST e FST. Abbiamo scoperto che circa il 73% dei topi stressati rientrava nel gruppo dei “suscettibili allo stress” (SS), mostrando chiari segni di disagio. Il restante 27%, invece, pur avendo subito lo stesso stress, si comportava in modo molto più simile ai topi non stressati: erano i “resilienti allo stress” (SR).
La Ruota della Speranza: Esercizio Volontario
A questo punto, ci siamo concentrati sui topi suscettibili (SS). La domanda era: l’esercizio fisico può aiutarli a stare meglio? Per scoprirlo, abbiamo dato a metà di loro accesso libero a una ruota per correre (VWR – Voluntary Wheel Running) per quattro settimane. L’altra metà (sempre SS) non aveva la ruota e fungeva da controllo.
L’esercizio volontario è fantastico perché rispetta l’inclinazione naturale dei topi a correre e permette loro di farlo quando e quanto vogliono, senza forzature. Abbiamo notato, però, che i topi SS tendevano a correre un po’ meno dei topi sani, specialmente durante la notte (il loro periodo di attività), suggerendo forse una minore motivazione o capacità fisica dovuta allo stress pregresso.
Dopo le quattro settimane di “palestra” (o di relax per il gruppo di controllo), abbiamo rifatto i test comportamentali, aggiungendo anche l’Open Field Test (OFT), che misura l’ansia valutando quanto il topo evita il centro di un’arena aperta, e il Marble Burying Test (MBT), che valuta comportamenti ansiosi o compulsivi misurando quante biglie il topo seppellisce nella lettiera.

I risultati? Beh, di nuovo, contrastanti! In media, i topi che avevano corso (gruppo SS/Ex) mostravano miglioramenti significativi: erano meno “disperati” nel TST e FST, passavano più tempo al centro dell’arena nell’OFT (meno ansiosi) e seppellivano meno biglie nel MBT rispetto ai topi SS che non avevano corso. L’esercizio, quindi, sembrava funzionare!
Non Tutti Rispondono Uguale: SES vs SER
Ma la vera sorpresa è arrivata quando abbiamo guardato i dati individuali dei topi SS/Ex. Applicando di nuovo il K-means clustering, questa volta considerando tutti e quattro i test comportamentali, abbiamo scoperto due sottogruppi ben distinti:
- Circa il 47% dei topi mostrava miglioramenti su quasi tutti i fronti. Li abbiamo chiamati SES (Susceptible-Effective response to exercise): i suscettibili che rispondevano efficacemente all’esercizio.
- Il restante 53% mostrava pochi o nessun beneficio dall’esercizio. Li abbiamo chiamati SER (Susceptible-Ineffective response to exercise): i suscettibili che non rispondevano all’esercizio.
Questa scoperta è fondamentale: dimostra che, anche in un gruppo geneticamente omogeneo di topi sottoposti allo stesso stress e allo stesso tipo di intervento (esercizio volontario), la risposta terapeutica può variare enormemente da individuo a individuo.
Dentro la Mente dei Topi: Cosa Dicono i Geni?
Per capire *perché* alcuni topi rispondevano bene all’esercizio e altri no, siamo andati a vedere cosa succedeva nel loro cervello, in particolare nell’ippocampo ventrale (vHPC). Questa è un’area cruciale per la regolazione delle emozioni, dello stress e dell’umore, ed è noto che viene influenzata sia dallo stress cronico che dall’esercizio fisico.
Abbiamo utilizzato una tecnica chiamata RNA-seq, che ci permette di “leggere” quali geni sono attivi (espressi) in un tessuto e quanto lo sono. Abbiamo confrontato l’espressione genica nel vHPC dei topi controllo (sani), dei topi SS (suscettibili senza esercizio), dei topi SES (che hanno beneficiato dell’esercizio) e dei topi SER (che non ne hanno beneficiato).
Cosa abbiamo trovato? Differenze enormi!
La Firma Molecolare della Suscettibilità e della Resilienza all’Esercizio
Nei topi SS (suscettibili) rispetto ai controlli sani, abbiamo visto che molti geni legati alla produzione di energia cellulare (respirazione cellulare, fosforilazione ossidativa – processi che avvengono nei mitocondri, le “centrali energetiche” delle cellule) erano meno attivi. In pratica, il loro cervello sembrava funzionare a “basso regime energetico”, il che potrebbe spiegare la loro vulnerabilità allo stress.
Nei topi SES (risposta efficace), l’esercizio sembrava aver fatto miracoli a livello molecolare. Rispetto ai topi SS, mostravano una maggiore attività dei geni coinvolti in:
- Produzione di energia (Sintesi di ATP): Le loro “centrali energetiche” erano tornate a pieno regime, fornendo il carburante necessario per la resilienza. Geni come Cox4i2 e Ndufa12 erano più attivi.
- Sintesi proteica (Costituenti strutturali dei ribosomi): I ribosomi sono le “fabbriche” di proteine della cellula. Una maggiore attività qui suggerisce che le cellule stavano riparando danni e costruendo nuove strutture, magari nuove sinapsi (connessioni tra neuroni). Geni come Rps27l erano più attivi.
- Abbiamo anche notato un aumento dell’espressione di fattori neurotrofici come il Bdnf, una sorta di “fertilizzante” per il cervello che promuove la crescita e la sopravvivenza dei neuroni.
In sintesi, nei topi SES, l’esercizio sembrava riattivare il metabolismo energetico e promuovere meccanismi di riparazione cellulare e plasticità sinaptica.

Nei topi SER (risposta inefficace), il quadro era diverso. Non vedevamo lo stesso recupero metabolico o della sintesi proteica osservato nei SES. Invece, abbiamo notato un’attivazione di geni legati a:
- Adattamento strutturale (Matrice extracellulare): Sembrava che le loro cellule cerebrali stessero cercando di “rinforzare le mura” (la matrice extracellulare che circonda le cellule) piuttosto che riparare i meccanismi interni o migliorare la funzionalità. Geni come Col7a1 erano meno attivi rispetto ai SES, suggerendo forse un diverso tipo di rimodellamento strutturale.
- Differenziazione delle cellule gliali (Astrociti): Abbiamo visto segni di attivazione o differenziazione degli astrociti, cellule di supporto nel cervello. Sebbene gli astrociti abbiano un ruolo protettivo, la loro attivazione in questo contesto, senza i benefici metabolici visti nei SES, potrebbe indicare una risposta compensatoria ma non pienamente efficace o addirittura maladattativa. Geni come Gfap e Sox9 erano più attivi.
In pratica, i topi SER sembravano mettere in atto strategie di adattamento diverse, più focalizzate sulla struttura che sulla funzione energetica e riparativa, che però non si traducevano in un miglioramento comportamentale significativo.
Cosa Ci Insegna Tutto Questo?
Questo studio, anche se condotto sui topi, ci dice qualcosa di molto importante anche per noi umani. Sottolinea l’enorme variabilità individuale nella risposta sia allo stress che agli interventi terapeutici come l’esercizio fisico.
Non siamo tutti uguali di fronte allo stress, e non rispondiamo tutti allo stesso modo all’esercizio come “cura”. Questa differenza non è solo una questione di “forza di volontà”, ma ha radici profonde nella nostra biologia, nel modo in cui i nostri geni vengono espressi nel cervello, in particolare in aree chiave come l’ippocampo.
Identificare le firme molecolari che distinguono chi risponde bene all’esercizio (come i topi SES) da chi non risponde (come i topi SER) apre strade affascinanti:
- Potremmo un giorno avere biomarcatori per predire chi beneficerà di più da un certo tipo di esercizio come terapia per stress, ansia o depressione.
- Potremmo sviluppare strategie terapeutiche personalizzate, magari combinando l’esercizio con interventi mirati a potenziare quei meccanismi biologici (come il metabolismo energetico mitocondriale) che sembrano cruciali per una risposta efficace.
Certo, ci sono limiti. I topi non sono umani, e l’analisi genica mostra correlazioni, non necessariamente cause dirette. Serviranno ulteriori ricerche per confermare questi meccanismi e tradurli in applicazioni cliniche.
Ma il messaggio chiave rimane: la prossima volta che sentite dire “fai sport che ti passa lo stress”, ricordate che è un ottimo consiglio per molti, ma la biologia individuale gioca un ruolo fondamentale. Capire questa biologia è il primo passo per rendere l’esercizio (e altre terapie) davvero efficace per tutti.
Fonte: Springer
