Illustrazione concettuale di una porta semiaperta di una escape room da cui fuoriesce luce digitale bluastra, proiettando simboli di lucchetti e scudi sul pavimento antistante; simboleggia l'apprendimento sulla privacy digitale che emerge dal gioco, stile fotorealistico, lente grandangolare 24mm, atmosfera misteriosa ma invitante con contrasto tra buio e luce.

Fuga dalla Stanza, Difesa della Privacy: Le Escape Room Educative Funzionano Davvero?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, ne sono sicuro, interessa anche voi: la nostra privacy online. Viviamo in un’epoca in cui condividiamo dati continuamente, spesso senza pensarci troppo. Ma siamo davvero capaci di proteggerci? La ricerca ci dice che la semplice consapevolezza dei rischi non basta più. Serve qualcosa di più: servono competenze specifiche. E se vi dicessi che un modo super coinvolgente per acquisirle potrebbe essere… giocare a una escape room? Sì, avete capito bene!

Ma basta la consapevolezza? Serve competenza!

Navigare su internet oggi è un po’ come camminare in una piazza affollata: bello, pieno di opportunità, ma anche pieno di occhi indiscreti e potenziali pericoli. Per anni si è puntato sulla “consapevolezza” dei rischi legati alla privacy. Ci hanno detto di stare attenti, di leggere le informative (quelle lunghissime, ammettiamolo!), ma i risultati non sono stati sempre brillanti. Perché? Perché sapere che c’è un rischio non significa automaticamente saperlo evitare o gestire.

Qui entra in gioco il concetto di competenza. Non si tratta solo di sapere, ma di saper fare: saper installare e personalizzare strumenti di protezione, saper riconoscere una situazione rischiosa, avere autocontrollo nel condividere informazioni, capire davvero cosa significa “privacy” per noi e preoccuparcene attivamente. La ricerca recente, come quella su cui si basa questo articolo, sottolinea proprio questa necessità: passare dalla semplice informazione all’acquisizione di abilità pratiche.

L’idea geniale: imparare giocando in una Escape Room

Allora, come si fa a insegnare queste competenze in modo efficace, magari senza annoiare a morte le persone con lezioni frontali o manuali infiniti? Qui arriva l’idea che trovo affascinante: usare le escape room educative.

Pensateci: le escape room sono coinvolgenti, si basano sulla risoluzione di problemi, richiedono collaborazione e pensiero critico, il tutto sotto la pressione del tempo. Sono l’esempio perfetto di apprendimento esperienziale e costruttivista: non ti viene semplicemente detto cosa fare, ma lo impari facendolo, costruendo la tua conoscenza attraverso l’esperienza diretta e l’interazione.

Partendo da questa idea, un gruppo di ricercatori ha deciso di mettere alla prova questa ipotesi. Hanno creato una escape room digitale 2D chiamata “Desperate John: The Mission of Informatics”. L’obiettivo? Verificare se giocare a questa escape room potesse effettivamente migliorare specifiche competenze legate alla privacy.

Primo piano su una tastiera di computer con lucchetti digitali sovrapposti che fluttuano sopra i tasti, luce soffusa e drammatica, lente prime 35mm, profondità di campo ridotta per focalizzare sui tasti e i lucchetti, simboleggia la necessità di competenze pratiche per la sicurezza.

L’esperimento: “Desperate John” alla prova

Come hanno fatto? Hanno coinvolto 81 partecipanti adulti. Prima di iniziare, hanno misurato il loro livello di partenza su cinque competenze chiave attraverso un questionario. Queste competenze erano:

  • La capacità di installare e personalizzare strumenti di protezione (es. antivirus, impostazioni privacy sui social).
  • La capacità di percepire i rischi per la privacy.
  • L’autocontrollo nella condivisione di informazioni personali.
  • La percezione stessa della privacy (cosa significa per me?).
  • Le preoccupazioni relative alla privacy.

Dopo il questionario iniziale (infarcito anche di domande “civetta” per non far capire subito l’obiettivo!), i partecipanti, divisi in gruppi di tre, si sono immersi nell’escape room “Desperate John”. Avevano un’ora di tempo per risolvere enigmi e puzzle legati a scenari di privacy realistici, collaborando tra loro. Ad esempio, per uscire da una stanza dovevano configurare correttamente le impostazioni privacy di un profilo social fittizio, mentre per uscire dall’altra dovevano seguire i passi giusti per installare un software anti-malware. Insomma, dovevano dimostrare di aver capito come fare!

Alla fine del gioco (o allo scadere del tempo), i partecipanti hanno compilato di nuovo la parte del questionario relativa alle cinque competenze. L’obiettivo era chiaro: vedere se ci fosse stato un miglioramento dopo l’esperienza di gioco.

I risultati: L’escape room ha colpito nel segno!

E qui viene il bello: i risultati sono stati estremamente positivi! Lo studio ha mostrato un miglioramento statisticamente significativo in tutte e cinque le competenze testate dopo aver giocato all’escape room.

La competenza che ha fatto il balzo più grande è stata proprio quella più “pratica”: la capacità di installare e personalizzare le misure di sicurezza. Questo ha perfettamente senso, visto che era uno degli obiettivi centrali del gioco e, secondo il modello teorico usato (il “modello Iceberg” delle competenze), le abilità “visibili” come questa sono più facili da apprendere e modificare.

Ma la sorpresa interessante è arrivata dalla seconda competenza con il maggior miglioramento: l’autocontrollo. Questa è considerata una competenza “nascosta”, più legata alla personalità e quindi teoricamente più difficile da influenzare. Il fatto che il gioco sia riuscito a potenziarla così tanto suggerisce che mettere i giocatori di fronte alle conseguenze concrete della condivisione eccessiva di dati (anche se in un gioco) può davvero far scattare qualcosa e spingere a una maggiore riflessione e controllo.

Anche la capacità di percepire i rischi, la percezione della privacy e le preoccupazioni generali sono migliorate significativamente. Insomma, l’escape room non solo ha insegnato “come fare”, ma ha anche inciso su atteggiamenti e percezioni più profonde.

Gruppo eterogeneo di tre adulti (due donne, un uomo) concentrati e collaborativi davanti a uno schermo di computer che mostra un'interfaccia di gioco stile escape room 2D a tema informatico, espressioni intense, illuminazione ambientale proveniente dal monitor, lente zoom 24-70mm, action tracking per catturare l'interazione.

Perché questo è importante per tutti noi?

Questi risultati, secondo me, sono entusiasmanti. Dimostrano che esistono modi più coinvolgenti ed efficaci delle solite lezioni per imparare a difendere la nostra privacy. Le escape room educative, digitali o magari anche fisiche, potrebbero diventare uno strumento prezioso:

  • Per le scuole e le università: per integrare l’educazione alla cittadinanza digitale in modo più dinamico.
  • Per le aziende: per formare i dipendenti sulla sicurezza informatica e la protezione dei dati in modo meno noioso e più memorabile.
  • Per i progettisti di software e giochi educativi: offre spunti concreti su come creare esperienze di apprendimento efficaci basate sul gioco (i cosiddetti “serious games”).
  • Per i policy-maker: suggerisce nuove strade per promuovere le competenze digitali nella popolazione.

E per noi utenti? Ci dice che imparare a proteggerci online può anche essere divertente! Magari la prossima volta che vedremo una escape room a tema “cybersecurity” o “privacy”, potremmo pensarci due volte prima di scartarla come “solo un gioco”.

Guardando al futuro

Certo, come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. È stata fatta su un numero specifico di persone, con una escape room digitale 2D e focalizzata su cinque competenze. Sarebbe interessante vedere studi futuri che esplorino altre competenze, usino formati diversi (3D, VR, escape room fisiche) e coinvolgano campioni di popolazione ancora più ampi e diversificati.

Tuttavia, il segnale è forte e chiaro: l’approccio basato sul gioco, e in particolare sulle escape room, ha un potenziale enorme per renderci tutti un po’ più competenti e sicuri nel mondo digitale. È una delle prime volte che uno studio valida empiricamente l’efficacia di una escape room specificamente pensata per le competenze sulla privacy, aprendo una strada davvero promettente.

Io trovo fantastico che si stiano esplorando modi così innovativi per affrontare un tema tanto cruciale. E voi, cosa ne pensate? Provereste una escape room per imparare a difendere la vostra privacy? Fatemelo sapere!

Grafico stilizzato che mostra una linea in forte crescita ascendente da sinistra a destra su uno sfondo digitale astratto con icone di privacy (scudi, lucchetti), colori vivaci blu e verde acqua, simboleggia il netto miglioramento delle competenze sulla privacy ottenuto tramite l'escape room educativa.

Fonte: Springer

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