Equità a Tavola: Perché Non Mangiamo Tutti Uguali (e Cosa Possiamo Fare)
Ciao a tutti! Vi siete mai chiesti perché alcune persone sembrano avere accesso a tavole imbandite di cibi sani e variegati, mentre altre faticano a mettere insieme un pasto decente? E quali sono le conseguenze, a lungo termine e persino tra generazioni, di queste differenze? Sono domande che mi affascinano e mi preoccupano profondamente, perché toccano il cuore di ciò che chiamiamo equità alimentare e nutrizionale. Spesso, però, queste domande vengono un po’ trascurate, sia nella ricerca che nelle azioni concrete.
Vedete, quando parliamo di malnutrizione o di diete povere, tendiamo a fermarci a concetti importanti ma basilari come le disuguaglianze di genere o di reddito, specialmente nei paesi a basso e medio reddito. Ma c’è molto di più sotto la superficie. Il diritto umano al cibo non significa solo non soffrire la fame, ma anche avere accesso a cibo adeguato, sano, nutriente. Ed è proprio questa seconda dimensione, quella delle disuguaglianze dietetiche e delle loro radici nell’ingiustizia, che spesso dimentichiamo.
Per troppo tempo, forse, ci siamo concentrati su un approccio un po’ troppo “medico”, guardando alle singole forme di malnutrizione o a chi assume quali nutrienti. Ma così facendo, rischiamo di perdere di vista il quadro generale: come le ingiustizie strutturali, le culture, le conoscenze e le dinamiche politiche plasmano le nostre diete, i nostri mezzi di sussistenza e, in definitiva, la nostra salute. È un po’ come guardare un albero malato concentrandosi solo sulle foglie secche, senza controllare le radici o la qualità del terreno.
Il Framework dell’Equità Nutrizionale: Una Lente per Capire
Per cercare di capire meglio queste dinamiche complesse, è stato sviluppato il Nutrition Equity Framework (NEF). Immaginate una sorta di mappa che ci aiuta a vedere come l’ingiustizia, l’iniquità e l’esclusione sociale (quello che il framework chiama il “motore dell’inequità”) influenzino profondamente gli ambienti in cui viviamo, mangiamo e ci curiamo. Questi fattori, radicati nella storia e nel presente, creano condizioni di vita, comportamenti e pratiche quotidiane diverse per persone diverse, portando alla fine a una distribuzione diseguale delle diete e dello stato nutrizionale. Non si tratta solo di differenze (disuguaglianze), ma delle ragioni socio-politiche profonde per cui queste differenze esistono e colpiscono sistematicamente certi gruppi sociali (inequità).
Ma non disperiamo! Esiste anche un “motore dell’equità”, un modo per invertire la rotta. Si basa su tre pilastri fondamentali, che riprenderemo più avanti:
- Riconoscimento: Riconoscere i problemi di iniquità, comprese le cause socio-politiche profonde.
- Rappresentanza: Dare voce e potere ai gruppi marginalizzati nel definire problemi e soluzioni.
- Ridistribuzione: Ribilanciare risorse e opportunità per correggere le ingiustizie.
In questo articolo, voglio portarvi in un viaggio attraverso quattro paesi molto diversi – Brasile, Sud Africa, Vietnam e Regno Unito – per vedere come queste dinamiche di equità (o iniquità) si manifestano nella pratica. Esploreremo come ricercatori e attivisti stanno lottando per diete più sane, giuste e sostenibili, usando proprio il NEF come nostra guida.
Vietnam: Progressi Nazionali, Disuguaglianze Nascoste
Il Vietnam è spesso citato come un esempio di successo nella lotta alla denutrizione. Tra il 2000 e il 2014, l’arresto della crescita nei bambini (stunting) è calato significativamente. Ma grattando la superficie, scopriamo che questi miglioramenti non sono stati uguali per tutti. Tra le famiglie più ricche, lo stunting è crollato dal 21% al 6%, mentre tra quelle più povere è sceso solo dal 52% al 41%. E chi sono i più poveri in Vietnam? In gran parte, le minoranze etniche.
Circa il 65% delle persone sotto la soglia di povertà appartiene a gruppi etnici minoritari. Queste comunità, specialmente quelle nelle regioni montuose centrali e settentrionali, sono rimaste indietro nella corsa del Vietnam verso lo status di paese a medio reddito. Hanno diete meno diversificate, accesso più difficile a cibo vario (anche a causa della geografia), e conoscenze nutrizionali limitate. Le radici di questa marginalizzazione sono storiche e complesse, legate al colonialismo, alle guerre e a politiche di sviluppo che non sempre hanno tenuto conto delle loro esigenze specifiche o della loro cultura. Nonostante le politiche governative mirino all’inclusione, spesso si basano sull’idea che le minoranze debbano assimilarsi al modello della maggioranza Kinh, senza necessariamente affrontare le cause profonde dell’incertezza economica e della sfiducia che a volte le caratterizzano.
Brasile: La Sfida della Sicurezza Alimentare e il Peso della Razza
In Brasile, il problema principale oggi non è tanto la denutrizione infantile (anche se persistono disuguaglianze), quanto la sicurezza alimentare e l’aumento vertiginoso di sovrappeso e obesità. Pensate: nel 2022, solo il 35% delle famiglie con capofamiglia nero o mulatto godeva di sicurezza alimentare, contro il 53% di quelle con capofamiglia bianco. Anche se recenti politiche hanno migliorato la situazione generale, la fame rimane una questione profondamente intersezionale, legata non solo alla razza, ma anche al genere (6 su 10 famiglie guidate da donne sono insicure dal punto di vista alimentare), all’occupazione (lavoratori informali, disoccupati, piccoli agricoltori sono i più colpiti) e all’istruzione.
Queste disuguaglianze affondano le radici nella storia del Brasile, segnata dallo schiavismo e da un’economia basata sullo sfruttamento delle risorse. La povertà oggi ha un volto decisamente “razzializzato”. Tra il 2003 e il 2014, politiche pubbliche mirate hanno ottenuto risultati significativi nel ridurre povertà e insicurezza alimentare, grazie anche a una forte mobilitazione della società civile. Tuttavia, queste politiche non hanno trasformato le strutture profonde dell’ingiustizia. Infatti, con la crisi politica ed economica iniziata nel 2014 e i successivi tagli di budget, la situazione è peggiorata drasticamente, dimostrando quanto siano persistenti razzismo e disuguaglianze di genere. Il caso brasiliano ci insegna quanto l’instabilità politica e i cambi di priorità possano impattare drammaticamente sull’accesso al cibo.
Sud Africa: L’Eredità dell’Apartheid nel Piatto
Il Sud Africa è uno dei paesi più diseguali al mondo, e questa disuguaglianza strutturale modella profondamente l’accesso a diete sane. Fame e accesso limitato al cibo sono esperienze comuni, specialmente per le famiglie nere, quelle più numerose e quelle rurali. Nel 2021, quasi un quarto della popolazione aveva accesso limitato al cibo. Allo stesso tempo, il paese combatte con alti tassi di arresto della crescita infantile (27%) ed enormi tassi di sovrappeso e obesità (specialmente tra le donne, 65.4% sovrappeso, 39% obese nel 2016).
Una dieta sana è semplicemente fuori dalla portata di molte famiglie. Un paniere alimentare sano e “parsimonioso” per una famiglia di quattro persone costava, nel giugno 2023, quasi un terzo del reddito totale di quella famiglia (ipotizzando due salari minimi e sussidi statali). Le radici di tutto ciò affondano nel colonialismo e nell’apartheid, che hanno sistematicamente distrutto i sistemi alimentari tradizionali e marginalizzato i contadini neri attraverso leggi sulla terra e la creazione di mercati che favorivano l’agricoltura commerciale bianca. L’accesso diseguale alle infrastrutture di base (acqua, elettricità) peggiora la situazione, influenzando la conservazione e preparazione del cibo. L’altissima disoccupazione (34.5%) rende molte famiglie dipendenti dai sussidi governativi, come il Child Support Grant, che però è ampiamente considerato insufficiente per coprire i bisogni nutrizionali. Le politiche post-apartheid, spesso di stampo neoliberista, non hanno affrontato adeguatamente queste disuguaglianze strutturali, concentrandosi più sulla mitigazione degli impatti negativi che sulla trasformazione del sistema alimentare dominato dal settore privato.
Regno Unito: Povertà Alimentare nel Paese Ricco
Sembra un paradosso, ma il Regno Unito ha alcuni dei peggiori risultati in Europa per quanto riguarda dieta, nutrizione e sicurezza alimentare. Circa il 4% della popolazione soffre di insicurezza alimentare moderata o grave. Pochissimi bambini riescono a seguire le raccomandazioni per una dieta sana (solo lo 0.3% nel gruppo di reddito più basso consuma abbastanza frutta e verdura!). E, ancora una volta, sono i gruppi più marginalizzati a pagare il prezzo più alto: i bambini nelle aree più svantaggiate hanno il doppio delle probabilità di essere obesi, e le disuguaglianze colpiscono anche su base etnica (bambini di origine caraibica e africana più a rischio obesità rispetto ai bianchi).
Per le famiglie più povere, seguire una dieta sana raccomandata dal governo richiederebbe quasi metà del loro reddito disponibile (contro l’11% per le più ricche). La disuguaglianza di reddito è tra le più alte in Europa, e si riflette in un divario di 20 anni nell’aspettativa di vita sana tra i più ricchi e i più poveri. La povertà infantile è alta (27% in generale, ma 46% tra i gruppi etnici neri e minoritari). Queste disparità sono concentrate geograficamente in aree post-industriali e costiere, spesso abitate da comunità bianche della classe operaia ed etniche. Le radici storiche includono le recinzioni delle terre comuni (enclosures), l’eredità coloniale (che ha portato immigrazione da ex colonie spesso in condizioni di cittadinanza di seconda classe) e politiche che hanno favorito calorie a basso costo rispetto alla qualità nutrizionale. Negli ultimi anni, l’austerity, i tagli ai servizi pubblici, la Brexit e l’inflazione dei prezzi di cibo ed energia hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Nonostante il dibattito pubblico, le politiche governative sono state finora giudicate inefficaci nel promuovere un sistema alimentare più equo e sostenibile.
Fili Comuni e Differenze: Cosa Impariamo dai Casi Studio?
Confrontare questi quattro paesi è affascinante. Vediamo come le dinamiche dell’equità nutrizionale si manifestino in modi diversi a seconda dei contesti storici e attuali specifici. Ma, allo stesso tempo, emergono tendenze parallele che suggeriscono cause comuni dietro le diete malsane e inique.
Cosa hanno in comune?
- Marginalizzazione basata su razza/etnia: In tutti e quattro i casi, essere parte di una minoranza etnica o razziale storicamente svantaggiata è un fattore determinante per diete povere e malnutrizione.
- Disuguaglianze di reddito e classe: L’impossibilità economica di accedere a cibo sano è un tema trasversale, legato a disoccupazione, lavoro precario e povertà.
- Eredità storiche: Processi storici come colonialismo, apartheid, enclosures, politiche agricole specifiche hanno plasmato i sistemi alimentari attuali, creando e perpetuando ingiustizie.
- Condizioni di vita: Accesso a infrastrutture (acqua, elettricità), alloggi dignitosi, trasporti influenzano le scelte alimentari.
- Ascesa degli alimenti ultra-processati: Specialmente tra i gruppi a basso reddito, si nota una tendenza (o una necessità) a consumare più cibi processati, spesso meno costosi ma nutrizionalmente poveri.
- Impatto delle politiche (e della loro assenza/instabilità): Le decisioni politiche (o la loro mancanza) in ambito sociale, economico e agricolo hanno un impatto diretto e potente sull’equità alimentare.
Le differenze risiedono spesso nell’asse principale di inequità più evidente (razza in SA/Brasile, etnia in Vietnam, classe nel UK), nelle specifiche eredità storiche e nelle risposte politiche adottate (o non adottate).
Agire per l’Equità: Riconoscimento, Rappresentanza, Ridistribuzione
Allora, cosa possiamo fare? Torniamo al nostro “motore dell’equità”: Riconoscimento, Rappresentanza, Ridistribuzione.
Riconoscere il problema significa andare oltre i dati aggregati. Significa fare ricerca che disaggreghi i dati per etnia, genere, classe, età, area geografica. Significa ascoltare e portare alla luce le esperienze vissute dalle persone marginalizzate. Il Vietnam, ad esempio, raccoglie dati disaggregati per etnia, ma questo da solo non basta se non si traduce in azioni mirate che tengano conto delle cause profonde. Dobbiamo capire come le ingiustizie storiche si collegano alle disparità di ricchezza attuali e, di conseguenza, alle disuguaglianze nutrizionali.
Rappresentanza significa dare potere alle comunità marginalizzate. Non basta disegnare politiche *per* loro, bisogna farlo *con* loro. Devono avere voce in capitolo nel definire i problemi e nel progettare le soluzioni che li riguardano. Questo richiede processi di governance più inclusivi, trasparenti e responsabili. Il ruolo positivo della società civile in Brasile ne è un esempio, mentre le tensioni tra governo e potenti lobby alimentari nel UK mostrano le difficoltà.
Ridistribuzione significa affrontare attivamente le ingiustizie storiche e attuali. Non si tratta solo di distribuire beni materiali (come cibo o sussidi, che pure sono importanti e in alcuni casi hanno avuto successo, come mostrato in Brasile, sebbene con limiti), ma anche opportunità, capacità, potere. Le politiche devono essere esplicitamente orientate all’equità, non solo alla riduzione della povertà, e devono affrontare le cause strutturali, non solo mitigare i sintomi.
In conclusione, le disuguaglianze che vediamo oggi nelle diete e nella nutrizione non sono casuali. Sono il risultato di sistemi iniqui radicati nella storia e nella politica. Per affrontarle davvero, dobbiamo adottare uno sguardo sistemico, capire le connessioni tra cibo, cultura, politica ed economia, e mettere al centro le esperienze e le voci di chi è più colpito. È una sfida complessa, ma fondamentale se vogliamo costruire un futuro in cui tutti, e non solo alcuni, abbiano accesso a cibo sano, giusto e sostenibile.
Fonte: Springer