Futuri insegnanti elementari in un'aula universitaria collaborano su un progetto che integra simulazioni digitali su laptop e modelli fisici di ingegneria, come un ponte di K'NEX. Prime lens, 35mm, depth of field, luce naturale che illumina la scena, creando un'atmosfera di apprendimento attivo.

Simulazioni a Scuola: Giocattoli Digitali o Chiavi per Capire Davvero Scienza e Ingegneria?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, ne sono convinto, tocca le corde di chiunque si occupi di educazione, specialmente nelle materie scientifiche: le simulazioni digitali. Avete presente quei software o quelle app che ci permettono di esplorare fenomeni complessi, costruire ponti virtuali o vedere come si comportano i circuiti elettrici senza rischiare di far saltare la corrente? Ecco, proprio di quelle. Ma la domanda che sorge spontanea è: come le usiamo davvero in classe? E, soprattutto, come le percepiscono i futuri insegnanti, coloro che avranno il compito di formare le menti di domani?

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio affascinante (trovate il link alla fine, se volete approfondire) che ha messo sotto la lente d’ingrandimento proprio questo: le prospettive dei futuri maestri elementari sulle simulazioni educative e sul loro ruolo nel promuovere quella che gli esperti chiamano “agentività epistemica” in ambito scientifico e ingegneristico. Un parolone, vero? In soldoni, si tratta della capacità degli studenti di sentirsi protagonisti attivi nella costruzione della conoscenza, non semplici recettori passivi di informazioni.

Il Problema: Simulazioni Viste Solo Come “Bei Disegni” o Scorciatoie?

Partiamo da un presupposto: le simulazioni sono strumenti potentissimi. Ci permettono di visualizzare l’invisibile, di manipolare variabili, di fare esperimenti che nella realtà sarebbero troppo costosi, pericolosi o lunghi. Pensate ai modelli climatici o alle simulazioni di dinamiche di popolazione. Tuttavia, la ricerca ci dice che spesso, noi insegnanti (e futuri insegnanti), tendiamo a sottovalutarne il potenziale epistemico. A volte le scegliamo perché sono “facili da usare” per mostrare concetti (un po’ come una lavagna luminosa 2.0) o perché hanno una grafica accattivante. Ma così facendo, rischiamo di ridurle a mere dimostrazioni di fatti già “confezionati”, invece di usarle come veri e propri strumenti per costruire conoscenza, per indagare, per risolvere problemi.

Lo studio che ho letto si è concentrato proprio su un gruppo di futuri insegnanti elementari durante un corso semestrale di ingegneria e scienze fisiche. Questi studenti hanno usato regolarmente simulazioni educative e sono stati spinti a riflettere criticamente sul loro utilizzo. E i risultati, credetemi, sono illuminanti.

Cosa Hanno Scoperto i Ricercatori? Un Viaggio in Tre Tappe

Analizzando le riflessioni di questi futuri docenti, sono emersi tre cambiamenti significativi nel loro modo di vedere e usare le simulazioni. È come se avessero fatto un percorso, un’evoluzione nel loro pensiero.

1. Dalla Ricerca della “Copia Perfetta” alla Comprensione Profonda (Sensemaking)

All’inizio del corso, molti futuri insegnanti cercavano nelle simulazioni una sorta di replica esatta della realtà. Ad esempio, lavorando alla progettazione di ponti con travature reticolari, confrontavano i simulatori digitali con i modelli fisici costruiti con i K’NEX. Se la simulazione non era identica al pezzo fisico, o se non mostrava ogni dettaglio tridimensionale, nasceva la frustrazione. “Non riesco a fare una copia identica del ponte!” era un commento comune. L’attenzione era sulla somiglianza letterale.

Col passare delle settimane, però, qualcosa è cambiato. Prendiamo il modulo sull’elettricità. Dopo aver sperimentato con lattine, palloncini e circuiti reali, i futuri insegnanti hanno usato simulazioni come quelle del PhET Project. E qui la magia: hanno iniziato a riconoscere che la simulazione, pur non essendo una “fotografia” del reale, li aiutava a capire il “perché” dei fenomeni. Potevano “vedere” il flusso degli elettroni, la distribuzione delle cariche, concetti invisibili nell’esperimento fisico. La simulazione diventava uno strumento per dare un senso a ciò che osservavano, per esplorare i meccanismi nascosti. Non più una ricerca della copia, ma un aiuto per la comprensione.

Un'aula universitaria luminosa, futuri insegnanti elementari, giovani adulti di diverse etnie, lavorano in piccoli gruppi. Alcuni sono chini su laptop che mostrano simulazioni di circuiti elettrici con elettroni animati, altri stanno costruendo circuiti fisici con fili, batterie e lampadine su un tavolo. Prime lens, 35mm, depth of field, luce naturale che entra dalle finestre.

Questo passaggio è cruciale: da “voglio che la simulazione sia uguale al mio ponte di K’NEX” a “la simulazione mi fa capire perché il mio ponte sta in piedi (o crolla!) e come funziona l’elettricità a livello microscopico”.

2. L’Importanza degli “Ostacoli”: Quando la “Resistenza” dei Materiali Diventa Produttiva

Qui entra in gioco un concetto affascinante, quello della “resistenza materiale“. Non pensate a una lotta, ma a come il mondo reale, con i suoi attriti e le sue imperfezioni, “resiste” ai nostri tentativi di modellarlo o capirlo. All’inizio, se i pezzi di K’NEX si piegavano sotto carico o i connettori non tenevano, i futuri insegnanti lo vedevano come un fastidio, un ostacolo al loro progetto. “Questi pezzi sono troppo flessibili!”, “I giunti sono deboli!”.

Poi, lavorando con l’elettricità e i “circuiti molli” (quelli fatti con la plastilina conduttiva, LED e batterie), hanno iniziato a vedere queste “imperfezioni” sotto una nuova luce. Se il LED non si accendeva perché c’era troppa plastilina (aumentando la resistenza) o perché due pezzi di plastilina si toccavano creando un corto circuito, questi “errori” diventavano occasioni per riflettere, per capire meglio i principi in gioco. Maria, una delle studentesse, ha scritto che l’allestimento fisico, a differenza della simulazione, “mi ha permesso di fare errori e imparare da essi”.

E qui la critica interessante alle simulazioni: a volte sono troppo perfette. Prevengono gli errori che, nel mondo reale, sono spesso fonte di apprendimento. Come ha notato Lisa, nella simulazione “tutto funziona sempre”, il che non è realistico. Questa consapevolezza che la “resistenza” del materiale fisico può essere produttiva per l’apprendimento è un passo avanti enorme.

3. Chi Comanda il Gioco? Libertà, Controllo e Agentività Epistemica

All’inizio, i futuri insegnanti parlavano della loro capacità di agire (la loro “agentività”) principalmente in relazione ai materiali fisici. I K’NEX permettevano o limitavano certe costruzioni. Le simulazioni erano viste quasi come strumenti “neutrali” da questo punto di vista.

Verso la fine del corso, però, hanno iniziato a riflettere su come anche le simulazioni influenzassero la loro libertà d’azione e il loro controllo sull’indagine. Alcuni si sentivano limitati: “nella simulazione non potevamo davvero controllare e creare il progetto per noi stessi”, ha detto Michelle. Jessica avrebbe voluto usare materiali diversi nella simulazione sull’elettricità statica per esplorare la triboelettrificazione, ma la simulazione non glielo permetteva: “ci sono variabili limitate, puoi fare solo una cosa”.

Allo stesso tempo, altri (tre su diciotto) hanno riconosciuto che le simulazioni potevano aumentare il loro controllo. Lisa ha notato che la simulazione permette di esplorare i fenomeni in modo “controllato e ripetibile”. Amanda ha apprezzato il fatto di poter “provare quanto [volevano]”. Questa è una caratteristica chiave delle simulazioni anche per gli scienziati professionisti: poter avviare, fermare, ripetere un esperimento virtuale a piacimento.

Il fatto che i futuri insegnanti abbiano iniziato a considerare le simulazioni non solo come “vetrine” di concetti, ma come strumenti che possono potenziare o limitare la loro capacità di indagare attivamente, è un segnale che stavano sviluppando una comprensione più matura del loro ruolo come costruttori di conoscenza.

La “Ricetta Segreta”: Come Coltivare un’Epistemologia Sofisticata delle Simulazioni

Cosa ha permesso questa evoluzione? Lo studio suggerisce alcuni ingredienti pedagogici fondamentali:

  • Integrazione continua: Le simulazioni non erano episodi isolati, ma erano costantemente intrecciate con indagini pratiche usando materiali fisici. Un continuo “andirivieni” tra il mondo tangibile e quello virtuale.
  • Complementarietà: Le simulazioni venivano introdotte spesso per affrontare sfide o domande emerse durante il lavoro con i materiali fisici. Ad esempio, se il ponte di K’NEX crollava, la simulazione poteva aiutare a visualizzare le forze di tensione e compressione in gioco.
  • Riflessione critica: Ai futuri insegnanti veniva chiesto regolarmente di riflettere sui vantaggi e gli svantaggi di entrambi gli approcci (fisico e simulato), e sulla natura stessa delle simulazioni come modelli.
  • Tempismo: Sembra che introdurre prima l’indagine materiale e poi la simulazione, come strumento per rispondere a problemi emersi, sia stata una strategia efficace per posizionare le simulazioni come rappresentazioni utili ma provvisorie, e non come “verità assolute”.

Fondamentalmente, si è trattato di creare opportunità per una partecipazione prolungata e riflessiva in pratiche di modellizzazione interconnesse. Non basta “usare” la simulazione; bisogna imparare a valutarla, a criticarla, a capire cosa può fare per noi e cosa no.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Beh, per me, questo studio è una boccata d’aria fresca. Dimostra che i futuri insegnanti elementari, spesso etichettati come poco preparati nelle scienze, possono sviluppare una comprensione profonda e sofisticata di strumenti complessi come le simulazioni, se messi nelle giuste condizioni. Non si tratta di “non sapere nulla”, ma di coltivare i loro punti di forza.

Le implicazioni sono enormi. Se vogliamo che i nostri studenti diventino cittadini scientificamente alfabetizzati, capaci di pensiero critico, dobbiamo fornire ai loro insegnanti gli strumenti (e la mentalità) per usare le tecnologie didattiche in modo epistemologicamente consapevole. Le simulazioni, quindi, non sono solo un “di più” tecnologico, ma possono diventare catalizzatori potentissimi per un apprendimento significativo, per far capire come si “fa” scienza e ingegneria, come si costruisce la conoscenza.

E voi, che esperienze avete con le simulazioni in classe? Le vedete più come “copie” o come “trampolini” per la comprensione? Parliamone!

Fonte: Springer

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