Epidemie Globali: Quando Clima e Società Danzano un Pericoloso Valzer
Amici lettori, ben ritrovati! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, ahimè, è diventato pane quotidiano nelle nostre discussioni: le epidemie di malattie infettive. Sembra quasi che ogni tot anni salti fuori un nuovo “cattivo” pronto a mettere a soqquadro la nostra salute e le nostre economie. Ma vi siete mai chiesti se ci sia uno schema dietro a tutto questo? Io sì, e ho messo il naso in uno studio scientifico fresco fresco che cerca di fare luce proprio su questo rompicapo. Preparatevi, perché quello che ho scoperto è affascinante e un po’ inquietante.
Lo studio in questione si intitola “Impact of dual climatic and socioeconomic factors on global trends in infectious disease outbreaks” e, ve lo dico subito, non è una lettura da ombrellone, ma le sue conclusioni sono importantissime per capire il mondo in cui viviamo. In pratica, i ricercatori hanno analizzato dati di quasi quarant’anni (dal 1979 al 2021) da ben 189 regioni del mondo per capire come i cambiamenti climatici e i fattori socioeconomici (tipo il PIL, la popolazione, l’indice di sviluppo umano) influenzino la comparsa e la diffusione delle malattie infettive.
Un Viaggio nel Tempo e nello Spazio delle Epidemie
La prima cosa che salta all’occhio è che le epidemie non sono spuntate fuori a casaccio. C’è stata una tendenza globale: prima un aumento, poi una sorta di stabilizzazione. E anche la loro “geografia” è cambiata. Inizialmente, i focolai erano più concentrati nelle medie latitudini, per poi spostarsi verso le medie e alte latitudini del Nord America e dell’Asia meridionale. Più di recente, invece, sembra che si stiano raggruppando nelle regioni dell’Asia Centrale e del Nord America. Pensateci un attimo: SARS nel 2003, l’influenza H1N1 nel 2009, MERS-CoV nel 2012, Ebola nel 2013, Zika nel 2015 e, ovviamente, la pandemia di COVID-19 nel 2020. Ognuno di questi eventi ci ha ricordato quanto siamo vulnerabili e interconnessi.
Questa ondata di malattie non è un caso, ma una conseguenza delle trasformazioni pazzesche degli ultimi decenni. Siamo nella quarta fase della globalizzazione, un’epoca di interconnessione globale senza precedenti. Fattori come l’espansione urbana, l’aumento della popolazione, la povertà, l’evoluzione tecnologica rapidissima, la facilità dei viaggi aerei, il commercio internazionale, i disordini sociali, la deforestazione e, non da ultimo, il cambiamento climatico, giocano tutti un ruolo. È come se avessimo creato un cocktail esplosivo per la diffusione dei patogeni.
Soldi, Persone, Sviluppo: I Veri Motori delle Epidemie?
E qui arriva una delle scoperte più sorprendenti, almeno per me. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sembra che i fattori socioeconomici abbiano un peso maggiore rispetto a quelli climatici nel determinare le epidemie. Certo, temperatura e precipitazioni contano, ma il Prodotto Interno Lordo (PIL), la densità di popolazione e l’Indice di Sviluppo Umano (ISU o HDI in inglese) sembrano essere i veri protagonisti.
I ricercatori hanno usato approcci di machine learning (tipo il metodo SHAP, che aiuta a capire come i modelli prendono le loro “decisioni”) per pesare l’importanza di questi fattori. Ebbene, PIL, HDI e densità di popolazione sono risultati i più influenti. Questo suggerisce che il rischio di epidemie è maggiore nei paesi o nelle regioni con un alto livello di sviluppo socioeconomico e alta densità di popolazione. Sembra un paradosso, vero? Uno si aspetterebbe che più un paese è ricco e sviluppato, meglio sappia gestire le malattie. E in parte è così, perché ci sono più risorse per la sanità pubblica. Ma se queste risorse sono distribuite in modo diseguale, o se l’alta urbanizzazione e la densità di popolazione facilitano la trasmissione, ecco che il rischio aumenta.

Quando il Benessere (Apparente) Aumenta il Rischio
Analizzando più a fondo con un modello chiamato GAM (Generalized Additive Model), che permette di vedere relazioni non lineari complesse, i risultati diventano ancora più sfumati.
- PIL: In generale, più aumenta il PIL, più aumentano le epidemie. L’aumento è rapido quando il PIL è inferiore a 8*1012 dollari USA. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che nei paesi a basso reddito spesso mancano sistemi di monitoraggio efficaci, quindi con l’aumento del PIL migliora anche la segnalazione. Inoltre, le regioni economicamente sviluppate attraggono molte persone, influenzando la trasmissione. Esiste anche il concetto di “poor among the rich”: malattie legate alla povertà che persistono in sacche di miseria anche all’interno di economie ricche.
- Tasso di disoccupazione: Il numero di epidemie aumenta con l’aumentare della disoccupazione fino a un certo punto (circa 7.7%), poi si mantiene alto fino al 25%.
- Densità di popolazione: Qui la relazione è un po’ a zig-zag. L’aumento della popolazione può portare a una maggiore urbanizzazione, che da un lato migliora l’accesso alle cure e la consapevolezza sanitaria, ma dall’altro può creare condizioni ideali per la trasmissione se la densità diventa eccessiva.
- Indice di Sviluppo Umano (HDI): Questo è particolarmente interessante. L’HDI è un indicatore composito che valuta il livello generale di sviluppo. Quando l’HDI è tra 0.55 e 0.74 (paesi a sviluppo medio-alto), il numero di epidemie diminuisce all’aumentare dell’HDI. Questo ha senso: sistemi sanitari più forti, migliori risorse. Ma, attenzione, quando l’HDI è inferiore a 0.55 o superiore a 0.74, il numero di epidemie aumenta con l’aumentare dell’HDI! Nei paesi a basso HDI, l’aumento potrebbe riflettere un miglioramento nella capacità di segnalazione. Nei paesi ad altissimo HDI, fattori come l’elevata urbanizzazione o la mobilità della popolazione potrebbero far aumentare il rischio, nonostante un alto livello di sviluppo generale.
E il Clima? Non Facciamolo Passare Inosservato
Anche se i fattori socioeconomici sembrano dominare la scena, il clima ha il suo bel ruolo.
- Temperatura: C’è una correlazione negativa generale, il che suggerisce che i paesi con temperature più basse hanno un rischio maggiore. Tuttavia, guardando più da vicino, quando la temperatura è tra 1.9°C e 23°C, il numero di epidemie aumenta con l’aumentare della temperatura. Oltre i 23°C, l’ambiente diventa meno adatto per la diffusione di alcune malattie. Sotto 1.9°C, un aumento di temperatura potrebbe invece inibire la diffusione di malattie adatte ai climi freddi.
- Precipitazioni: La relazione è a forma di “U”. Quando le precipitazioni sono inferiori a 800 mm annui, il rischio di epidemie aumenta con l’aumentare delle piogge. Tra 800 mm e 2900 mm, la tendenza si inverte per poi risalire. Nelle regioni aride, un aumento delle precipitazioni può creare condizioni più favorevoli per i patogeni.
È chiaro che il cambiamento climatico, influenzando questi parametri, può alterare la distribuzione e l’incidenza delle malattie infettive, soprattutto quelle veicolate da vettori sensibili alle condizioni ambientali (come zanzare o zecche).
L’Intreccio Pericoloso: Clima e Società Insieme
La vera chiave di lettura, però, sta nell’interazione complessa e non lineare tra questi due mondi: il socioeconomico e il climatico. Lo studio evidenzia che c’è una tendenza generale all’aumento delle epidemie quando:
- L’HDI aumenta da 0.19 a 0.55 e da 0.74 a 0.93.
- La temperatura aumenta da 1.9°C a 23°C.
- Le precipitazioni aumentano da 6.75 mm a 800 mm e da 1.600 mm a 2.900 mm all’anno.
Questi risultati sono fondamentali perché possono aiutare i paesi a formulare politiche di prevenzione e controllo adatte ai loro specifici contesti di sviluppo e a ottimizzare l’allocazione delle scarse risorse sanitarie pubbliche.

Tre Decenni di Cambiamenti, Tre Fasi di Epidemie
Lo studio identifica anche tre fasi principali nell’evoluzione spaziotemporale delle epidemie, legate a doppio filo con i cambiamenti socioeconomici e climatici:
- 1979-1990: Epidemie concentrate nelle medie latitudini del Nord America e dell’Asia meridionale. Erano anni di significativa ristrutturazione economica globale. USA diventano la più grande economia, integrazione europea, boom economico post-bellico del Giappone, sviluppo manifatturiero e agricolo in India. Climaticamente, queste regioni hanno climi complessi.
- Dal 2000 al 2010 circa: Le malattie infettive si diffondono alle alte latitudini dell’emisfero settentrionale e poi ulteriormente nelle medie latitudini settentrionali, raggiungendo i continenti eurasiatico e americano. Questo periodo coincide con un’accelerazione della globalizzazione economica, la crescita delle economie emergenti (Cina in primis). Dal punto di vista climatico, l’aumento globale delle temperature ha mostrato un andamento anomalo e l’impatto degli estremi climatici si è intensificato.
- 2010-2021: Focolai concentrati in Asia Centrale e Nord America, con un graduale calo alle latitudini più elevate dell’emisfero settentrionale. È l’era della ripresa post-crisi finanziaria, con la Cina che continua la sua crescita e gli USA che mantengono la loro posizione di leader economico.
Eventi come El Niño, particolarmente forte nel 2015-2016, hanno dimostrato di poter influenzare indirettamente e direttamente temperatura e precipitazioni, aumentando l’incidenza di malattie come colera e malaria.
Cosa Possiamo Imparare (e Fare)?
Questi risultati non sono solo numeri e grafici; sono un campanello d’allarme e una guida per l’azione.
Primo, l’interazione complessa tra fattori climatici e socioeconomici richiede un meccanismo di risposta alle emergenze integrato, che coinvolga i settori sanitario, ambientale ed economico.
Secondo, per i paesi e le regioni a basso livello di sviluppo, è cruciale potenziare la sorveglianza precoce e l’allerta rapida, rafforzando le capacità delle strutture sanitarie primarie.
Terzo, nei paesi ad alto livello di sviluppo, l’attenzione deve concentrarsi sulla prevenzione di epidemie diffuse, con sistemi sanitari pubblici ben sviluppati, reti di laboratori avanzati e sistemi efficienti di allocazione delle risorse.
Infine, data la globalizzazione delle malattie, la cooperazione regionale e internazionale è fondamentale.
Certo, lo studio ha i suoi limiti, come ammettono gli stessi autori. Ad esempio, non classifica le malattie infettive per tipo (e sappiamo che ogni malattia ha la sua storia) e non include altri fattori potenzialmente influenti come le politiche governative di prevenzione o il livello di alfabetizzazione sanitaria della popolazione. Ma è un passo avanti importantissimo per svelare i legami intricati tra i cambiamenti globali e la nostra salute.
In conclusione, amici miei, il messaggio è chiaro: le epidemie di malattie infettive non sono un fulmine a ciel sereno. Sono il risultato di una danza complessa, e a volte pericolosa, tra il modo in cui trattiamo il nostro pianeta e il modo in cui organizziamo le nostre società. Capire questa danza è il primo passo per imparare a condurla verso ritmi meno rischiosi per tutti noi.
Fonte: Springer
