Epatite E: Vi Racconto il Rischio Nascosto nei Macelli Sauditi – La Nostra Indagine Esclusiva
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di cui forse non sentite parlare tutti i giorni, ma che tocca da vicino la salute pubblica e il mondo del lavoro: il virus dell’Epatite E (HEV). Magari lo associate all’acqua contaminata, ed è giusto, ma c’è molto di più. Sapete che questo virus ha un potenziale zoonotico, cioè può passare dagli animali all’uomo? Questo mette sotto i riflettori categorie professionali che lavorano a stretto contatto con animali o loro prodotti. E proprio di questo ci siamo occupati in uno studio recente, focalizzandoci sui lavoratori dei macelli nell’Arabia Saudita occidentale.
Cos’è l’Epatite E e Perché Dovrebbe Interessarci?
Facciamo un passo indietro. L’HEV è un tipetto della famiglia Hepeviridae, identificato per la prima volta negli anni ’80 dopo una grossa epidemia in India legata all’acqua. Prima, si parlava genericamente di epatiti “non-A, non-B”. Poi, grazie al microscopio elettronico, siamo riusciti a “vederlo” nelle feci e a sequenziarlo.
Questo virus se ne va in giro sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati. La sua diffusione dipende da tanti fattori: come stiamo messi a difese immunitarie, le condizioni di vita, lo stile di vita e l’ambiente. Di solito, l’infezione da HEV è autolimitante, cioè guarisce da sola, e si prende per via oro-fecale (acqua o cibo contaminati). Però, attenzione: può essere trasmesso anche verticalmente (da madre a figlio) ed è particolarmente pericoloso per le donne incinte, che rischiano un’insufficienza epatica acuta.
Nonostante sia una causa importante di epatite virale acuta nel mondo, l’HEV riceve meno attenzioni rispetto ai “fratelli” più famosi, come l’epatite B e C. Le grandi epidemie si sono viste soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Pensate che in alcune zone dell’Asia, la sieroprevalenza (cioè la percentuale di persone con anticorpi contro il virus, segno di passata o presente infezione) può arrivare al 94%! I tassi variano molto: 25.5% nel Bangladesh rurale, dal 5% al 59% in Indonesia (città vs campagna), 10-25% in Nepal. In India, uno studio ha trovato un incredibile 94.1% tra gli allevatori di suini! In Cina è più bassa (43%), forse per un ceppo meno aggressivo (HEV-4) e l’uso limitato del vaccino.
Anche in Africa i tassi sono spesso più alti nelle aree rurali. L’Egitto ha un record impressionante: 84.3%, con picchi vicini al 100% in alcune sottopopolazioni. Altri paesi mostrano tassi variabili: Tunisia (4.3%), Tanzania (6.6%), Sudafrica (10.7%), Burundi (14%), Zambia (42%), Gibuti (58.5%), Etiopia (45%), Ciad (48%).
La Situazione in Arabia Saudita: Un Crocevia di Rischi
L’Arabia Saudita è un caso interessante. È meta di milioni di pellegrini e lavoratori da regioni dove l’HEV è diffuso. Inoltre, durante i pellegrinaggi, ci sono rituali che prevedono la macellazione e il consumo di animali, aumentando il rischio. Se aggiungiamo che la cultura saudita prevede un grande consumo di carne e latticini, capite bene che il potenziale zoonotico dell’HEV qui merita attenzione.
Mentre sappiamo molto sulla prevalenza dell’epatite B e C nel paese, l’HEV è rimasto un po’ nell’ombra. Un nostro studio precedente a La Mecca aveva trovato una sieroprevalenza del 23.8% su quasi 1330 persone, con i maschi più colpiti e associazioni significative con età, lavoro, affollamento abitativo e mancanza di acqua corrente. Questo ci ha suggerito che l’HEV fosse endemico lì.
Ma la vera svolta è arrivata quando abbiamo iniziato a indagare sugli animali. Diversi studi hanno sottolineato il rischio zoonotico dell’HEV. Nel nostro laboratorio, abbiamo scoperto che i cammelli dromedari in Arabia Saudita possono essere serbatoi per un particolare genotipo di HEV, chiamato DcHEV (HEV-7). Abbiamo trovato l’RNA del virus nell’1.77% dei cammelli (più nei domestici che negli importati) e anticorpi nel 23.1% di loro. Questi risultati, i primi nel loro genere sui dromedari sauditi, ci hanno spinto a chiederci: qual è il rischio per le persone che lavorano a stretto contatto con questi animali?
La Nostra Indagine: Macellai Sotto la Lente
Ed eccoci al cuore della nostra ricerca attuale. Abbiamo deciso di confrontare la sieroprevalenza dell’HEV in un gruppo ad alto rischio, i lavoratori dei macelli (239 persone), con un gruppo di controllo rappresentativo della popolazione generale, i donatori di sangue (250 persone). L’idea era capire se il contatto stretto e quotidiano con animali e carni crude aumentasse effettivamente il rischio di contrarre l’HEV.
Abbiamo raccolto campioni di sangue da entrambi i gruppi e cercato gli anticorpi IgG anti-HEV usando un test ELISA “fatto in casa”, sviluppato e validato nel nostro laboratorio. Questo test utilizza particelle simili al virus (DcHEV-LPs) derivate proprio dal ceppo trovato nei cammelli sauditi. Abbiamo verificato che questo test è sensibile e specifico, capace di riconoscere anticorpi contro diversi genotipi di HEV umano (1, 3, 4) con efficacia paragonabile, se non superiore, ai kit commerciali.
Oltre al test, abbiamo raccolto dati socio-demografici (età, sesso, origine) e informazioni sul lavoro dei macellai: da quanti anni lavoravano, con quali tipi di animali avevano più contatto (pecore, mucche, cammelli, misti).
Risultati Sorprendenti: Un Rischio Professionale Evidente
E i risultati? Beh, sono stati piuttosto netti. La sieroprevalenza di HEV IgG è risultata significativamente più alta nei lavoratori dei macelli rispetto ai donatori di sangue: 49.7% contro 22.1%. Un dato che salta all’occhio (p<0.0001)! Questo conferma la nostra ipotesi: lavorare in un macello sembra essere un fattore di rischio occupazionale per l'HEV in questa regione. Il tasso del 22.1% nei donatori è in linea con il nostro studio precedente sulla popolazione generale a La Mecca (23.8%). Abbiamo anche notato che i livelli di anticorpi (misurati come densità ottica, OD) erano mediamente più alti nei campioni dei lavoratori rispetto ai donatori. Tuttavia, guardando solo i campioni positivi, non c'era una differenza significativa nei livelli anticorpali tra i due gruppi. Analizzando più a fondo il gruppo dei macellai, abbiamo trovato associazioni significative tra la positività agli anticorpi HEV e due fattori:
- L’età (p=0.0353)
- La durata dell’esposizione agli animali (p=0.0005)
Non abbiamo invece trovato associazioni significative con la regione geografica di provenienza dei lavoratori (molti erano espatriati da Asia e Africa) o con il tipo specifico di animale macellato più frequentemente.
Cosa Significa Tutto Questo? Il Fattore Tempo è Cruciale
Usando un’analisi statistica più avanzata (la regressione logistica), abbiamo cercato di capire quali fattori fossero i migliori “predittori” dell’infezione da HEV. E qui è emerso un dato fondamentale: la durata dell’esposizione lavorativa agli animali è risultata l’unico fattore significativamente associato a un aumento della probabilità di contrarre l’HEV.
In particolare, rispetto a chi lavorava da meno di un anno, i lavoratori con 1-5 anni di esposizione avevano una probabilità quasi 13 volte maggiore (OR 12.8) di essere positivi agli anticorpi HEV. Quelli con più di 5 anni di esposizione avevano una probabilità quasi 6 volte maggiore (OR 5.9). Questo suggerisce fortemente un rischio cumulativo: più tempo passi a contatto con animali in quel contesto, più è probabile che tu venga infettato.
È importante sottolineare alcune limitazioni. Il nostro è uno studio cross-sectional, cioè fotografa la situazione in un dato momento, quindi non possiamo stabilire un rapporto di causa-effetto certo. Inoltre, c’era una differenza tra i gruppi: i donatori erano tutti sauditi, mentre i lavoratori erano in gran parte espatriati, il che potrebbe introdurre un bias. Non abbiamo potuto considerare tutti i possibili fattori confondenti (dieta, accesso all’acqua pulita, altre malattie).
Conclusioni e Prospettive Future: Proteggere Chi è a Rischio
Nonostante i limiti, i nostri risultati sono importanti. Identificano una sieroprevalenza di HEV significativamente più alta tra i lavoratori dei macelli in Arabia Saudita rispetto alla popolazione generale, suggerendo un chiaro legame con l’esposizione professionale. Il fattore chiave sembra essere la durata di questa esposizione.
Cosa ci dice tutto questo? Che dobbiamo prestare attenzione alla salute di queste categorie professionali. Servono interventi mirati di sanità pubblica:
- Migliorare e far rispettare i protocolli di igiene nei macelli.
- Implementare screening sanitari regolari, specialmente per chi lavora nel settore da più di un anno.
- Considerare campagne di vaccinazione (dove disponibile e appropriato) per i gruppi ad alto rischio.
Insomma, la nostra ricerca accende un faro su un rischio zoonotico concreto in un contesto specifico ma potenzialmente replicabile altrove. È fondamentale continuare a studiare le dinamiche di trasmissione dell’HEV tra animali e uomo per sviluppare strategie preventive efficaci e proteggere la salute sia dei lavoratori che della comunità in generale.
Spero che questo viaggio nel mondo della ricerca sull’Epatite E vi sia stato utile e interessante!
Fonte: Springer