Primo piano macro di un verme marino Sipunculus nudus parzialmente insabbiato, con dettagli della sua superficie rugosa. Obiettivo macro 90mm, luce naturale diffusa, focus nitido sul verme, sfondo sabbioso sfocato.

Dal Mare una Speranza Inattesa: L’Enzima del Verme Marino che Potrebbe Rivoluzionare la Lotta ai Trombi!

Ciao a tutti, appassionati di scienza e scoperte! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante che arriva direttamente dalle profondità marine e che potrebbe cambiare le carte in tavola nella lotta contro una delle minacce più serie per la nostra salute: la trombosi. Tenetevi forte, perché sto per presentarvi un “supereroe” inaspettato: un enzima proveniente da un umile verme marino!

La Minaccia Silenziosa: I Trombi e i Limiti delle Terapie Attuali

Partiamo dal problema. Le malattie trombotiche, quelle causate dalla formazione di coaguli di sangue (trombi) che ostruiscono i vasi, sono una delle principali cause di morte e disabilità nel mondo, un problema reso ancora più rilevante nell’era post-COVID-19. Le terapie attuali, come l’attivatore tissutale del plasminogeno (tPA), funzionano principalmente attivando una proteina chiamata plasminogeno, trasformandola in plasmina, l’enzima che poi “mastica” il coagulo di fibrina.

Sembra un piano perfetto, no? Beh, non proprio. Ci sono alcuni intoppi:

  • Dipendenza dal Plasminogeno: Se nel corpo non c’è abbastanza plasminogeno, o se questo è mutato o alterato (cosa che accade spesso nei pazienti con trombosi), il tPA non funziona al meglio.
  • Complessità: L’attivazione è un processo a più fasi, delicato e complesso.
  • Dimensioni della Plasmina: La plasmina è una molecola piuttosto grande, il che limita la sua capacità di penetrare a fondo nel trombo.
  • Residui Indesiderati: Durante la lisi del coagulo mediata da tPA e plasmina, si forma un prodotto di degradazione chiamato D-dimero. Alti livelli di D-dimero non solo indicano la presenza di un trombo, ma possono anche aumentare la viscosità del sangue e ostacolare ulteriormente la dissoluzione del coagulo stesso. E sbarazzarsene è difficile!

Insomma, c’era un disperato bisogno di trovare qualcosa di nuovo, un agente trombolitico che potesse superare questi ostacoli.

L’Eroe che non ti Aspetti: snFPITE dal Sipunculus nudus

E qui entra in gioco la nostra star: un enzima che ho chiamato affettuosamente snFPITE (che sta per small facultative plasminogen-independent thrombolytic enzyme, ma chiamiamolo snFPITE che è più simpatico!). Da dove salta fuori? Da un organismo marino che forse alcuni di voi conoscono, soprattutto se siete stati nel sud della Cina: il Sipunculus nudus, noto anche come “verme arachide”. Sì, avete capito bene, un verme! In alcune zone è addirittura considerato una prelibatezza locale (Tu sun dong), e studi precedenti avevano suggerito che potesse aiutare la digestione. Questo ha fatto drizzare le antenne ai ricercatori: e se nascondesse anche segreti per sciogliere i coaguli?

Fotografia macro di un verme marino Sipunculus nudus su un fondale sabbioso. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione laterale controllata per enfatizzare la texture della pelle del verme, messa a fuoco precisa sul corpo.

Bingo! Isolando le proteine dal fluido intestinale di questo verme, abbiamo scoperto snFPITE. E ragazzi, che sorpresa!

Cosa Rende snFPITE Così Speciale?

La vera magia di snFPITE sta nel suo modo di agire, diverso da quello a cui siamo abituati:

  • Indipendenza (Facoltativa) dal Plasminogeno: Questa è la bomba! snFPITE può degradare la fibrina (la “colla” del coagulo) direttamente, senza bisogno di attivare prima il plasminogeno. Tuttavia, se il plasminogeno c’è, l’attività di snFPITE viene potenziata. È come avere un’auto che va sia a benzina che elettrica!
  • Niente D-dimero Residuo: A differenza delle terapie classiche, snFPITE sembra degradare completamente la fibrina reticolata senza lasciare quel fastidioso D-dimero. Anzi, alcuni esperimenti suggeriscono che potrebbe persino essere in grado di degradare il D-dimero già formato! Questo è potenzialmente rivoluzionario.
  • Attivazione “Alternativa” del Plasminogeno: Quando snFPITE interagisce con il plasminogeno, non lo trasforma nella solita plasmina. Crea invece un frammento più piccolo, chiamato Flaa (fibrinolytic-active agent), che è comunque attivo nello sciogliere i coaguli. Essendo più piccolo (circa 27 kD contro i 90-93 kD della plasmina), si ipotizza che possa penetrare nei trombi molto più facilmente.
  • Piccolo ma Potente: snFPITE stesso è una proteina monomerica relativamente piccola (circa 25 kD). Anche questo favorisce la sua diffusione all’interno dei coaguli.
  • Stabilità da Record: Sorprendentemente, snFPITE ha mostrato un’ottima stabilità termica (resiste a 37°C per 90 giorni!) e funziona in un ampio range di pH (da 5.0 a 9.0).

Le Prove sul Campo (o meglio, in Laboratorio e negli Animali)

Ovviamente, non bastano le belle parole. snFPITE è stato messo alla prova.
Nei test di laboratorio su piastre di fibrina, ha dimostrato un’efficacia nel degradare la fibrina e attivare il plasminogeno superiore a quella del rtPA o della plasmina a parità di concentrazione.

Poi siamo passati ai modelli animali (ratti e topi) con trombosi indotta:

  • Nei ratti con trombosi dell’arteria carotide, snFPITE (iniettato endovena) ha migliorato significativamente il flusso sanguigno, in modo comparabile o potenzialmente superiore al rtPA.
  • Nei topi con trombosi indotta nella coda, snFPITE ha mostrato potenti effetti antitrombotici anche a dosi basse.
  • Negli esperimenti di lisi di coaguli di sangue intero *ex vivo*, snFPITE ha mostrato un’attivazione più rapida rispetto al rtPA, grazie alla sua azione diretta sulla fibrina.

Grafico scientifico che mostra curve di lisi di coaguli di sangue nel tempo per diversi trattamenti (snFPITE a varie dosi, rtPA, controllo). Linee colorate distinte, assi etichettati chiaramente (Tempo vs % Lisi). Stile pulito, dati presentati in modo chiaro.

E la sicurezza? Anche qui le notizie sono incoraggianti. Studi di biodistribuzione nei ratti hanno mostrato che snFPITE si distribuisce rapidamente nel sistema circolatorio, si accumula principalmente in fegato e reni (vie di eliminazione comuni per le proteine) e non sembra attraversare la barriera emato-encefalica. Ha anche mostrato un tempo di permanenza nel sangue relativamente lungo, il che potrebbe essere vantaggioso.
Test di tossicità su cellule in coltura e su topi trattati per 5 giorni non hanno rivelato effetti tossici significativi, né alterazioni del peso corporeo, del consumo di cibo/acqua o danni strutturali agli organi principali (cuore, fegato, milza, polmoni, reni) all’esame istologico. Ha mostrato un leggero prolungamento dei tempi di sanguinamento e coagulazione a dosi alte, simile a rtPA, ma l’effetto si riduceva a dosi più basse. Interessante notare che sembra inibire l’attivazione piastrinica, un altro potenziale beneficio.

Dentro la Macchina Molecolare: Struttura e Regolazione

Per capire *perché* snFPITE si comporta così, siamo andati a vedere la sua struttura tridimensionale tramite cristallografia a raggi X. Abbiamo ottenuto le strutture di due varianti leggermente diverse (snFPITE-n1 e snFPITE-n2). Appartengono alla famiglia delle serin proteasi, con un “cuore” catalitico composto da tre amminoacidi chiave (His44, Asp91, Ser189).

Il confronto con tPA e plasmina ha rivelato somiglianze ma anche differenze cruciali nelle “tasche” dove si legano i substrati (le molecole da tagliare). In particolare, residui come Gly183 e Ile88 in snFPITE rendono queste tasche più “accomodanti” e meno specifiche rispetto a quelle di tPA, spiegando perché snFPITE possa tagliare la fibrina(ogeno) e il plasminogeno in molti siti diversi (fino a 22 siti identificati sul plasminogeno!) e perché possa avere una specificità di substrato più ampia, forse includendo anche il D-dimero. La mancanza dei domini accessori presenti in tPA (come F, E, K1, K2) contribuisce probabilmente a questa minore selettività.

Rendering 3D della struttura cristallina della proteina snFPITE (rosa) sovrapposta alla struttura di tPA (verde). Evidenziazione delle triadi catalitiche e delle tasche di legame S1 e S2. Stile scientifico, sfondo neutro.

E come interagisce con gli inibitori naturali presenti nel nostro corpo, come PAI1 (inibitore dell’attivatore del plasminogeno 1) e A2AP (α2-antiplasmina)? Qui c’è un’altra svolta interessante. snFPITE viene inibito da entrambi, ma in modo competitivo e non irreversibile (“suicidio”) come accade per tPA e plasmina. Sembra quasi che A2AP sia un substrato per snFPITE! Questo tipo di interazione potrebbe conferire a snFPITE una sorta di “intelligenza”: la sua attività sarebbe meno frenata nel sito del coagulo (dove c’è molta fibrina, che compete con gli inibitori) e più controllata nel sangue circolante. Questo spiegherebbe anche la sua emivita più lunga.

Un’Intera Famiglia di Enzimi nel Genoma del Verme

La scoperta di due varianti di snFPITE ha suggerito che potesse essercene di più. E infatti! Sequenziando il genoma e il trascrittoma del Sipunculus nudus (un genoma risultato essere molto eterogeneo, cioè con molte variazioni tra le copie dei geni), abbiamo identificato almeno 28 sequenze candidate per geni *snFPITE*, di cui 10 sono state confermate come funzionali tramite espressione ricombinante in diversi sistemi cellulari (lievito, cellule umane HEK293, cellule di insetto Tn). Alcuni di questi geni si trovano raggruppati nel genoma, suggerendo un’espansione evolutiva legata a funzioni importanti per il verme.

L’analisi filogenetica colloca questi enzimi in un gruppo vicino a quelli trovati nei lombrichi (come la lumbrochinasi, già usata in alcuni prodotti), suggerendo percorsi evolutivi simili per enzimi con doppia attività (attivazione del plasminogeno e degradazione diretta della fibrina).

Abbiamo anche visto che l’espressione di questi geni varia a seconda del tessuto del verme e in risposta a stimoli esterni, come la presenza di un coagulo di sangue! Curiosamente, l’espressione degli inibitori omologhi a PAI1 e A2AP presenti nel verme sembra avere un andamento opposto: quando *snFPITE* si attiva, gli inibitori si “spengono”, suggerendo una rete regolatoria complessa.

Heatmap di espressione genica che mostra i livelli di trascrizione di diversi geni snFPITE (righe) in vari tessuti e condizioni sperimentali (colonne) del Sipunculus nudus. Scala di colori dal blu (bassa espressione) al rosso (alta espressione). Layout scientifico chiaro.

Prospettive Future: Un Nuovo Capitolo per la Terapia Trombolitica?

Allora, cosa significa tutto questo? snFPITE rappresenta un potenziale candidato farmaco trombolitico davvero promettente, con caratteristiche uniche:

  • Agisce anche in condizioni di basso plasminogeno.
  • Non produce (e forse degrada) il D-dimero.
  • È piccolo e potenzialmente più penetrante nei coaguli.
  • Genera un attivatore (Flaa) più piccolo della plasmina.
  • Ha una buona stabilità.
  • Mostra un profilo di sicurezza incoraggiante nei modelli preclinici.
  • Il suo meccanismo di interazione con gli inibitori potrebbe renderlo più “intelligente” e con una maggiore durata d’azione.
  • Deriva da un organismo tradizionalmente consumato come cibo, il che suggerisce una buona biocompatibilità e forse minori rischi di immunogenicità rispetto ad altre fonti non umane (come veleni di serpente o lombrichi non purificati).

Certo, la strada è ancora lunga. Bisogna valutare attentamente il potenziale rischio di sanguinamento, dato che la sua attività proteasica sembra più ampia di quella della plasmina (potrebbe degradare leggermente altre proteine come l’albumina o il collagene, anche se questo effetto sembrava ridotto *in vivo*). Serviranno studi clinici sull’uomo per confermare efficacia e sicurezza.

Ma l’entusiasmo è palpabile! Aver trovato nel mare, in un organismo così umile, un meccanismo così sofisticato ed efficiente per sciogliere i coaguli è una testimonianza incredibile della biodiversità e delle soluzioni che la natura può offrirci. Chissà, forse un giorno il piccolo snFPITE del verme arachide diventerà un’arma fondamentale nella nostra battaglia contro la trombosi. Io ci spero! E voi?

Fonte: Springer

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