Entità Sociali Primitive: Ma Davvero Anche gli Animali Creano Società?
Introduzione: Un Mondo Sociale Oltre l’Umano?
Sapete, quando pensiamo a “entità sociali”, ci vengono subito in mente cose come la Comunità Europea, il Festival del Cinema di Venezia, la Città del Vaticano, l’NBA, l’Orchestra Filarmonica di Berlino… tutte creazioni umane, complesse, spesso legate a regole scritte e istituzioni. Ma se vi dicessi che anche le coalizioni che si formano tra gli scimpanzé della foresta di Taï, in Costa d’Avorio, durante le loro battute di caccia, potrebbero essere considerate delle entità sociali primitive? Sembra strano, vero? Eppure, questi scimpanzé, come altri primati, mostrano comportamenti incredibilmente sofisticati: agiscono insieme, coordinano le loro azioni. La domanda che mi affascina e che voglio esplorare con voi è proprio questa: gli animali non umani possono creare delle vere e proprie entità sociali?
Le entità sociali, in fondo, esistono solo perché un gruppo di individui le accetta, le riconosce, le “vede” come tali nel contesto di attività congiunte. E queste attività congiunte sono possibili grazie alla capacità di coordinare piani d’azione, che a sua volta dipende da quella che i filosofi chiamano intenzionalità collettiva. È un concetto un po’ astratto, ma pensatela come la capacità di avere un “noi-intendiamo” fare qualcosa insieme.
Il Dibattito: Primitività Evolutiva vs. Metafisica
Qui le cose si fanno interessanti. Il filosofo John Searle ha sostenuto che l’intenzionalità collettiva è “primitiva” in due sensi. Primo, è evolutivamente primitiva: anche altre specie animali, non solo noi umani, creano e condividono forme, magari rudimentali, di entità sociali. Secondo, è metafisicamente primitiva: queste intenzioni collettive non possono essere ridotte a semplici somme di intenzioni individuali. È qualcosa di più, un “noi” irriducibile.
Questa idea ha affascinato psicologi dello sviluppo e comparativi come Rakoczy e Tomasello. Loro, però, abbracciando la nozione di Searle, sono arrivati alla conclusione opposta: proprio perché l’intenzionalità collettiva è così “speciale” e irriducibile, allora dev’essere unicamente umana. Hanno criticato Searle, accusandolo di “sovra-attribuire” capacità cognitive complesse agli animali, in particolare la capacità di pensiero concettuale necessaria, secondo loro, per formare queste intenzioni collettive irriducibili.
Io, però, penso che i due sensi di “primitivo” di Searle vadano analizzati separatamente. Sono d’accordo con lui sul primo punto, ma non sul secondo. La mia tesi, che voglio argomentare qui, è che:
- (1) L’intenzionalità collettiva esiste negli animali non umani.
- (2) Ma questa intenzionalità collettiva si basa su intenzioni collettive che sono riducibili a intenzioni individuali ben coordinate (seguendo l’approccio “individualista aumentato” di Michael Bratman).
Anzi, dirò di più: credo che proprio questa riducibilità sia necessaria affinché gli animali non umani possano creare entità sociali. Sembra un paradosso? Seguitemi.

Pensiero Animale: Concetti, Linguaggio e Intenzioni
La critica di Rakoczy e Tomasello a Searle si basa sull’idea che per avere intenzionalità collettiva serva il pensiero concettuale, e forse anche il linguaggio. Ma è davvero così? Searle stesso ha ribattuto che il pensiero concettuale non dipende necessariamente dal linguaggio. Potremmo pensare che gli animali, pur non avendo un linguaggio come il nostro, siano capaci di pensiero e quindi di stati mentali con un contenuto, magari non concettuale.
Cosa significa “non concettuale”? Immaginate di riconoscere un colore o una forma senza dover necessariamente pensare alla parola “rosso” o “cerchio”. È un tipo di rappresentazione più diretta, forse basata su somiglianze, discriminazioni percettive, senza bisogno di categorie astratte e inferenze logiche tipiche del pensiero concettuale. Se gli stati mentali coinvolti nelle attività congiunte possono avere questo tipo di contenuto non concettuale, allora anche animali non linguistici potrebbero avere l’intenzionalità collettiva necessaria per creare entità sociali.
Io chiamo questa prospettiva la Capacity-based Dependency View (CBDV): il linguaggio è necessario per stati mentali concettuali (quelli basati su giudizi, proposizioni), ma non per tutte le forme di intenzionalità, specialmente quelle legate alla pianificazione e all’azione coordinata. Quindi, l’intenzionalità collettiva può essere evolutivamente primitiva (esiste negli animali) senza essere metafisicamente primitiva (è riducibile a intenzioni individuali, magari non concettuali).
Il Caso degli Scimpanzé Cacciatori: Nasce un “Hunting Team”
Prendiamo l’esempio affascinante della caccia di gruppo degli scimpanzé di Taï, studiata a fondo da Christophe Boesch. Questi scimpanzé non cacciano a caso. Si organizzano, si coordinano, assumono ruoli specifici. C’è il “driver” che spinge la preda (di solito una scimmia colobo rosso) in una certa direzione, il “blocker” che le impedisce di deviare, il “chaser” che la insegue da sotto, e l'”ambusher” che blocca la fuga finale. È una danza complessa e strategica!
Possiamo analizzare questo comportamento usando la “Teoria della Pianificazione” di Michael Bratman. Secondo Bratman, l’agire insieme (shared agency) non richiede necessariamente un “noi-intendiamo” irriducibile. Basta che gli individui abbiano intenzioni individuali (piani) che siano interconnessi (“meshing sub-plans”). Ognuno intende fare la sua parte, sapendo che anche gli altri intendono fare la loro, e i piani di ciascuno sono compatibili e si supportano a vicenda per raggiungere l’obiettivo comune (catturare la preda).

Le caratteristiche della caccia degli scimpanzé sembrano adattarsi perfettamente a questo modello:
- Agenzia intenzionale estesa nel tempo: Capiscono che la loro azione fa parte di un piano più ampio e si impegnano a portarlo avanti.
- Autogoverno: Guidano le proprie azioni in base al ruolo che devono svolgere.
- Intreccio di piani: Coordinano le loro intenzioni individuali, attribuendo piani agli altri e adattando i propri di conseguenza.
Queste capacità, secondo Bratman, sono sufficienti per l’emergere dell’intenzionalità collettiva. E se è così, allora queste coalizioni di cacciatori, che io chiamo “hunting teams” (squadre di caccia), soddisfano i requisiti di Searle per essere considerate entità sociali: ci sono individui con intenzionalità (anche se riducibile), condividono un obiettivo collettivo e intendono fare la propria parte per raggiungerlo.
Studi recenti, tra l’altro, supportano l’idea che gli scimpanzé abbiano una comprensione significativa delle azioni e dei piani reciproci (Buttelman et al., 2017; Duguid e Melis, 2020; Heesen et al., 2021; Melis e Tomasello, 2019), rafforzando l’idea che non si tratti solo di coordinazione casuale, ma di vera collaborazione basata su intenzioni intrecciate.
“Hunting Teams” vs. Istituzioni Umane: La Questione della “Perduranza”
Certo, c’è una differenza fondamentale tra un “hunting team” di scimpanzé e, diciamo, una squadra di calcio umana. Boesch stesso fa questo paragone, notando le somiglianze nella coordinazione e nei ruoli. Ma la differenza cruciale, secondo me, sta in quella che chiamo “action-free perdurance” (perduranza libera dall’azione).
Una squadra di calcio, un partito politico, un’università… esistono come entità sociali strutturate anche quando i loro membri non stanno attivamente giocando una partita, facendo campagna elettorale o tenendo una lezione. Hanno uno status, regole, una storia che persiste indipendentemente dall’azione contingente. Questa è una caratteristica delle istituzioni, che Searle collega alla capacità umana di assegnare “funzioni di status” tramite regole costitutive, spesso facilitate dal linguaggio.
L'”hunting team” degli scimpanzé, invece, sembra esistere solo durante l’azione coordinata della caccia. La sua struttura normativa, i ruoli, emergono e si dissolvono con l’attività stessa. Non c’è una squadra “Taï Hunters F.C.” che esiste al di fuori delle battute di caccia. Per questo motivo, li considero entità sociali primitive o, se volete, delle proto-istituzioni. Mancano di quella perduranza indipendente dall’azione che caratterizza le istituzioni umane più complesse, probabilmente perché manca loro la capacità di pensiero concettuale e linguistico necessaria per stabilire e mantenere tali strutture normative astratte nel tempo.

Conclusioni: Un Nuovo Sguardo sulla Socialità Animale
Quindi, tornando alla domanda iniziale: gli animali non umani possono creare entità sociali? La mia risposta è sì, ma con delle precisazioni importanti. Possono creare entità sociali primitive, come gli “hunting teams”, basate sull’intenzionalità collettiva.
Tuttavia, a differenza di quanto sostenuto da alcuni (incluso Searle nella sua formulazione originale), questa intenzionalità collettiva non deve essere per forza metafisicamente irriducibile. Può emergere dall’intreccio coordinato di intenzioni individuali (come suggerito da Bratman). E, cosa cruciale, queste intenzioni non richiedono necessariamente il pensiero concettuale o il linguaggio. Possono basarsi su un contenuto non concettuale, accessibile anche a menti non linguistiche.
Questo approccio, che chiamo CBDV, ci permette di riconoscere la continuità evolutiva della socialità, vedendo le capacità degli scimpanzé (e forse di altri animali) come precursori delle nostre complesse istituzioni, senza dover attribuire loro capacità cognitive identiche alle nostre. Ci offre una teoria più parsimoniosa e compatibile con le evidenze etologiche.
L’esistenza di queste entità sociali primitive negli animali ci spinge a riconsiderare dove tracciare la linea della “unicità umana”. Forse non sta tanto nella capacità di agire insieme (intenzionalità collettiva), ma nella capacità di creare quelle strutture sociali complesse, astratte e durature che chiamiamo istituzioni, una capacità profondamente legata al linguaggio e al pensiero concettuale.
È affascinante pensare che le radici della nostra complessa realtà sociale possano affondare in forme di cooperazione e coordinazione più antiche e fondamentali, condivise con i nostri parenti più prossimi nel regno animale.
Fonte: Springer
