Composizione still life fotorealistica: forme diverse di formaggio stagionato (Romy, Cheddar) e un bicchiere di latte fermentato (Laban Rayeb) su un tavolo di legno rustico scuro. Una lente d'ingrandimento è posizionata sopra un pezzo di formaggio, rivelando microscopicamente batteri Enterococcus stilizzati e luminosi. Obiettivo macro 70mm, illuminazione calda e controllata proveniente da una finestra laterale, alta definizione, focus selettivo sui formaggi e sulla lente.

Enterococchi nei Latticini: Amici o Nemici Nascosti tra Formaggi e Yogurt?

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, ma anche un po’ inquietante, nel mondo microscopico che si cela nei nostri amati prodotti caseari. Parliamo di formaggi stagionati, di latti fermentati come il Labneh (o Laban Rayeb, come lo chiamano in Egitto, dove abbiamo condotto il nostro studio), e persino dello yogurt. Prodotti deliziosi, spesso frutto di fermentazioni complesse, ma che a volte possono nascondere delle insidie per la nostra salute: le amine biogene (AB).

Cosa sono queste amine biogene? Immaginatele come piccole molecole azotate, prodotte dalla “rottura” (decarbossilazione) degli amminoacidi presenti naturalmente negli alimenti, spesso ad opera di microrganismi. Le più famose e studiate, perché potenzialmente più “pericolose”, sono l’istamina (HIS) e la tiramina (TYM).

L’istamina forse la conoscete già: è quella legata alla “sindrome sgombroide”, un’intossicazione simile all’allergia che può venire mangiando pesce mal conservato. La tiramina, invece, è la protagonista della cosiddetta “cheese reaction”, la reazione al formaggio, che può causare mal di testa intensi, picchi di pressione e altri sintomi spiacevoli, soprattutto in chi assume certi farmaci (gli inibitori delle MAO) o è particolarmente sensibile.

Ma non è solo una questione di tossicità diretta. La presenza di queste amine è anche un indicatore della qualità e della sicurezza di un alimento. Se ce ne sono tante, potrebbe significare che qualcosa nel processo di produzione o conservazione non è andato per il verso giusto, magari a causa di contaminazioni microbiche o temperature non ottimali.

Perché ci siamo concentrati sugli Enterococchi?

Tra i tanti microrganismi capaci di produrre amine biogene, ce n’è uno che spicca nel mondo dei latticini: il genere Enterococcus. Questi batteri sono spesso presenti naturalmente nel latte crudo e sono dei veri “campioni” nella produzione di tiramina. Sono resistenti, si adattano a condizioni difficili e a volte possono prendere il sopravvento su altri batteri lattici, influenzando la qualità finale del prodotto.

Ma c’è di più. Alcune specie di Enterococcus, come E. faecalis ed E. faecium, non sono solo produttori di amine, ma anche patogeni opportunisti. Possono causare infezioni, soprattutto in persone con un sistema immunitario debole, e sono tristemente noti per la loro capacità di sviluppare resistenza agli antibiotici. Avete mai sentito parlare dei VRE (Enterococchi Resistenti alla Vancomicina)? Ecco, sono loro. L’OMS li considera una minaccia prioritaria.

Quindi, la presenza di enterococchi “cattivi” nei latticini è un doppio problema: rischio di amine biogene e potenziale veicolo di batteri resistenti e dotati di fattori di virulenza (armi microscopiche come gelatinasi, adesine, tossine) che li aiutano a colonizzare l’ospite e a formare biofilm, quelle fastidiose pellicole batteriche super resistenti.

La nostra indagine sul campo (e in laboratorio)

Spinti da queste preoccupazioni, abbiamo deciso di andare a vedere cosa succedeva in alcuni prodotti caseari molto diffusi in Egitto. Abbiamo raccolto 240 campioni di formaggio Romy (un formaggio duro locale, simile al Ras), formaggio Cheddar, Laban Rayeb (latte fermentato, sia da piccole produzioni artigianali che da grandi industrie) e Yogurt (anche qui, piccolo e grande produttore).

Il nostro obiettivo era triplice:

  • Misurare i livelli di istamina e tiramina con una tecnica super precisa (HPLC).
  • Isolare e identificare gli enterococchi presenti.
  • Verificare se gli enterococchi isolati fossero effettivamente capaci di produrre amine (sia con test in piastra che cercando i geni specifici, hdc per l’istamina e tyrdc per la tiramina), e studiare la loro resistenza agli antibiotici, la capacità di formare biofilm e la presenza di geni di virulenza.

Macro fotografia di una goccia di latte che cade su una fetta di formaggio stagionato Romy, con batteri Enterococcus stilizzati visibili microscopicamente sullo sfondo. Obiettivo macro 90mm, illuminazione controllata e drammatica per evidenziare la texture, alta definizione dei dettagli, messa a fuoco precisa sulla goccia.

Risultati: Luci e (molte) Ombre

I risultati, ve lo dico subito, ci hanno dato parecchio su cui riflettere.

Amine Biogene a Go-Go: Quasi il 90% dei campioni conteneva sia tiramina che istamina. I livelli più alti? Nei formaggi Romy (fino a 693 mg/kg di TYM e 725 mg/kg di HIS!) e Cheddar (fino a 509 mg/kg di TYM e 649 mg/kg di HIS), ma anche nel Laban Rayeb prodotto su piccola scala (fino a 425 mg/kg per entrambe). Valori decisamente preoccupanti, spesso ben oltre i limiti considerati sicuri (ad esempio, 100-800 mg/kg di tiramina sono considerati potenzialmente pericolosi).

Abbiamo anche calcolato l’assunzione stimata per bambini e adulti. Risultato? Mangiando regolarmente formaggio Romy, Cheddar o Laban Rayeb artigianale, si rischiava seriamente di superare la dose giornaliera accettabile, soprattutto per i bambini. I prodotti industriali (Laban Rayeb e Yogurt large-scale) sembravano invece molto più sicuri sotto questo aspetto.

Enterococchi Ovunque (o quasi): Abbiamo trovato enterococchi in più della metà dei campioni (52.9%), con E. faecalis (27.9%) ed E. faecium (24.2%) come specie dominanti. E la cosa più importante: c’era una correlazione statisticamente significativa (P<0.0001) tra la presenza di enterococchi e i livelli di amine biogene misurati. Insomma, sembravano proprio loro i principali responsabili, almeno per la tiramina.

I Geni “Sbagliati”: Andando a cercare i geni della decarbossilazione negli enterococchi isolati, abbiamo trovato il gene tyrdc (per la tiramina) nell’85% dei ceppi capaci di produrre amine! Il gene hdc (per l’istamina) era molto meno comune (solo 5%). Questo conferma il ruolo primario degli enterococchi nella produzione di tiramina nei latticini. Curiosamente, alcuni ceppi sembravano produrre amine anche senza avere questi geni specifici (forse ne hanno versioni diverse?), mentre solo due ceppi avevano il gene hdc, suggerendo che per l’istamina potrebbero esserci anche altri batteri coinvolti.

Il Lato Oscuro: Resistenza, Biofilm e Virulenza

E qui arrivano le note dolenti.

Batteri Super-Resistenti: Il 90% degli enterococchi isolati era resistente ad almeno un antibiotico. Ma il dato allarmante è che ben il 57.5% era multi-resistente (MDR), cioè resistente ad almeno tre classi diverse di antibiotici. Le resistenze più comuni? Penicillina (57.5%), Tetraciclina (47.5%), Vancomicina (45% – i temuti VRE!), Eritromicina (37.5%) e Linezolid (32.5%). Quest’ultimo è un antibiotico considerato di “ultima spiaggia” per le infezioni da enterococchi resistenti… e trovarne già così tanti resistenti è un segnale d’allarme enorme.

Visualizzazione concettuale fotorealistica di batteri Enterococcus sferici su una piastra di Petri. Alcuni batteri hanno uno scudo luminoso che respinge pillole antibiotiche colorate (penicillina, vancomicina, linezolid). Sfondo scuro e scientifico, illuminazione drammatica focalizzata sugli scudi, profondità di campo ridotta. Obiettivo 50mm.

Costruttori di Fortezze (Biofilm): Come se non bastasse, oltre il 77% degli isolati era capace di formare biofilm (il 30% addirittura “forti” produttori). E indovinate? C’era una correlazione fortissima (P<0.0001) tra la capacità di fare biofilm e la multi-resistenza. I batteri MDR erano significativamente più bravi a costruire queste fortezze protettive.

Armati fino ai Denti (Virulenza): Infine, abbiamo cercato i geni che codificano per i fattori di virulenza. Il più comune era gelE (gelatinasi, 77.5%), seguito da esp (proteina di superficie, 47.5%), ace (adesione al collagene, 47.5%), asa1 (sostanza di aggregazione, 35%) e cylA (citolisina, 7.5%). Il gene hyl (ialuronidasi) non l’abbiamo trovato, forse perché più legato a infezioni cliniche. La cosa interessante è che quasi tutti gli isolati (90%) avevano almeno due geni di virulenza, e i ceppi MDR erano particolarmente “armati”. Abbiamo anche trovato correlazioni significative tra alcuni geni (esp, asa1) e la capacità di formare biofilm, e tra il gene esp e la resistenza alla vancomicina. Sembra che resistenza, biofilm e virulenza vadano spesso a braccetto.

Cosa Significa Tutto Questo?

Il quadro che emerge è piuttosto chiaro: alcuni prodotti caseari, specialmente quelli artigianali o prodotti su piccola scala (dove forse i controlli igienici e le temperature di processo/conservazione sono meno rigorosi), possono essere un “brodo di coltura” non solo per amine biogene potenzialmente tossiche come la tiramina, ma anche per enterococchi multi-resistenti e dotati di fattori di virulenza.

Il rischio, quindi, non è solo quello di un mal di testa o di un picco di pressione dopo aver mangiato formaggio. Il rischio più subdolo è che questi alimenti possano diventare un veicolo per trasferire batteri super-resistenti (compresi i VRE e quelli resistenti al Linezolid) e potenzialmente patogeni dal cibo al nostro intestino. E da lì, il passo verso infezioni difficili da trattare, soprattutto in soggetti vulnerabili, può essere breve.

Micrografia elettronica a scansione (SEM) simulata, molto dettagliata, di un biofilm di Enterococcus faecium su una superficie metallica simile all'acciaio inox di un'attrezzatura casearia. Struttura tridimensionale complessa con batteri cocchi immersi in una matrice extracellulare filamentosa. Alta definizione, illuminazione laterale per evidenziare la texture tridimensionale, obiettivo macro 100mm, bianco e nero.

L’alta prevalenza di MDR e la presenza di ceppi resistenti a farmaci critici come la vancomicina e il linezolid sottolineano l’urgente necessità di un uso più responsabile degli antibiotici, non solo in medicina umana ma anche in veterinaria e zootecnia, per evitare che la resistenza si diffonda attraverso la catena alimentare.

Inoltre, la capacità di questi batteri di formare biofilm resistenti rende ancora più importante l’adozione di pratiche igieniche rigorose e di sanificazione efficace in tutte le fasi della produzione casearia, dalla mungitura alla stagionatura, per prevenire la contaminazione e la persistenza di questi microrganismi “problematici”.

In Conclusione: Consapevolezza e Controllo

Il nostro viaggio nel mondo microscopico dei latticini egiziani ci ha mostrato che, accanto ai benefici e ai piaceri del gusto, possono nascondersi rischi legati alle amine biogene e, soprattutto, alla presenza di enterococchi multi-resistenti e virulenti. La tiramina sembra essere l’amina più legata a questi batteri nei prodotti studiati.

Questo non significa demonizzare i formaggi o i latti fermentati, ma piuttosto aumentare la consapevolezza sui potenziali pericoli, specialmente nei prodotti artigianali o non pastorizzati, e sulla necessità di controlli più stringenti lungo tutta la filiera.

Servono materie prime di alta qualità, processi tecnologici ottimali (temperature, pH, sale), igiene impeccabile e un uso prudente degli antibiotici negli allevamenti. Solo così potremo continuare a gustare questi meravigliosi prodotti in sicurezza, sapendo che i “nemici nascosti” sono tenuti sotto controllo.

Spero che questo racconto vi sia stato utile e vi abbia fatto riflettere. Alla prossima!

Fonte: Springer

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