Enterobacter hormaechei: Viaggio nel Genoma di un Superbatterio Flessibile e Multiresistente
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un’esplorazione affascinante nel mondo microscopico, alla scoperta di un batterio che sta facendo parlare molto di sé negli ospedali e nei laboratori di ricerca: l’Enterobacter hormaechei. Forse il nome non vi dice molto, ma credetemi, è un microrganismo che merita la nostra attenzione, e non sempre per buone ragioni.
Immaginate un batterio incredibilmente versatile, capace di vivere nel suolo, nell’acqua, sul cibo, ma anche di associarsi a piante, insetti e animali, compresi noi umani. Ecco, questo è l’E. hormaechei. Il problema sorge quando decide di comportarsi da patogeno opportunista, soprattutto negli ambienti sanitari (è un cosiddetto patogeno nosocomiale). Può causare una serie di infezioni fastidiose e talvolta gravi: batteriemie, polmoniti, infezioni del sito chirurgico, infezioni urinarie… Insomma, non è un ospite che vogliamo avere a bordo, specialmente se siamo già debilitati.
Ma la vera preoccupazione, quella che fa drizzare le antenne a medici e ricercatori, è la sua crescente resistenza agli antibiotici. Molti ceppi di E. hormaechei sono diventati multiresistenti, cioè se ne infischiano di diversi tipi di farmaci che normalmente dovrebbero sconfiggerli. Parliamo di resistenza ad antibiotici importanti come amikacina, ciprofloxacina, cefoxitina, colistina, gentamicina, tigeciclina e persino i carbapenemi, spesso considerati l’ultima spiaggia terapeutica. Questa capacità di resistere e di scambiare geni di resistenza con altri batteri (attraverso il trasferimento genico orizzontale) lo rende un avversario davvero formidabile. Non a caso, è stato inserito nel temuto gruppo ESKAPE, un acronimo che riunisce i sei “superbatteri” più problematici negli ospedali per la loro capacità di “scappare” agli antibiotici.
Un Puzzle Tassonomico: Chi è Davvero l’Enterobacter hormaechei?
Nonostante la sua rilevanza clinica, ci sono ancora molti aspetti misteriosi riguardo a questo batterio. Uno dei primi nodi da sciogliere è la sua classificazione, la sua “carta d’identità” biologica. Attualmente, la specie E. hormaechei è suddivisa in cinque sottospecie: hormaechei, hoffmannii, oharae, steigerwaltii e xiangfangensis. Il problema è che distinguerle con i test tradizionali è un’impresa ardua. Serve la potenza del sequenziamento dell’intero genoma per fare chiarezza.
Recenti analisi genomiche comparative, come quella su cui si basa questo articolo, suggeriscono che la situazione sia ancora più complessa. In pratica, quello che chiamiamo E. hormaechei è più un “complesso” di specie strettamente imparentate. L’analisi filogenomica (lo studio delle relazioni evolutive basato sui genomi) indica che potremmo trovarci di fronte a tre specie distinte:
- E. hormaechei (la specie “originale”, per così dire)
- E. hoffmannii (che forse merita lo status di specie a sé)
- E. xiangfangensis (che a sua volta potrebbe comprendere tre sottospecie: oharae, steigerwaltii e xiangfangensis)
Perché è importante questa precisione tassonomica? Perché diverse (sotto)specie potrebbero avere manifestazioni cliniche differenti o rispondere diversamente ai trattamenti. Ad esempio, si è visto che E. hormaechei subsp. oharae è più frequente nelle colture di sangue, mentre E. hormaechei subsp. steigerwaltii è più comune nei tamponi cutanei e da ustioni. Capire chi abbiamo di fronte è fondamentale per una diagnosi accurata e una terapia mirata.
Un Genoma Flessibile: Il Concetto di Pan-Genoma
Qui le cose si fanno ancora più interessanti. Studiando i genomi di migliaia di ceppi di questo complesso batterico, emerge un quadro di straordinaria flessibilità genomica. Cosa significa? Che i genomi dei diversi ceppi possono variare parecchio in dimensioni (fino a oltre 1 milione di paia di basi di differenza!) e contenuto genico.
Per capire questa variabilità, entra in gioco il concetto di pan-genoma. Immaginate di prendere tutti i geni presenti in tutti i ceppi di una specie (o complesso di specie) e metterli insieme. Questo è il pan-genoma. Al suo interno distinguiamo:
- Il core genome: l’insieme dei geni presenti in *tutti* (o quasi tutti) i ceppi, essenziali per le funzioni di base.
- L’accessory genome (o genoma accessorio): l’insieme dei geni presenti solo in alcuni ceppi, che conferiscono caratteristiche specifiche (come la resistenza a un certo antibiotico, la capacità di usare una nuova fonte di cibo, ecc.).
Bene, l’analisi del complesso E. hormaechei rivela che ha un pan-genoma “aperto”. Significa che ogni nuovo genoma sequenziato aggiunge nuovi geni al totale, suggerendo che questo gruppo di batteri è molto abile nell’acquisire nuovo materiale genetico dall’ambiente o da altri batteri. Pensate che estrapolando i dati, si prevede che il pan-genoma di alcune di queste (sotto)specie potrebbe contenere oltre 17.000-18.000 gruppi di geni se analizzassimo 1000 genomi! Questa continua acquisizione di geni è uno dei motori principali della loro evoluzione e adattamento.
I Motori del Cambiamento: Elementi Genetici Mobili (MGE)
Ma come fa l’E. hormaechei ad essere così “flessibile” e ad acquisire nuovi geni così facilmente? La risposta sta negli elementi genetici mobili (MGE), veri e propri “pacchetti” di DNA che possono spostarsi all’interno del genoma o tra batteri diversi. Lo studio ha identificato una pletora di questi elementi nei genomi analizzati:
- Plasmidi: Piccoli pezzi circolari di DNA extra-cromosomico. Sono diffusissimi nel complesso E. hormaechei (in media 3-4 per genoma, ma alcuni ceppi ne hanno fino a 9!). Sono noti per trasportare geni importanti, specialmente quelli per la resistenza agli antibiotici. In alcuni ceppi, quasi il 18% delle proteine totali è codificato da plasmidi!
- Profagi: Genomi di virus batterici (batteriofagi) integrati nel cromosoma batterico. Anche questi sono molto comuni (in media 5-6 per genoma) e possono portare nuovi geni o modificare quelli esistenti.
- Elementi Coniugativi Integrativi (ICE): Segmenti di DNA capaci di integrarsi nel cromosoma e di trasferirsi ad altri batteri tramite coniugazione. Sebbene meno frequenti di plasmidi e fagi, possono trasportare geni per la resistenza, la produzione di siderofori (molecole per catturare il ferro) o la motilità.
- Trasposoni: Sequenze di DNA “saltellanti” che possono spostarsi da un punto all’altro del genoma, causando mutazioni, delezioni o facilitando l’acquisizione di nuovi geni. Sono presenti in abbondanza (in media quasi 45 per genoma).
Questi MGE sono i veri architetti della diversità genetica e fenotipica (cioè delle caratteristiche osservabili) nel complesso E. hormaechei. Spiegano perché troviamo così tanta variabilità anche tra ceppi della stessa (sotto)specie e perché sono così bravi ad adattarsi, ad esempio, alla pressione selettiva degli antibiotici.
Il Patogeno Dentro: Fattori di Virulenza e Sistemi di Secrezione
Ok, abbiamo capito che è flessibile e resistente, ma cosa lo rende capace di causare malattie? L’analisi genomica ha cercato anche i determinanti di patogenicità, cioè i geni che contribuiscono alla capacità del batterio di infettare un ospite e causare danni.
Utilizzando database specifici (come PHI-base), i ricercatori hanno trovato centinaia di geni potenzialmente coinvolti nell’interazione patogeno-ospite in tutti i ceppi analizzati. La buona notizia (per il batterio, non per noi!) è che una buona parte di questi geni (circa il 73%) sembra essere conservata, fa parte del “corredo di base” per la patogenicità di questo complesso. Tuttavia, ci sono anche differenze specifiche tra le specie e sottospecie, come la presenza di geni per metabolizzare il sorbitolo (importante per colonizzare le piante, ma forse anche rilevante in altri contesti) o per produrre siderofori specifici (salmochelina) in alcuni gruppi.
Un aspetto cruciale della patogenicità batterica sono i sistemi di secrezione. Immaginateli come delle “siringhe” o “cannoni” molecolari che il batterio usa per iniettare proteine (effettori) nelle cellule ospiti o nell’ambiente circostante, manipolando le difese dell’ospite o danneggiando i tessuti. L’analisi ha rivelato la presenza di diversi tipi di questi sistemi nel complesso E. hormaechei:
- Tipo I (T1SS): Presenti nella maggior parte dei ceppi, secernono tossine e altre proteine.
- Tipo II (T2SS): Diffusi, secernono enzimi come lipasi e proteasi, importanti per la virulenza.
- Tipo IV (T4SS): Meno comuni, ma possono secernere effettori o trasferire DNA (coniugazione).
- Tipo V (T5SS o Autotrasportatori): Presenti in varie forme (T5a, T5b, T5c), secernono proteine coinvolte in adesione, motilità e evasione immunitaria.
- Tipo VI (T6SS): Molto comuni (spesso presenti in più copie), noti per uccidere batteri competitori ma anche per agire contro cellule ospiti.
Curiosamente, i sistemi di secrezione di Tipo III (T3SS), spesso associati a patogeni molto aggressivi, sembrano essere assenti in questo complesso. La presenza e la variabilità di questi sistemi di secrezione tra i diversi ceppi contribuiscono sicuramente alla loro capacità patogena, ma c’è ancora molto da studiare per capire esattamente come funzionano in E. hormaechei.
La Sfida della Resistenza: Un Resistoma Mutevole
E torniamo al punto dolente: la resistenza agli antibiotici. L’analisi genomica permette di predire *in silico* (cioè al computer, basandosi sulla presenza di geni noti) a quali antibiotici un ceppo potrebbe essere resistente. I risultati per il complesso E. hormaechei sono, francamente, preoccupanti.
In media, i ceppi analizzati sono risultati potenzialmente resistenti a circa 23-24 diversi antibiotici (su 92 testati)! Un numero enorme. Addirittura, alcuni ceppi sembrano resistere a 45 antibiotici diversi.
La stragrande maggioranza dei ceppi (circa il 72%) è classificabile come multiresistente (MDR), secondo la definizione standard (resistenza ad almeno tre classi di antibiotici).
La resistenza è diffusa in tutte le specie e sottospecie, anche se con qualche differenza (ad esempio, E. xiangfangensis subsp. oharae sembra mediamente meno resistente delle altre). È interessante notare che i ceppi isolati da animali mostravano *in silico* la resistenza più ampia, seguiti da quelli clinici e poi da quelli ambientali, anche se questo potrebbe essere influenzato dal numero di ceppi analizzati per ciascuna fonte.
Quali sono i geni responsabili? Ne sono stati identificati ben 104 diversi tipi! La maggior parte di questi geni di resistenza agli antibiotici (ARG) (quasi il 76%) si trova sui plasmidi, confermando il ruolo cruciale di questi elementi mobili nella diffusione della resistenza. Solo due geni di resistenza (blaACT per i beta-lattamici e fosA per la fosfomicina) sono risultati prevalentemente cromosomici.
La cosa più allarmante è la resistenza diffusa a farmaci importanti come i beta-lattamici (presente in tutti i ceppi), gli aminoglicosidi e gli inibitori della via dei folati (in circa il 70% dei ceppi). Ma ancora più preoccupante è l’emergere, seppur ancora raro, della resistenza a farmaci di ultima linea come i carbapenemi (predetta in più della metà dei ceppi analizzati!), la colistina (in 3 ceppi) e la tigeciclina (in 2 ceppi). La presenza di resistenza a questi farmaci “salvavita” è un campanello d’allarme fortissimo.
Non solo antibiotici: molti ceppi (oltre il 55%) mostrano geni per la resistenza ai composti quaternari dell’ammonio, disinfettanti comuni negli ospedali e a casa, e alcuni anche alla formaldeide. Questo suggerisce un adattamento notevole a diversi tipi di stress chimici presenti nell’ambiente ospedaliero e non solo.
Cosa Ci Dice Tutto Questo?
Insomma, l’analisi comparativa dei genomi del complesso Enterobacter hormaechei ci dipinge il ritratto di un gruppo di batteri davvero formidabili. Sono tassonomicamente complessi, e una classificazione più precisa è necessaria per la clinica. Possiedono una flessibilità genomica incredibile, alimentata da un arsenale di elementi genetici mobili che permette loro di acquisire continuamente nuovi geni e adattarsi rapidamente. Hanno un corredo di base per la patogenicità ben conservato, ma con sistemi di secrezione variabili che meritano ulteriori studi. E, soprattutto, rappresentano una sfida crescente a causa della loro diffusa multiresistenza agli antibiotici, veicolata in gran parte dai plasmidi e che include ormai anche farmaci di ultima linea.
La capacità di questi batteri di persistere nell’ambiente, combinata con la loro abilità di accumulare resistenze, sottolinea l’urgenza di:
- Migliorare la sorveglianza genomica per monitorare la loro diffusione e l’evoluzione della resistenza.
- Implementare misure di controllo delle infezioni robuste, specialmente negli ospedali.
- Promuovere una rigorosa stewardship antibiotica, usando i farmaci in modo responsabile per rallentare lo sviluppo di ulteriori resistenze.
- Approfondire la ricerca per capire meglio i meccanismi di patogenicità e identificare nuovi bersagli terapeutici.
Il viaggio nel genoma di Enterobacter hormaechei ci ha mostrato un avversario complesso e in continua evoluzione. Conoscerlo meglio è il primo passo fondamentale per poterlo affrontare efficacemente.
Fonte: Springer