Immagine fotorealistica, obiettivo macro 100mm, che cattura una singola goccia di soluzione antibiotica mentre cade verso una rappresentazione stilizzata di un occhio, simboleggiando il trattamento mirato contro un'infezione come l'endoftalmite da Klebsiella. Illuminazione controllata, alto dettaglio.

Endoftalmite da Klebsiella: Occhio ai Segnali, C’è Speranza!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una condizione oculare piuttosto seria, ma affascinante dal punto di vista medico: l’endoftalmite endogena (EE), e in particolare quella causata da un batterio chiamato Klebsiella pneumoniae. Gestire l’EE è una vera sfida, diciamocelo. E quando c’è di mezzo la Klebsiella, le cose si complicano ulteriormente, con prognosi spesso riservate e risultati visivi non proprio incoraggianti.

Un Nemico Insidioso per i Nostri Occhi

L’endoftalmite endogena è un’infezione che arriva all’occhio dall’interno del corpo, trasportata dal sangue. Non è come le infezioni post-operatorie, che entrano dall’esterno. La Klebsiella, specialmente con i suoi ceppi ipervirulenti, è particolarmente aggressiva. Pensate che studi precedenti hanno mostrato come questa forma specifica sia difficile da trattare e associata a esiti visivi scarsi, tanto che a volte si rende necessaria l’eviscerazione (rimozione del contenuto oculare) o l’enucleazione (rimozione dell’intero bulbo oculare). Brrr, fa venire i brividi solo a pensarci!

Il problema è che non esistono linee guida chiarissime e universali. I batteri cambiano, la loro virulenza varia, e quindi è fondamentale capire subito quali fattori indicano una prognosi migliore o peggiore per poter agire tempestivamente e nel modo giusto.

La Nostra Indagine: Alla Ricerca di Segnali Positivi

Proprio per questo, ci siamo chiesti: esiste un gruppo di pazienti con endoftalmite da Klebsiella che ha maggiori possibilità di successo se trattato inizialmente solo con terapia sistemica (antibiotici per via generale) e intravitreale (iniezioni direttamente nell’occhio), rispetto a quelli con una prognosi peggiore?

Per rispondere, abbiamo condotto uno studio retrospettivo, andando a spulciare le cartelle cliniche di due grandi ospedali terziari locali per un periodo di 10 anni (dal gennaio 2013 al dicembre 2022). Abbiamo cercato tutti i casi di EE da Klebsiella confermati.

Cosa intendevamo per “successo”? Lo abbiamo definito su due livelli:

  • Successo anatomico: l’occhio viene salvato, senza distacco di retina intrattabile o ptisi bulbare (cioè l’occhio non si “atrizza”).
  • Successo funzionale: la vista raggiunta è migliore di 1.3 logMAR (che corrisponde circa a poter contare le dita a una certa distanza, o meglio). In pratica, non si è considerati ciechi secondo i criteri dell’OMS.

Abbiamo identificato 56 casi provati di EE in totale. Di questi, ben 31 (il 55,4%) erano causati dalla Klebsiella. Dopo aver applicato i criteri di inclusione (diagnosi di EE da Klebsiella, coltura sistemica positiva, sopravvivenza >3 mesi, trattamento con antibiotici sistemici +/- intravitreali) ed esclusione (uveiti non infettive, chirurgie o traumi recenti, cause esogene), siamo rimasti con 21 pazienti (per un totale di 31 occhi) da analizzare nel dettaglio. È importante notare che abbiamo escluso 5 pazienti deceduti precocemente e 5 occhi di 5 pazienti che avevano subito una vitrectomia (un intervento chirurgico più invasivo) durante il decorso della malattia, perché volevamo concentrarci proprio sull’efficacia della terapia medica iniziale.

Macro fotografia, 90mm lens, di un occhio umano che mostra segni evidenti di infiammazione grave come iperemia congiuntivale (rossore) e edema corneale (gonfiore), rappresentativi dell'endoftalmite. Dettaglio elevato, messa a fuoco precisa, illuminazione clinica controllata.

Chi Erano i Pazienti?

Il nostro gruppo di studio aveva un’età media di circa 67 anni, con una leggera prevalenza maschile. Un dato interessante: quasi due terzi (63,6%) avevano il diabete mellito, e in due casi è stato diagnosticato proprio durante il ricovero. Tre pazienti, invece, non avevano problemi di salute pregressi noti. La fonte primaria dell’infezione era spesso un ascesso epatico (nel 72,7% dei casi).

La maggior parte dei pazienti (81,8%) ci è stata segnalata da altri reparti (medicina, chirurgia, terapia intensiva) dove erano ricoverati per sepsi o altri problemi sistemici. Solo una piccola parte (18,1%) si è presentata prima ai nostri ambulatori per sintomi oculari, ma anche questi avevano sintomi sistemici associati come brividi. In media, passavano circa 4-5 giorni dal ricovero prima che un oculista li visitasse, un tempo che può essere cruciale.

La vista iniziale media non era buona (1.54 logMAR), e in 6 occhi non è stato nemmeno possibile testarla perché i pazienti erano intubati o cognitivamente compromessi. Quasi il 40% degli occhi vedeva solo il conteggio delle dita o peggio, e due occhi erano già ciechi (nessuna percezione della luce, NLP) alla presentazione. I sintomi oculari più comuni erano visione offuscata, occhio rosso, gonfiore intorno all’occhio e aumento delle “mosche volanti” (floaters).

La Strategia Terapeutica Iniziale

Quando sospettavamo un’EE, agivamo subito: prelievo di campioni dall’occhio (umor acqueo e vitreo, se possibile) da mandare in laboratorio e iniezione intravitreale di antibiotici (di solito ceftazidima associata a vancomicina o amikacina) nello stesso giorno. Se la coltura confermava la Klebsiella, si aggiustava la terapia intravitreale (ad esempio, solo cefuroxima o cefuroxima più amikacina). Tutti i pazienti ricevevano anche antibiotici sistemici ad ampio spettro, scelti in base alle sensibilità del batterio (nel nostro caso, la Klebsiella era sensibile a ceftriaxone, imipenem e gentamicina). Il ceftriaxone è stato l’antibiotico sistemico più usato.

I pazienti venivano rivalutati quotidianamente. Se l’occhio migliorava nettamente, non si facevano altre iniezioni. Se invece peggiorava, si poteva ripetere l’iniezione dopo 48-72 ore. Nei casi disperati (occhio cieco e dolente, progressione rapida a panoftalmite, perforazione corneale), si procedeva all’eviscerazione. La vitrectomia veniva considerata caso per caso, valutando rischi e benefici, soprattutto se la terapia medica non funzionava o in caso di malattia bilaterale.

I Risultati Chiave: Cosa Predice il Successo?

E veniamo al dunque! Cosa abbiamo scoperto? Analizzando i dati, abbiamo trovato dei fattori prognostici significativi nel gruppo trattato solo con terapia sistemica e intravitreale. Le probabilità di successo (sia anatomico che funzionale) erano maggiori se il paziente presentava:

  • Una migliore acuità visiva all’inizio.
  • Assenza di iperemia congiuntivale (occhio non rosso).
  • Assenza di edema corneale (cornea trasparente).
  • Assenza di ipopion (niente pus visibile nella camera anteriore dell’occhio).
  • Assenza di panoftalmite (infiammazione non estesa a tutte le strutture oculari).
  • La possibilità di vedere il fondo dell’occhio (fundus) durante la prima visita.

In pratica, questi sono tutti segni di un’infezione meno grave o in uno stadio più precoce. L’analisi statistica (regressione logistica) ha mostrato che la probabilità di successo complessivo del trattamento superava il 50% se l’acuità visiva iniziale era migliore di logMAR 1.85 (che è vicina al “conteggio dita a 1 metro”). Un dato davvero importante!

Al contrario, la presenza di occhio rosso, cornea edematosa, cellulite periorbitale, ipopion e l’impossibilità di vedere il fondo oculare predicevano il fallimento del trattamento. Curiosamente, altri fattori sistemici come globuli bianchi, proteina C-reattiva, funzionalità epatica, o la presenza di diabete o ascesso epatico non sono risultati statisticamente significativi nel predire l’esito in questo specifico gruppo.

Fotografia ritratto ravvicinata, obiettivo 50mm prime, profondità di campo ridotta, che mostra un oftalmologo mentre esamina attentamente l'occhio di un paziente usando una lampada a fessura in una stanza d'esame poco illuminata. Focus sull'intensa concentrazione e sul processo diagnostico.

Nel nostro studio, il successo complessivo (anatomico e funzionale) è stato raggiunto in 16 occhi (51,6%). Purtroppo, 13 occhi (41,9%) hanno avuto un fallimento anatomico, con 8 occhi (25,8%) che hanno richiesto l’eviscerazione. Alla fine, 13 occhi (41,9%) sono rimasti senza percezione della luce.

Il Ruolo Cruciale dello Screening e della Tempestività

Questi risultati sottolineano quanto sia fondamentale identificare precocemente l’EE da Klebsiella. Grazie a una maggiore consapevolezza e a protocolli di screening universale per i pazienti con setticemia da Klebsiella (che fortunatamente sono aumentati negli ultimi anni), possiamo intercettare casi più lievi e trattarli prima che la situazione precipiti.

Se un paziente con infezione da Klebsiella presenta quei fattori prognostici favorevoli che abbiamo identificato, possiamo essere più fiduciosi nell’iniziare una terapia medica (sistemica e intravitreale) e monitorare attentamente la risposta. Questo approccio “conservativo” ha buone possibilità di funzionare in questi casi selezionati.

D’altra parte, se i segni sono gravi fin dall’inizio (scarsa vista, occhio molto infiammato, fondo non visibile), dobbiamo essere chiari con il paziente e i familiari sulla gravità della situazione, sulla prognosi infausta e sulla possibile necessità di interventi più invasivi come la vitrectomia o, nei casi peggiori, l’eviscerazione.

Considerazioni Finali e Limiti

Certo, il nostro studio ha dei limiti. La dimensione del campione, sebbene significativa per una condizione non comunissima come l’EE da Klebsiella, non è enorme. Inoltre, abbiamo escluso i pazienti sottoposti a vitrectomia, il che potrebbe introdurre un bias. Il ruolo della vitrectomia nell’EE, soprattutto da Klebsiella, rimane dibattuto e complesso, e i pochi casi che l’hanno subita nel nostro periodo di studio (e che abbiamo escluso dall’analisi principale) hanno avuto esiti scarsi. Servirebbero studi più ampi per capire meglio quando e se la chirurgia può davvero aiutare in questa specifica infezione.

Tuttavia, credo che i nostri dati offrano uno strumento utile ai medici. Forniscono prove concrete per giustificare le decisioni cliniche: essere più conservativi quando i segni sono buoni, e più proattivi (o almeno più chiari sulla prognosi) quando i segni sono cattivi fin dall’inizio. Questa informazione è preziosissima nel dialogo con pazienti e familiari, specialmente in momenti difficili quando il paziente è gravemente malato.

In conclusione, l’endoftalmite da Klebsiella è tosta, ma non sempre una battaglia persa in partenza. Identificare i segni precoci e meno gravi è la chiave per poter intervenire efficacemente con antibiotici sistemici e intravitreali, sfruttando quella “stretta finestra terapeutica” prima che il danno diventi irreversibile. Lo screening universale dei pazienti a rischio è, quindi, assolutamente cruciale!

Fonte: Springer

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