Chi Tira Davvero le Fila? Élite Politiche e il Panopticon delle Politiche Pubbliche
Ciao a tutti! Vi siete mai chiesti perché, a volte, le decisioni politiche sembrano calate dall’alto, quasi distanti anni luce dai bisogni reali di noi cittadini? O perché certe riforme, annunciate con grande clamore, poi si arenano o producono risultati ben diversi da quelli sperati? Beh, oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ insolito, per esplorare i meccanismi, spesso invisibili, che stanno dietro la formulazione delle politiche pubbliche. E vi anticipo: la questione è più complessa e, per certi versi, più “controllata” di quanto si pensi.
Modelli Teorici: Utili, ma Fino a un Certo Punto
Quando parliamo di come nascono le leggi, le strategie governative o le grandi riforme, spesso ci affidiamo a modelli teorici ben noti: il ciclo delle politiche, i flussi multipli, l’equilibrio punteggiato… nomi affascinanti, vero? Questi schemi ci aiutano a dare un ordine al caos apparente del processo decisionale. Il problema, però, è che molti di questi modelli sono nati e cresciuti nel cosiddetto “Nord Globale” – pensiamo agli Stati Uniti o all’Europa Occidentale. E qui casca l’asino, o meglio, qui la loro capacità di spiegare la realtà inizia a scricchiolare quando li applichiamo a contesti diversi, come quello indiano citato nello studio originale, ma direi, più in generale, a molte democrazie del “Sud Globale” o anche a quelle che, pur essendo nel Nord, mostrano dinamiche di potere particolari.
Questi modelli, infatti, tendono a dare una visione un po’ edulcorata del ruolo delle élite politiche. Certo, parlano di gruppi di interesse, di lobbying (che, tra parentesi, in molti Paesi del Sud Globale come l’India è illegale, anche se poi le pratiche opache esistono eccome!), di elezioni. Ma faticano a cogliere la vera portata dell’influenza, a volte schiacciante, di una ristretta cerchia di persone che, per posizione, ricchezza o relazioni, detiene le redini del potere.
La “Volontà Politica”: Un Concetto Scivoloso ma Cruciale
Ecco, qui entra in gioco un attore che spesso questi modelli sottovalutano o trattano con i guanti: l’élite politica e la sua “volontà politica“. Non parlo solo dei politici eletti, ma di un intero ecosistema che include figure chiave, consiglieri, grandi finanziatori, a volte persino leader religiosi o ideologici che, pur non avendo ruoli formali, orientano le decisioni. Il grande Gaetano Mosca, già nel lontano 1939, parlava di una “classe politica” che governa e di una classe che è governata. Sosteneva che, al di là delle forme di governo (democrazie, monarchie, aristocrazie), esiste sempre una minoranza organizzata che esercita il potere sulla maggioranza disorganizzata.
La “volontà politica”, quindi, non è solo un vago desiderio di fare qualcosa. È la capacità concreta di un gruppo di attori politici di imporre la propria agenda, di definire i problemi da affrontare (e quelli da ignorare), di scegliere le soluzioni (spesso quelle più convenienti per loro) e di mobilitare le risorse per attuarle. È un motore potente, che può accelerare o bloccare qualsiasi processo. E, come sottolineava Hammergren nel 1998, è un concetto “scivoloso”, spesso definito solo dalla sua assenza, quando una politica fallisce o non viene attuata nonostante il consenso popolare.

Il “Panopticon delle Politiche”: Quando l’Élite Osserva e Controlla Tutto
Per descrivere questa influenza pervasiva, quasi invisibile ma potentissima, lo studio da cui prendo spunto introduce un concetto affascinante e un po’ inquietante: il “policy panopticon“, il panopticon delle politiche. Vi ricordate il Panopticon di Jeremy Bentham, quella struttura carceraria ideale con una torre di controllo centrale da cui un unico sorvegliante poteva osservare tutti i detenuti, senza essere visto? I prigionieri, sapendo di poter essere osservati in ogni momento, finivano per interiorizzare il controllo e auto-disciplinarsi. Michel Foucault ha poi ripreso questa idea per descrivere come il potere disciplinare permei la società moderna, dalle scuole alle fabbriche, agli ospedali.
Ecco, il “policy panopticon” funziona in modo simile. Le élite politiche, dalla loro “torre di controllo” (spesso invisibile ai più), osservano e influenzano ogni fase del processo decisionale: dalla definizione dell’agenda, alla consultazione (spesso solo di facciata), fino all’implementazione e alla valutazione. Controllano il flusso delle informazioni, utilizzano gli “artefatti di tecno-governance” (come dashboard, piattaforme di e-participation usate strategicamente, o persino sistemi di sorveglianza basati su big data) per orientare l’opinione pubblica e assicurarsi che le politiche desiderate vedano la luce. E tutto questo, mantenendo l’illusione di un processo democratico e partecipato.
Pensateci: quante volte la partecipazione pubblica viene ridotta a una pura formalità, un “dare l’impressione” che i cittadini siano stati ascoltati, quando in realtà le decisioni cruciali sono già state prese altrove? Questo è un sintomo del panopticon politico.
Nord e Sud del Mondo: Contesti Diversi, Dinamiche Simili?
È vero, come dicevo, che le dinamiche sono particolarmente evidenti nel Sud Globale, dove le istituzioni possono essere più fragili, la capacità statale limitata, e le interferenze di gruppi di interesse locali o globali più dirette. La mancanza di quadri giuridici robusti per pratiche come il lobbying, ad esempio, aggrava i problemi sistemici di trasparenza e responsabilità. Ma non illudiamoci: anche nelle democrazie più mature del Nord Globale, l’influenza delle élite è sofisticata, magari meno sfacciata, ma non per questo meno reale. Si manifesta attraverso canali più strutturati, ma l’obiettivo finale – orientare le politiche a proprio vantaggio – spesso non cambia.
La differenza sta forse nel grado di “visibilità” del controllo. Nelle democrazie consolidate, le istituzioni costituzionali (magistratura, parlamento, organi di garanzia) dovrebbero essere più indipendenti e fare da contrappeso. Nelle democrazie in evoluzione o, ahimè, in quelle in declino, questa indipendenza è spesso erosa, e la volontà politica dell’élite al potere può manifestarsi in forme quasi autoritarie.
Sette Indicatori per Smascherare il Panopticon
Lo studio che sto commentando non si limita a denunciare il problema, ma propone anche una sorta di “cassetta degli attrezzi” per analizzare meglio la realtà. Ha identificato sette indicatori chiave della “volontà politica” e del suo impatto, che possono aiutarci a capire quanto i modelli di policy making siano aderenti alla realtà o meno:
- Influenza della classe politica: Quanto peso hanno le élite nel processo?
- Discorso sulla volontà politica nella formulazione delle politiche: Se ne parla apertamente o è un tabù?
- Interazione socio-politica: Come interagiscono i vari attori sociali e politici?
- Partecipazione popolare: È reale e significativa o solo di facciata?
- Artefatti tecnologici e di governance: Come vengono usati (o abusati) gli strumenti digitali e le procedure amministrative?
- Politiche inclusive: Le politiche mirano a ridurre le disuguaglianze e l’esclusione sociale (come ci insegna Amartya Sen con il suo “capability approach”) o le accentuano?
- Panoptismo: Esiste un sistema di sorveglianza e controllo pervasivo da parte delle élite?
Analizzando i cinque framework di policy più noti (Policy Cycle, Multiple Streams Framework, Punctuated Equilibrium Theory, Policy Feedback Theory, Advocacy Coalition Framework) attraverso queste lenti, emerge chiaramente che la maggior parte di essi sottovaluta enormemente l’influenza della classe politica, la volontà politica e, soprattutto, l’impatto degli artefatti di tecno-governance e il fenomeno del panoptismo. La Policy Feedback Theory sembra essere quella che, in alcuni aspetti, si avvicina di più a considerare queste dinamiche, ma c’è ancora molta strada da fare.

Tecnologia: Alleata della Democrazia o Strumento di Controllo?
Un punto su cui voglio soffermarmi è il ruolo della tecnologia. Viviamo nell’era digitale, e gli strumenti tecnologici potrebbero essere potentissimi alleati per una maggiore trasparenza, partecipazione e accountability. Piattaforme di e-participation, open data, intelligenza artificiale per analizzare i bisogni dei cittadini… le potenzialità sono enormi. Ma, come ogni strumento, la tecnologia è neutra solo fino a un certo punto; dipende da chi la usa e per quali fini.
Nel contesto del “policy panopticon”, la tecnologia può diventare un formidabile strumento di controllo. Pensiamo ai sistemi di credito sociale in Cina, alla sorveglianza di massa per reprimere il dissenso (come durante la Primavera Araba), o allo scandalo Cambridge Analytica che ha manipolato gli elettori nelle elezioni USA del 2016. Anche l’uso opaco di tecnologie come le macchine per il voto elettronico (EVM) in India, o i meccanismi di sorveglianza pubblica basati su big data come PRISM negli USA, sollevano interrogativi inquietanti. La natura “black box” di molte di queste tecnologie rende difficile capirne il vero ruolo e l’influenza futura, specialmente quando la volontà politica dominante le piega ai propri scopi.
La classe politica usa la tecnologia per costruire consenso, a volte manipolando l’opinione pubblica, per assicurarsi che non ci siano sollevazioni di massa contro le politiche desiderate. E questo è un aspetto che i nostri modelli di policy making faticano terribilmente a cogliere.
Le Conseguenze: Quando le Politiche Servono Pochi e Non Molti
Ma perché dovremmo preoccuparci di tutto questo? Perché se non comprendiamo chi tira veramente le fila e come lo fa, rischiamo di avere politiche che:
- Non rispondono ai bisogni reali della maggioranza, ma agli interessi di pochi.
- Aumentano le disuguaglianze e l’esclusione sociale, invece di ridurle. Pensiamo alle critiche di Amartya Sen sulle politiche che, pur sembrando inclusive, finiscono per danneggiare i più deboli o favorire i potentati economici a scapito del benessere sociale e ambientale.
- Minano la fiducia nelle istituzioni democratiche, perché i cittadini si sentono presi in giro, non ascoltati, semplici spettatori di decisioni prese altrove.
- Rendono difficile l’accountability: se il vero potere è invisibile, chi chiamiamo a rispondere quando le cose vanno male?
Sintomi di questo “panopticon politico” possono essere l’aumento delle restrizioni alla libertà di parola, la difficoltà a criticare le politiche governative, una sorveglianza di massa crescente, l’aumento delle disparità di reddito, la tendenza a mercati monopolistici e la riduzione dei benefici sociali (spesso etichettati come “assistenzialismo” o “freebies” in modo dispregiativo).

Cosa Possiamo Fare? Verso una Comprensione Più Realistica
Non voglio lasciarvi con un senso di impotenza. Riconoscere l’esistenza del “policy panopticon” e il ruolo cruciale della volontà politica delle élite è il primo passo per sviluppare un approccio più critico e consapevole alla formulazione delle politiche. Come diceva Harold Lasswell, uno dei padri della scienza delle politiche, “l’anima della scienza delle politiche risiede nel maggior bene sociale della società, e questo non può essere raggiunto se non critichiamo l’élite politica, il suo funzionamento nelle politiche pubbliche e come ottiene ciò che vuole”.
Abbiamo bisogno di quadri di analisi che non si limitino a descrivere processi ideali o validi solo per alcuni contesti, ma che tengano conto delle dinamiche di potere reali, dell’influenza delle élite, dell’uso strategico della tecnologia e della necessità di una partecipazione autentica e inclusiva. Dobbiamo chiederci: le nostre teorie ci aiutano a capire come le cose dovrebbero andare o come effettivamente vanno, con tutte le loro storture e i loro giochi di potere?
Senza questa analisi critica, rischiamo di rimanere semplici spettatori in un moderno panopticon politico, dove le élite sorvegliano, controllano e manipolano la governance mantenendo l’illusione dell’inclusività e della partecipazione. E questo, lasciatemelo dire, non è un bello spettacolo per la salute delle nostre democrazie.
La sfida, quindi, è quella di affinare i nostri strumenti di comprensione, di essere più consapevoli di queste dinamiche e di pretendere maggiore trasparenza e responsabilità da chi prende decisioni che impattano la vita di tutti noi. Solo così potremo sperare in politiche pubbliche che siano veramente al servizio del bene comune e non degli interessi di pochi privilegiati.
Fonte: Springer
