Primo piano fotorealistico di una batteria a stato solido avanzata sezionata, che mostra l'interfaccia tra l'elettrodo al litio metallico e l'elettrolita polimerico quasi solido (QSSE). Dettagli elevati sull'interfaccia, illuminazione da laboratorio controllata, obiettivo macro 85mm.

Batterie allo Stato Solido: Il Segreto per Farle Durare di Più (Senza Smontarle!)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona tantissimo: le batterie. Non quelle noiose che cambiamo nel telecomando, ma quelle che alimentano il nostro futuro, come quelle delle auto elettriche. Sapete, la corsa verso batterie con più energia e più sicure è diventata una vera e propria ossessione, e giustamente! Una delle strade più promettenti è quella degli elettroliti allo stato solido, che potrebbero sostituire quelli liquidi tradizionali, un po’ infiammabili e non proprio amici degli elettrodi al litio metallico ad alta capacità.

Tra i vari tipi di elettroliti solidi, quelli polimerici (SPE) hanno un sacco di vantaggi: sono flessibili, aderiscono bene agli elettrodi, costano meno e sono più stabili all’aria. Fantastico, no? Beh, quasi. Hanno due grossi nei: una conducibilità ionica (la capacità di far muovere gli ioni di litio, Li+) un po’ bassina e una finestra elettrochimica (l’intervallo di voltaggio in cui funzionano senza degradarsi) piuttosto stretta.

Per migliorare la conducibilità, è nata l’idea degli elettroliti quasi-solidi (QSSE), che contengono una piccola quantità di liquido “intrappolato” nel polimero. E funzionano! La conducibilità migliora parecchio. In particolare, quelli polimerizzati in situ, cioè direttamente dentro la batteria durante l’assemblaggio, sono i preferiti perché si integrano meglio nelle linee di produzione attuali.

Il Problema dei Materiali Attuali

Finora, per la polimerizzazione in situ si usano principalmente monomeri come il PEGMA, il VEC o il VC. Ma c’è un “ma”. Il PEGMA contiene catene eteree che si ossidano facilmente a voltaggi elevati. Il VEC e il VC, invece, non polimerizzano completamente (solo il 50-80%), lasciando monomeri residui con doppi legami che, indovinate un po’? Si ossidano sopra i 4.3 V. Risultato: anche se ci sono tanti studi su elettroliti polimerici per alte tensioni, raramente le batterie vengono caricate oltre i 4.5 V. Un bel limite!

Inoltre, come si muovono esattamente gli ioni Li+ in questi QSSE? Non è ancora chiarissimo, ed è fondamentale capirlo per progettare materiali migliori. E c’è un altro problema: anche se le reazioni indesiderate all’interfaccia tra elettrolita e litio metallico sono ridotte, quelle poche che rimangono consumano pian piano il poco liquido presente, facendo aumentare la resistenza e calare le prestazioni. Il liquido, essendo confinato, non riesce a “bagnare” di nuovo l’interfaccia come farebbe in una batteria liquida.

Quindi, per un QSSE ad alte prestazioni servono:

  • Alto grado di polimerizzazione senza monomeri residui.
  • Forte affinità tra polimero e solvente (per confinare bene il liquido, ma magari poterlo rilasciare in modo controllato).
  • Capacità di solvatazione “giusta” di polimero e solvente per facilitare il movimento degli ioni Li+.
  • E, non dimentichiamolo, costi contenuti!

Primo piano macro di un elettrolita polimerico quasi solido (QSSE) trasparente e gelatinoso. Illuminazione controllata per evidenziare la texture omogenea, obiettivo macro 90mm, alta definizione.

La Nostra Soluzione: Monomeri Acrilici Senza Eteri

Considerando che gli acrilati polimerizzano molto bene anche in presenza di litio metallico, ho pensato: perché non sviluppare monomeri acrilici senza unità eteree (quelle che si ossidano facilmente) e con gruppi chimici capaci di “legare” il Li+? Detto, fatto! Ho sintetizzato una famiglia di nuovi monomeri: DOA, PCEA, AEEO, AAPC e AAEO. La cosa fantastica è che, in presenza di litio metallico ed elettrodi positivi (come quelli delle batterie vere), questi monomeri polimerizzano quasi al 100%! Niente monomeri residui con doppi legami pronti a ossidarsi. Bingo!

Mescolando il 30% di questi monomeri con elettroliti liquidi standard (contenenti solventi come EC, DEC, DMC e sale LiPF6) e polimerizzando, otteniamo delle membrane QSSE con conducibilità superiori a 1.0 × 10⁻³ S cm⁻¹, ottime!

Capire Come si Muovono gli Ioni: Affinità e Solvatazione

Qui le cose si fanno interessanti. Ho scoperto che la conducibilità ionica dipende tantissimo da due fattori: l’affinità tra polimero e solvente e la struttura di solvatazione (come il Li+ viene circondato da polimero e solvente).

Una forte affinità polimero-solvente è un bene: crea un gel omogeneo dove gli ioni Li+ possono muoversi senza ostacoli. Se l’affinità è scarsa (come tra il polimero P(DOA) e il solvente DEC), si formano micro-separazioni di fase, come delle piccole “isole” di liquido in un mare di polimero solido, che bloccano il passaggio degli ioni. L’abbiamo visto chiaramente: il P(DOA) in DEC forma un gel opaco, segno di separazione, mentre con altri solventi (come l’EC) forma gel trasparenti e omogenei. Studiando con tecniche come NMR e FT-IR, abbiamo confermato che l’EC ha un’affinità maggiore con i nostri polimeri rispetto al DMC e soprattutto al DEC.

E la solvatazione? Qui la regola è un po’ controintuitiva. Per il solvente liquido (che è mobile), una capacità di solvatare (circondare e “trasportare”) il Li+ più forte è meglio, perché aiuta lo ione a muoversi. L’EC, ad esempio, solvata meglio del DEC. Ma per le catene polimeriche (che sono immobili), è il contrario! Una capacità di solvatazione più debole è preferibile, perché rende più facile per il Li+ “sganciarsi” dal polimero e saltare a un altro sito di coordinazione. Simulazioni al computer (MD e DFT) e misure sperimentali (NMR del ⁷Li) ci hanno mostrato proprio questo: il polimero P(AEEO), che ha gruppi ossalato che legano il Li+ più debolmente rispetto ai gruppi carbonato ciclico del P(DOA), permette una conducibilità ionica più alta.

Quindi, il segreto è un equilibrio: buona affinità polimero-solvente per l’omogeneità, solvente liquido che solvata forte e polimero solido che solvata debole.

Visualizzazione astratta del movimento degli ioni Litio (sfere luminose) attraverso una matrice polimerica quasi solida. Percorsi tortuosi evidenziati, focus nitido sugli ioni, stile fotorealistico scientifico.

Alla Prova dei Fatti: Batterie ad Alta Tensione

Ok, la teoria è bella, ma funzionano davvero queste QSSE? Assolutamente sì! Abbiamo assemblato batterie Li||NCM85 (un catodo molto usato), Li||LCO (caricato fino a 4.6 V!) e Li||LRMO (fino a 4.8 V!) polimerizzando i nostri monomeri in situ. I risultati sono stati eccellenti:

  • Le celle Li||NCM85 hanno mantenuto l’80±5% della capacità dopo 500 cicli a 1C.
  • Le celle Li||LCO (a 4.6 V) hanno mantenuto l’80±5% dopo 300 cicli a 1C.
  • Le celle Li||LRMO (a 4.8 V) hanno mantenuto il 91% dopo 100 cicli a 0.2C.

Questi risultati confermano l’alta stabilità a voltaggi elevati dei nostri QSSE senza eteri e con polimerizzazione completa. Confrontando con VEC, VC e PEGMA nelle stesse condizioni (Li||LCO a 4.6 V), questi ultimi hanno mostrato prestazioni decisamente peggiori, proprio a causa dell’ossidazione dei monomeri residui o delle catene eteree. Abbiamo anche costruito delle pouch cell (batterie più grandi, simili a quelle commerciali) con NCM90 e litio metallico sottile, ottenendo un’energia specifica di 489 Wh/kg con un’ottima ritenzione di capacità (93-96% dopo 50 cicli). Promettente, vero?

Un Trucco “Freddo” per Allungare la Vita delle Batterie

Anche se i nostri QSSE riducono molto i problemi all’interfaccia con il litio metallico (lo abbiamo visto con analisi ToF-SIMS e misure di impedenza DRT, che mostrano SEI più sottili e stabili rispetto agli elettroliti liquidi), un po’ di degrado e consumo di liquido nel tempo c’è sempre. E siccome il liquido è confinato, non può “rinfrescare” l’interfaccia. Questo porta a un calo di capacità.

Ma qui arriva la vera chicca, un’idea un po’ folle ma che funziona! Abbiamo scoperto che raffreddando le nostre QSSE a -50 °C, le catene polimeriche tendono a cristallizzare (lo abbiamo confermato con DSC, WAXS e XRD). Questo processo fisico “spreme fuori” il solvente liquido che era intrappolato nella matrice polimerica amorfa. Il liquido rilasciato va così a ribagnare l’interfaccia tra litio metallico ed elettrolita, che si era “seccata”. Poi, riportando la batteria a temperatura ambiente, il polimero torna amorfo, riassorbe il liquido e il QSSE omogeneo si riforma, ricostruendo un’interfaccia funzionante.

Abbiamo provato questo “trattamento di congelamento” su celle Li||NCM85 che avevano già fatto 600 cicli e stavano perdendo capacità. Dopo averle tenute a -50 °C per 12 ore e riportate a temperatura ambiente, la capacità è aumentata del 7-10%! E le celle hanno continuato a ciclare stabilmente per altri 200 cicli. In pratica, abbiamo esteso la vita della batteria di circa un terzo, senza aprirla, senza reazioni chimiche strane, senza alte temperature. Un metodo non distruttivo per dare nuova vita alle batterie!

Diagramma schematico che illustra il processo di congelamento (-50°C) di un QSSE, mostrando la cristallizzazione del polimero e il rilascio del solvente, seguito dal ritorno allo stato amorfo a temperatura ambiente con interfaccia rigenerata. Stile infografica scientifica fotorealistica.

In conclusione, abbiamo sviluppato nuovi monomeri acrilici senza eteri che polimerizzano al 100% in situ, creando QSSE stabili ad alte tensioni (fino a 4.8 V). Abbiamo capito meglio come l’affinità polimero-solvente e le capacità di solvatazione influenzano il movimento degli ioni Li+. E, forse la cosa più eccitante, abbiamo trovato un modo semplice e sicuro, basato sulla cristallizzazione reversibile a bassa temperatura, per estendere la vita delle batterie QSSE senza doverle smontare. Credo che queste scoperte aprano strade interessanti per batterie più durature, sicure ed energetiche. C’è ancora lavoro da fare, ma la direzione sembra quella giusta!

Fonte: Springer

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