Immagine fotorealistica, lente primaria 35 mm, che mostra una sezione trasversale di una colonna di cemento armato dopo l'esposizione al fuoco. Un lato mostra gravi danni al calore e spalling, rivelando barre d'acciaio, mentre il nucleo rimane relativamente intatto. Concentrati sul contrasto tra zone danneggiate e non danneggiate, profondità di campo.

Cemento e Fuoco: La Forza Nascosta dei Materiali Supplementari nelle Colonne

Avete mai pensato a cosa succede davvero a una colonna di cemento armato quando viene investita dal fuoco? Io sì, e vi assicuro che è un argomento più affascinante (e cruciale) di quanto possa sembrare a prima vista. Lavorando nel campo, mi sono spesso interrogato su come migliorare la resistenza delle nostre strutture in caso di incendio. E una delle strade più promettenti, oggi, passa attraverso l’uso dei cosiddetti Materiali Cementizi Supplementari, o SCM (dall’inglese Supplementary Cementitious Materials).

Perché gli SCM sono così importanti?

Diciamocelo, produrre cemento ha un impatto ambientale notevole, soprattutto in termini di emissioni di CO2. Gli SCM, come le ceneri volanti (fly ash) o le scorie d’altoforno (slag), sono spesso sottoprodotti industriali che, se aggiunti all’impasto del calcestruzzo in parziale sostituzione del cemento Portland tradizionale, non solo ci aiutano a ridurre l’impronta ecologica, ma possono anche migliorare le prestazioni del calcestruzzo stesso, come la sua durabilità. Un doppio vantaggio, insomma!

Ma la domanda che mi (e ci) tormentava era: come si comportano questi calcestruzzi “speciali” dopo essere stati esposti alle alte temperature di un incendio? E, soprattutto, come influisce questo comportamento sulla capacità portante residua di elementi strutturali fondamentali come le colonne?

Cosa diceva la ricerca (e cosa mancava)

Negli ultimi anni, la ricerca si è data da fare. Diversi studi hanno mostrato che gli SCM possono effettivamente migliorare la resistenza al fuoco e la resistenza meccanica del calcestruzzo ad alte temperature. Addirittura, sembra che aiutino a prevenire quel fenomeno pericoloso chiamato “spalling” (il distacco esplosivo di pezzi di calcestruzzo) fino a temperature di 350-450 °C. Pare che questi materiali rendano la struttura interna del gel C-S-H (il “collante” del cemento) più densa e che abbiano persino proprietà di “auto-guarigione” dopo l’incendio, durante la fase di raffreddamento e ricondizionamento.

Fino a 400-450 °C, la resistenza residua spesso migliora o si mantiene bene. Oltre i 500 °C, però, le cose iniziano a peggiorare, con un degrado significativo delle prestazioni. Tutto molto interessante a livello di materiale, ma mancava un tassello fondamentale: capire come tutto questo si traduceva nel comportamento reale di una struttura complessa come una colonna in cemento armato dopo un incendio. Qualche studio su travi o solai c’era, con risultati a volte contrastanti, ma sulle colonne, soprattutto quantificando l’effetto preciso delle diverse percentuali e tipi di SCM, il quadro era ancora incompleto.

La nostra indagine: dal provino alla colonna virtuale

Ed è qui che entra in gioco il nostro studio. Abbiamo deciso di colmare questa lacuna, andando a vedere nel dettaglio come diverse miscele di SCM influenzassero sia il materiale (il calcestruzzo) sia la struttura (la colonna).

Come abbiamo fatto? In due fasi:

  1. Test sui materiali: Abbiamo preparato dei provini cilindrici di calcestruzzo con diverse combinazioni di ceneri volanti e scorie d’altoforno, sostituendo dal 0% fino a un notevole 30% del legante totale. Le miscele principali erano:
    • F0-S0: Cemento puro (il nostro controllo)
    • F20-S0: 20% ceneri volanti, 0% scorie
    • F5-S15: 5% ceneri volanti, 15% scorie
    • F10-S10: 10% ceneri volanti, 10% scorie
    • F15-S5: 15% ceneri volanti, 5% scorie
    • LF30-S10: Una miscela “low cement” con 30% ceneri volanti e 10% scorie.

    Abbiamo “cotto” questi provini a 200 °C, 500 °C e 800 °C per 3 ore e poi, una volta raffreddati, li abbiamo schiacciati per misurarne la resistenza e il modulo elastico residui, ottenendo le curve sforzo-deformazione.

  2. Simulazioni strutturali: Armati dei dati sperimentali sul comportamento dei materiali, abbiamo costruito dei modelli computerizzati super dettagliati (usando l’analisi agli elementi finiti, FEA) di colonne in cemento armato a grandezza naturale (45x75x300 cm). In questi modelli abbiamo inserito le proprietà specifiche di ogni miscela di calcestruzzo post-riscaldamento. Abbiamo simulato un incendio realistico (secondo la curva ISO 834) su tre lati della colonna (immaginandola come una colonna esterna) per 2 ore, applicando contemporaneamente un carico assiale eccentrico (per simulare condizioni di carico non perfettamente centrate, molto comuni nella realtà). Dopo la fase di “incendio virtuale”, abbiamo analizzato la capacità portante residua delle colonne danneggiate, spingendole fino al collasso (sempre virtualmente).

Macro fotografia, obiettivo da 80 mm, di un campione di cemento cilindrico che mostra fessure sottili dopo essere state riscaldate in un forno da laboratorio. L'illuminazione controllata evidenzia la trama e le modifiche al colore. Dettagli elevati, concentrazione precisa.

Risultati sorprendenti: non è solo questione di materiale!

I test sui materiali hanno confermato alcune tendenze note: a 200 °C, alcune miscele con SCM (F20-S0 e LF30-S10) hanno mostrato addirittura una resistenza superiore a quella del calcestruzzo non riscaldato, probabilmente grazie a quei fenomeni di auto-guarigione di cui parlavamo. A 500 °C e 800 °C, invece, il calo di resistenza e modulo elastico era evidente per tutti. Curiosamente, le miscele ternarie (quelle con sia ceneri che scorie, come F5-S15, F10-S10, F15-S5) hanno mostrato moduli elastici residui interessanti a tutte le temperature, ma era difficile identificare una miscela “vincitrice” assoluta a livello di materiale. Il comportamento variava.

Ma la vera sorpresa è arrivata dalle simulazioni sulle colonne. Tenetevi forte: la colonna realizzata con la miscela F10-S10 (10% ceneri, 10% scorie) è risultata quella con la massima capacità portante residua dopo l’incendio! E questo, nonostante il calcestruzzo F10-S10, nei test sui materiali, non fosse sempre il migliore in termini di resistenza o modulo elastico rispetto agli altri, né a temperatura ambiente né dopo l’esposizione al calore.

Cosa ci dice questo? Una cosa fondamentale: non possiamo giudicare la performance post-incendio di una colonna basandoci solo sulle proprietà residue del calcestruzzo misurate su piccoli provini. Il comportamento strutturale globale è più complesso, influenzato dalle interazioni tra calcestruzzo e acciaio d’armatura, dalla distribuzione delle temperature nella sezione, dalle deformazioni indotte dal calore e dal carico. Serve un’analisi a livello strutturale, che sia sperimentale su elementi reali o numerica come la nostra.

Metodo della Isoterma 500 °C: è ancora valido?

Questo risultato mette anche in discussione l’applicabilità universale di metodi semplificati, come quello dell’isoterma a 500 °C proposto dall’Eurocodice 2. Questo metodo assume, in pratica, che tutto il calcestruzzo che ha superato i 500 °C sia “perso” ai fini della resistenza, mentre quello rimasto sotto i 500 °C mantenga le sue proprietà originali. Abbiamo confrontato i risultati delle nostre simulazioni con i calcoli fatti usando questo metodo. Mentre per il calcestruzzo senza SCM (F0-S0) la differenza era minima (1.4%), per la miscela a basso contenuto di cemento (LF30-S10) la discrepanza saliva a quasi il 13%! Questo perché il metodo semplificato si basa molto sulla resistenza iniziale del calcestruzzo, senza catturare appieno come gli SCM modifichino il comportamento residuo reale dopo l’incendio. Servono quindi cautele e ulteriori ricerche prima di applicare questi metodi semplificati ai calcestruzzi con SCM.

Le lenti da 20 mm ad angolo largo, catturando una colonna in cemento armato parzialmente danneggiato in una configurazione di test post-fuoco. La messa a fuoco è affilata sulla superficie del cemento spallate e sull'armatura in acciaio a vista. Rappresentazione realistica di danni strutturali mediante illuminazione controllata.

Un legame nascosto: la chiave è tra 400 e 500 °C

Nonostante la performance della colonna non sia direttamente proporzionale alla resistenza del materiale a una singola temperatura, abbiamo trovato una correlazione interessante. Abbiamo calcolato il “rapporto di resistenza residua” sia per i provini di calcestruzzo (resistenza dopo cottura / resistenza a freddo) sia per le colonne (carico massimo post-incendio / carico massimo colonna non incendiata).

Abbiamo notato che le miscele che mostravano rapporti di resistenza residua più alti a livello di materiale (come F20-S0, F10-S10, LF30-S10) tendevano ad avere anche rapporti di resistenza residua più alti a livello di colonna. E tracciando un grafico, abbiamo visto che il rapporto di resistenza residua della colonna corrispondeva, grosso modo, al rapporto di resistenza residua del materiale quando questo era stato esposto a temperature comprese tra i 400 °C e i 500 °C (con valori specifici leggermente diversi per ogni miscela, ma tutti in quel range). Questo suggerisce che, per prevedere la capacità residua della colonna, è particolarmente importante conoscere bene come si comporta il calcestruzzo in quella specifica fascia di temperature.

SCM: un vantaggio anche dopo l’incendio?

Un ultimo confronto interessante è tra la colonna F0-S0 (cemento puro) e la LF30-S10 (basso contenuto di cemento, alta percentuale di SCM). Anche se il calcestruzzo F0-S0 era leggermente più resistente a temperatura ambiente, la colonna LF30-S10 ha mostrato una capacità portante residua post-incendio superiore (14710 kN contro 14258 kN) e un rapporto di resistenza residua significativamente più alto (66.9% contro 59.5%). Questo indica che sostituire una parte consistente di cemento con SCM non solo è positivo per l’ambiente, ma può anche migliorare la resilienza della struttura dopo un incendio. Mica male!

Cosa ci portiamo a casa?

Questa ricerca ci ha insegnato molto:

  • Gli SCM influenzano il comportamento del calcestruzzo dopo un incendio, ma non c’è una ricetta unica “migliore” a livello di materiale per tutte le temperature.
  • La capacità portante residua di una colonna in c.a. post-incendio non può essere prevista basandosi solo sui test sui materiali. Serve un’analisi strutturale.
  • La miscela F10-S10 (10% ceneri, 10% scorie) ha dato i risultati migliori a livello di colonna nel nostro studio.
  • Metodi semplificati come l’isoterma 500 °C vanno usati con cautela per calcestruzzi con SCM, specialmente quelli a basso contenuto di cemento.
  • C’è una forte correlazione tra il rapporto di resistenza residua della colonna e quello del calcestruzzo esposto a temperature tra 400-500 °C.
  • L’uso di SCM in sostituzione del cemento sembra migliorare la capacità portante residua delle colonne dopo un incendio.

C’è ancora strada da fare, ovviamente. Bisognerebbe studiare altri tipi di SCM, calcestruzzi ad altissime prestazioni, l’effetto sul taglio e sulla trazione, ma credo che abbiamo aggiunto un pezzo importante al puzzle della sicurezza antincendio delle strutture in calcestruzzo armato. E abbiamo confermato che, a volte, le soluzioni più sostenibili possono riservare anche piacevoli sorprese in termini di performance!

Fonte: Springer

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