Educazione in Emergenza in Sudan: Soccorso Sì, Ma a Quali Condizioni?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio, un po’ scomodo forse, ma necessario, nel cuore di una questione tanto urgente quanto complessa: l’educazione in contesti di emergenza (EiE), e più specificamente, cosa sta succedendo in Sudan. Vi siete mai chiesti come si fa a garantire il diritto allo studio quando tutto intorno crolla? E soprattutto, chi decide come farlo e con quali soldi?
Il Sudan, purtroppo, è da tempo uno dei principali “beneficiari” – metto le virgolette perché c’è tanto da dire su questo termine – di programmi di EiE. Conflitti che non finiscono mai, crisi umanitarie prolungate… un cocktail micidiale per il sistema educativo. E come se non bastasse, la guerra scoppiata nell’aprile 2023 ha gettato benzina sul fuoco, costringendo milioni di persone a fuggire e mandando in tilt una situazione già precaria. Pensate che a ottobre 2023 si stimava che 19 milioni di bambini fossero fuori da scuola. Diciannove milioni! Di questi, 6,5 milioni hanno perso l’accesso all’istruzione a causa della violenza e dell’insicurezza legate al conflitto, mentre quasi 7 milioni erano già esclusi prima che la crisi si aggravasse. Numeri da capogiro, che fanno male solo a leggerli.
Un Paese Sotto Assedio Continuo
Ma la guerra del 2023 è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di crisi sovrapposte. Il 2020, ad esempio, è stato un anno spartiacque. Oltre alla pandemia globale di COVID-19, il Sudan ha dovuto affrontare una crisi economica devastante e inondazioni catastrofiche che hanno colpito 17 dei suoi 18 stati. Immaginatevi la scena: povertà che aumenta, proteste contro il governo, instabilità politica alle stelle. E non dimentichiamoci la vicinanza a regioni altrettanto turbolente come il Sud Sudan, la Libia e l’Etiopia, che non fa che complicare le cose. Questa convergenza di disastri in un breve lasso di tempo ci permette, però, di analizzare come hanno risposto gli attori statali e non statali, sia singolarmente che collettivamente. Una specie di “stress test” per capire cosa funziona e cosa no.
In mezzo a questo caos, le politiche educative interne del Sudan si scontrano e si intrecciano con i quadri globali dell’EiE, mostrando punti di contatto ma anche parecchie frizioni. Da un lato, il Sudan si impegna a raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 4 dell’ONU (Istruzione di Qualità), e questo è un bene. Dall’altro, però, l’attuazione di questo impegno dipende pesantemente da finanziamenti e competenze esterne. Come dicono Novelli e Kutan (2023), è un campo “particolarmente dipendente finanziariamente e politicamente da un insieme molto ristretto di finanziatori e agenzie”. Affrontare queste dipendenze è cruciale se vogliamo interventi educativi sostenibili, soprattutto considerando il ruolo crescente dell’educazione nella costruzione della pace a lungo termine nelle regioni colpite da conflitti.
Ecco perché mi sono immersa in questo studio: per capire chi sono gli attori chiave che forniscono programmi di EiE in Sudan e se queste iniziative sono più orientate all’aiuto umanitario o allo sviluppo a lungo termine. E poi, come l’interazione tra contesti politici locali e globali influenza la progettazione e l’implementazione di questi programmi. Nonostante le sfide educative di lunga data del Sudan, c’è una sorprendente carenza di letteratura accademica sul suo sistema educativo, sia nel contesto dell’EiE che per quanto riguarda politiche e governance più ampie. Un motivo in più per approfondire!

Le Radici Profonde dell’EiE: Colonialismo e Umanitarismo
Per capire l’EiE oggi, dobbiamo fare un passo indietro e guardare a due paradigmi dominanti: la decolonizzazione e il dibattito tra umanitarismo tradizionale e nuovo umanitarismo. Questi concetti non solo modellano il discorso attuale sull’aiuto umanitario, ma evidenziano anche la relazione complessa e spesso conflittuale tra educazione, potere e politica in contesti di crisi, specialmente in stati fragili come il Sudan. Mario Novelli e Birgul Kutan ci ricordano, in modo piuttosto provocatorio, che “oggi, la Bibbia e il fucile sono stati sostituiti dall’intervento/missione di peacekeeping/umanitaria e il missionario dall'(I)NGO e dall’operatore umanitario”. Forte, vero? Usano l’esempio del lavoro di Uma Kothari, che sfida l’idea che lo sviluppo sia emerso solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, suggerendo invece che si sia evoluto negli anni ’30 come estensione del controllo coloniale. Questa prospettiva ci fa riconsiderare le radici dello sviluppo internazionale, sottolineando la continuità tra colonialismo e pratiche di sviluppo moderne.
Kothari critica la visione binaria del colonialismo come intrinsecamente oppressivo e dello sviluppo internazionale come benevolo, indicando le loro comuni origini imperialiste. Questi tratti coloniali sono profondamente radicati in varie pratiche di intervento, incluso lo sviluppo di indicatori tematici globali, uno dei quali monitora gli attacchi all’educazione. Sebbene questo indicatore sia ampiamente correlato all’EiE, ha una particolare rilevanza per il Sudan. Amy Kapit (2024) sostiene che, sebbene gli indicatori che tracciano gli attacchi all’educazione siano strumenti preziosi per l’advocacy e le politiche, non sono né neutrali né del tutto oggettivi. Il suo studio sulla Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA) sottolinea la necessità di un approccio più completo alla documentazione degli attacchi, che vada oltre i dati numerici per catturare le più ampie conseguenze sociali ed educative della violenza. Nonostante questi limiti, gli indicatori rimangono cruciali per attirare l’attenzione internazionale e assicurarsi finanziamenti, poiché le ONG internazionali (INGO), le agenzie ONU e i governi si basano su di essi per giustificare interventi e definire risposte politiche. Tuttavia, la dipendenza da metriche semplificate rischia di produrre conclusioni fuorvianti e promuovere soluzioni uniformi che potrebbero non affrontare adeguatamente i contesti locali.
Questa critica si estende alle pratiche contemporanee di EiE in Sudan, dove i dati della GCPEA non solo sono citati da Save the Children nei loro rapporti sul Sudan, ma a volte sono commissionati da agenzie ONU, come l’UNICEF, per produrre questi rapporti. Inoltre, queste strutture di aiuto dominate dall’Occidente continuano a rafforzare le dinamiche di potere coloniali attraverso i finanziamenti. Ad esempio, da quando è diventato un paese partner nel 2012, il Sudan ha ricevuto quasi 179 milioni di dollari in sovvenzioni dalla Global Partnership for Education (GPE). Questi fondi sono principalmente convogliati attraverso l’UNICEF e Save the Children, entrambi dipendenti dai contributi di un piccolo gruppo di donatori occidentali, tra cui l’Unione Europea (UE) e il Regno Unito (UK). Di conseguenza, questi attori rafforzano ulteriormente la loro influenza e perpetuano relazioni di potere diseguali.
Allo stesso modo, Novelli e Kutan (2023) sostengono che istituzioni come l’Institute of Education (IOE) di Londra, che ha svolto un ruolo chiave nei progetti educativi coloniali progettati per rafforzare la superiorità occidentale, continuano a mantenere la loro storica gerarchia coloniale. Nonostante gli sforzi per distanziare i sistemi educativi moderni da queste origini, gli effetti dell’epistemicidio e dell’imperialismo linguistico persistono. L’Università di Khartoum trae le sue origini dal Gordon Memorial College, fondato nel 1902 durante il dominio anglo-egiziano. Nello stesso anno, l’IOE fu fondato a Londra come centro chiave per la formazione degli ufficiali dell’educazione coloniale che venivano dispiegati in tutto l’Impero Britannico, incluso il Sudan. Politici ed educatori britannici formati all’IOE hanno svolto ruoli significativi nella definizione dei curricula, della formazione degli insegnanti e delle politiche educative in Sudan, rafforzando un modello che dava priorità all’istruzione in lingua inglese e alla formazione amministrativa rispetto a un più ampio accesso all’istruzione. Questa struttura si allineava con l’obiettivo dell’amministrazione coloniale di produrre una piccola classe d’élite di funzionari sudanesi piuttosto che promuovere uno sviluppo educativo diffuso.

Umanitarismo Tradizionale vs. Nuovo Umanitarismo: Una Lente Critica
La distinzione tra umanitarismo tradizionale e nuovo umanitarismo, come delineata da Dana Burde e ulteriormente sviluppata, ci offre una lente critica per capire il ruolo mutevole dell’educazione nell’azione umanitaria, al di là della prospettiva coloniale. Ci sono due gruppi: i tradizionalisti vedono lo spazio umanitario come politicamente neutro, insistendo su una rigida separazione tra aiuti e politica. La loro preoccupazione principale è affrontare i bisogni immediati senza invischiarsi in agende politiche più ampie. Al contrario, i “nuovi umanitari” – tra cui UNICEF, International Rescue Committee (IRC) e Save the Children, organizzazioni chiave che operano attualmente in Sudan – sostengono che affrontare le cause profonde dei conflitti, come le disuguaglianze sociali ed economiche, sia essenziale per una pace sostenibile. Essi, di fatto, cercano di espandere il mandato umanitario per includere trasformazioni a lungo termine che mirano alle ingiustizie sottostanti. Questo approccio si allinea con l’internazionalismo di Woodrow Wilson, che promuoveva l’uso della politica estera come strumento per far avanzare la democrazia e il liberalismo a livello globale.
Questa dicotomia è particolarmente evidente nel campo dell’EiE. I tradizionalisti enfatizzano interventi educativi a breve termine che si concentrano esclusivamente sulla risposta ai bisogni urgenti, come fornire materiale scolastico di base o allestire aule temporanee. I nuovi umanitari, d’altra parte, propugnano una visione più ampia che cerca di trasformare i sistemi educativi e le più ampie strutture socio-politiche che contribuiscono alle crisi. Le tensioni tra umanitarismo tradizionale e nuovo riflettono anche una più profonda divisione ideologica. I tradizionalisti criticano l’agenda del nuovo umanitarismo per aver collegato gli obiettivi umanitari e di sviluppo a questioni di sicurezza, sostenendo che tali connessioni servono gli interessi delle nazioni ricche piuttosto che i bisogni delle popolazioni colpite dalla crisi. Questa critica sottolinea i potenziali pericoli degli interventi umanitari che danno priorità alla stabilità dello stato rispetto al benessere dei suoi cittadini, specialmente in stati fragili o colpiti da conflitti. In tali contesti, concentrarsi sulla stabilità statale può trascurare la vulnerabilità della popolazione, portando a interventi che mantengono una facciata di ordine mentre trascurano la protezione e i diritti degli individui, in particolare dei gruppi emarginati. Questo approccio può esacerbare le divisioni sociali, approfondire le disuguaglianze e ritardare o impedire il ripristino della pace e del benessere a lungo termine per i cittadini in paesi come il Sudan. Gli sforzi umanitari dovrebbero, quindi, concentrarsi sulla dignità e sicurezza umana piuttosto che solo sulla sicurezza statale.
Inoltre, come sostengono Martha Finnemore e Kathryn Sikkink (1998), l’istituzionalizzazione dei movimenti umanitari porta spesso al consolidamento degli ideali occidentali, che vengono interiorizzati come standard universali. Questo processo può portare alla concentrazione del potere nelle mani delle organizzazioni umanitarie, in particolare quelle del Nord globale, rafforzando proprio quelle disuguaglianze che il settore umanitario cerca di affrontare. L’EiE si trova quindi all’intersezione di questi due quadri. Da un lato, è plasmata dalla continua influenza delle potenze e delle istituzioni occidentali, che continuano a dettare i termini dell’aiuto umanitario. Dall’altro, riflette la determinazione dei nuovi umanitari a cambiare lo status quo imponendo cambiamenti interni e, presumibilmente, sfidando le cause profonde delle crisi attraverso riforme sistemiche. Tuttavia, affinché i programmi EiE siano implementati con successo e l’accesso dei giovani studenti all’istruzione nelle aree colpite da conflitti sia prioritario, devono essere riconosciute le preoccupazioni sollevate dai tradizionalisti sui potenziali rischi di questo approccio.
Chi Tira le Fila? Attori Statali e Non Statali in Sudan
Ma veniamo al sodo: chi sono questi attori che si occupano di EiE in Sudan e i loro programmi sono più aiuto umanitario o sviluppo? A livello generale, il governo sudanese dichiara di osservare il principio dell’educazione come diritto umano e riconosce il suo dovere di proteggerlo e attuarlo. Bello a dirsi, ma la pratica è un’altra storia. Mentre le risoluzioni ONU chiedono un accesso equo e completo alle scuole pubbliche, l’EiE non era nell’agenda del 1948, quindi è assente dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nonostante la dichiarazione sia stata motivata dalle crisi della Seconda Guerra Mondiale. Un paradosso che il Sudan sembra seguire.
Al contrario, alcuni attori non statali attuali sono in parte responsabili dell’emergere del campo dell’EiE sia a livello globale che specificamente in Sudan. L’ONU in generale, e l’UNICEF, l’UNESCO e l’UNHCR in particolare, hanno sottolineato la necessità dell’EiE per sostenere lo sviluppo sostenibile. Nel 2016 è stato lanciato il primo fondo al mondo dedicato all’EiE, Education Cannot Wait (ECW), che cerca di generare un maggiore impegno finanziario, operativo e, soprattutto, politico condiviso per soddisfare i bisogni educativi dei bambini in emergenza. Il suo segretariato è attualmente ospitato dall’UNICEF, pur mantenendo una propria struttura di governo. Prima di questo, nel 2007, è stato istituito il Global Education Cluster (GEC). Questo organismo deriva il suo mandato principale, ambito e scopo dall’approccio cluster del Comitato Permanente Inter-Agenzie (IASC) del 2005. Ciò ha significato che il GEC è un forum aperto formale per la collaborazione e il coordinamento sull’educazione nelle crisi umanitarie. Riunisce agenzie ONU, ONG internazionali, accademici e altri collaboratori per fornire istruzione alle popolazioni colpite da crisi. In particolare, il GEC è l’unico cluster ONU co-guidato a livello globale da un’agenzia ONU, ovvero l’UNICEF, e da una ONG, ovvero Save the Children, che insieme formano il Gruppo Direttivo che funge da suo organo primario e di supervisione. Entrambe le agenzie sono rimaste gli attori principali nella risposta dell’EiE in Sudan sia a livello nazionale che globale.
L’ONU ha istituito questo sistema di coordinamento con l’obiettivo comune di garantire risposte ben coordinate, eque e prevedibili alle emergenze tra tutte le organizzazioni e attraverso partenariati che operano nelle crisi umanitarie. Questo impegno per un’azione coordinata è stato riaffermato nel 2025 quando l’Education Cluster in Sudan e il GEC hanno organizzato congiuntamente un seminario di formazione ibrido di tre giorni per i coordinatori subnazionali sulla Coordinazione Essenziale del Cluster. Il seminario, a cui hanno partecipato 15 coordinatori statali dell’UNICEF e di Save the Children, ha migliorato significativamente la comprensione da parte dei partecipanti delle funzioni essenziali del cluster, in particolare nella gestione del ciclo del programma umanitario. Questa recentissima iniziativa illustra come l’UNICEF e Save the Children continuino a dominare il panorama del coordinamento dell’EiE in Sudan anche dopo la guerra, rafforzando i loro ruoli centrali nella definizione della risposta educativa, spesso a scapito di una leadership più localizzata.
Un’altra via fondamentale che gli attori non statali hanno intrapreso per includere l’educazione nel paradigma della risposta umanitaria è stata la creazione dell’Inter-agency Network for Education in Emergencies (INEE) nel 2000. Educatori associati alle agenzie ONU e all’IRC hanno formato questa iniziativa per sostenere i paesi i cui sistemi educativi erano colpiti da conflitti e disastri. Vale la pena notare qui che, per incorporare l’educazione nell’assistenza umanitaria, quelle agenzie hanno definito l’EiE come una categoria separata dalle attività di sviluppo. Nel frattempo, il termine “emergenze” sottolineava l’urgenza dell’EiE e ne segnalava la rilevanza per il paradigma della risposta umanitaria.

Il Nodo Finanziamenti e l’Influenza Globale
La natura progressivamente protratta di molti conflitti a livello globale ha portato alla creazione di una nuova forma di cooperazione tra attori umanitari e di sviluppo. Come spiegato nel Data Mapping and Stakeholder Consultation Report preparato dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID): “L’ultimo pensiero sul miglioramento della coerenza umanitario-sviluppo si allontana dagli sforzi che supportano la transizione da risposte programmatiche a breve termine a interventi di sviluppo a lungo termine. Invece, il pensiero attuale si concentra su come entrambi i settori possano impegnarsi in risposte congiunte che attingano alle capacità sia degli attori dello sviluppo che di quelli umanitari, basate su una comprensione condivisa del contesto”. Questo cambio di paradigma si riflette sempre più nelle recenti partnership e programmi di EiE, inclusi quelli implementati in risposta alle emergenze del 2020 in Sudan. I fondi vengono ora stanziati per i programmi EiE dalle principali agenzie donatrici bilaterali, inclusa USAID, che è stata una delle principali agenzie di sviluppo internazionale del mondo. USAID ha stanziato oltre 350 milioni di dollari per l’educazione in emergenza a livello globale nel 2020, inclusi finanziamenti per il Sudan. Education Cannot Wait (ECW) aveva anche annunciato un’iniziativa di finanziamento catalitico da 17,7 milioni di dollari per lanciare il primo Programma Pluriennale di Resilienza (MYRP) in Sudan nel 2022. Questa sovvenzione doveva essere erogata in collaborazione con Save the Children e UNICEF. Più recentemente, e a seguito della guerra del 2023, ECW ha annunciato una sovvenzione di risposta all’emergenza da 5 milioni di dollari per il Sudan, mirata a raggiungere 86.000 bambini in età scolare vulnerabili nel Darfur Occidentale e nel Nilo Bianco, stati sproporzionatamente colpiti da conflitti prolungati e gravemente danneggiati dalle inondazioni del 2020.
Allo stesso modo, l’UNICEF ha svolto un ruolo fondamentale nel migliorare l’accesso a lungo termine all’istruzione per i bambini fuori scuola in Sudan. Dal 2019, e con il supporto del programma Education Above All/Educate a Child del Qatar, l’UNICEF ha lavorato per ridurre il numero di bambini fuori scuola attraverso vari interventi, mirando a migliorare l’accesso all’istruzione per 600.000 bambini. Insieme, questi sforzi evidenziano un approccio evolutivo che si allinea con la nuova agenda umanitaria di queste entità.
Il governo del Sudan, pur essendo un attore chiave nell’EiE, naviga in un panorama modellato da donatori internazionali, le cui agende influenzano le politiche e le riforme educative nazionali. Dalla metà degli anni ’90, il campo dell’EiE è stato plasmato da interessi geopolitici globali, in particolare dalle preoccupazioni occidentali sulla fragilità degli stati. L’era post-11 settembre ha intensificato questa attenzione, con gli stati fragili sempre più visti come minacce alla sicurezza. Come spiegano Burde et al. (2017), i governi occidentali hanno riformulato gli aiuti all’istruzione come mezzo per stabilizzare gli stati colpiti da conflitti, passando dalla buona volontà umanitaria a preoccupazioni strategiche per la sicurezza. Questa prospettiva, promossa da USAID, dal Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale (DfID) del Regno Unito, dall’Agenzia Svedese per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo (SIDA) e da altre agenzie bilaterali, collega l’EiE alla costruzione dello stato, mirando a migliorare la legittimità del governo, coinvolgere i giovani e prevenire la radicalizzazione.
Nel 2020, dopo le inondazioni, l’UNICEF ha collaborato con il Ministero dell’Educazione del Sudan a livello federale e statale, in collaborazione con più di 30 organizzazioni locali e internazionali, al fine di aumentare l’accesso a un’istruzione di qualità tra i bambini in età scolare. Questo perché il GEC aveva già iniziato a guadagnare slancio nei due anni precedenti, con partner strategici sempre più interessati al paese mentre compiva ulteriori passi verso l’accesso ai finanziamenti internazionali. Questi passi includevano la rimozione del Sudan dalla lista degli sponsor del terrorismo degli Stati Uniti e l’adozione nazionale di pacchetti di riforme economiche, che avvicineranno il Sudan alla riduzione del debito. Il Rapporto sull’Educazione in Sudan dell’UNICEF nomina partner finanziari e non finanziari, inclusi i governi di Germania, Giappone, Repubblica di Corea, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito, Stati Uniti (Ufficio Popolazione, Rifugiati e Migrazione) e l’Unione Europea. Il rapporto sottolinea anche specificamente che queste partnership porterebbero al raggiungimento di obiettivi di sviluppo a lungo termine.
Per quanto riguarda il soccorso umanitario a breve termine dall’impatto delle inondazioni, il Rapporto sulla Situazione delle Inondazioni delinea le risposte in vari stati, incluso Khartoum, ed evidenzia l’impatto sulle scuole: “L’UNICEF sta supportando migliaia di famiglie colpite dalle peggiori inondazioni che hanno colpito il Sudan in oltre un secolo… Piani sono in atto per supportare la Sala Operativa di Emergenza del governo con risorse umane e attrezzature IT”.
Inoltre, mentre le agenzie ONU e le organizzazioni internazionali enfatizzano l’istruzione certificata come un bene universale, gli studiosi sostengono che tali standard riflettono spesso norme occidentalocentriche. In Sudan, ciò è evidente nel supporto del GEC alle riforme educative, che includono l’organizzazione di conferenze internazionali e l’assunzione di esperti per rivedere i curricula con finanziamenti dei donatori. Tuttavia, queste riforme a volte scavalcano norme e priorità locali. Gli stati-nazione e i governi di transizione, incluso quello del Sudan, ottengono legittimità attraverso l’allineamento con gli standard educativi globali, rafforzando una gerarchia in cui gli attori del Nord globale dettano i termini dello sviluppo educativo.

INEE: Un Paradosso di Inclusività e Potere
L’Inter-Agency Network for Education in Emergencies (INEE) offre un paradosso interessante. Da un lato, si presenta come una piattaforma inclusiva e partecipativa, e ci sono buone ragioni per riconoscerlo. L’adesione è gratuita e la rete comprende oltre 22.000 membri da 190 paesi, tra cui insegnanti, studenti, attori della società civile locale e altri che sono spesso esclusi dalle conversazioni politiche globali. Gli Standard Minimi per l’Educazione dell’INEE sono stati sviluppati attraverso processi consultivi e sono ora disponibili in più lingue, e negli ultimi anni hanno anche iniziato a riflettere l’impegno della rete con pratiche antirazziste e decoloniali. Queste sono iniziative significative che riflettono una consapevolezza delle disuguaglianze strutturali nel campo.
Tuttavia, questi sforzi esistono all’interno di una struttura che continua a riprodurre relazioni di potere diseguali. Ad esempio, sebbene l’adesione al gruppo direttivo sia aperta, comporta una quota annuale di 10.000 dollari. Sebbene lo statuto consenta che questa possa essere negoziata o revocata in circostanze straordinarie, tale flessibilità è condizionale e dipende dall’approvazione dei co-presidenti e del direttore dell’INEE. In pratica, ciò rende difficile per molte organizzazioni del Sud globale, comprese quelle in Sudan, accedere agli spazi decisionali. Pertanto, la composizione della leadership dell’INEE riflette anche il più ampio sistema umanitario, dove la governance rimane in gran parte dominata da attori con sede nel Nord globale.
L’EiE in Sudan è quindi profondamente radicata nelle strutture di finanziamento e governance internazionali, rafforzando spesso le priorità umanitarie occidentali. Nonostante le affermazioni di neutralità, la programmazione EiE opera all’interno di un quadro che dà priorità agli interessi esterni, a volte a scapito di soluzioni guidate localmente sotto le spoglie di soluzioni di sviluppo. L’efficacia delle risposte EiE del Sudan dipenderà, quindi, dalla capacità dello stato di stabilire legittimità e mantenere il controllo sulle politiche educative, in particolare in tempi di crisi.
Verso un Futuro Diverso?
L’integrazione dell’educazione nell’azione umanitaria è, come abbiamo visto, incredibilmente complessa, plasmata da retaggi coloniali e dalla divisione ideologica tra umanitaristi tradizionali e nuovi. L’EiE riflette queste tensioni, specialmente nella sua dipendenza da finanziamenti e quadri dominati dall’Occidente. Sebbene gli sforzi per affrontare le cause profonde delle crisi attraverso l’educazione siano promettenti, rischiano di rafforzare le strutture di potere esistenti. La crescente enfasi sulla decolonizzazione all’interno dell’EiE segna un progresso verso approcci più equi, ma il suo impatto a lungo termine rimane incerto.
In Sudan, i programmi EiE devono essere esaminati criticamente per il loro potenziale di perpetuare strutture coloniali anche mentre forniscono soccorso. Il loro successo dipende dalla capacità delle organizzazioni umanitarie di navigare all’intersezione degli sforzi di decolonizzazione, delle agende politiche e dell’obiettivo di fornire istruzione in contesti di crisi. Affrontare i bisogni educativi immediati deve andare di pari passo con lo smantellamento delle dinamiche di potere che modellano i sistemi di aiuto globali.
Il sistema educativo del Sudan, in particolare all’interno dell’EiE, rimane poco studiato, rendendo essenziale valutare come vengono implementati i programmi e se affrontano le sfide uniche del paese. È cruciale un passaggio verso reti più partecipative ed egualitarie, creando piattaforme per una collaborazione paritaria tra organizzazioni internazionali, stakeholder nazionali e ricercatori e professionisti locali. Spazi in cui gli stakeholder dell’EiE possano riflettere sullo scopo, la rilevanza, l’erogazione e la qualità dell’educazione possono migliorare significativamente l’istruzione in risposta alle crisi.
In definitiva, il futuro dell’EiE in Sudan, e in altre regioni colpite da crisi, dipende dal cambiamento delle dinamiche di potere per garantire che gli interventi educativi promuovano un cambiamento sostenibile. Mentre i sistemi educativi nazionali possono beneficiare dell’integrazione dell’EiE, la ricerca sulle iniziative locali e regionali rimane limitata. Questa lacuna è particolarmente evidente in Sudan, dove crisi prolungate richiedono un approccio sfumato che bilanci il sostegno internazionale con le riforme educative nazionali. E questo, amici miei, è un lavoro che ci riguarda tutti.
Fonte: Springer
