Primo piano macro di una radice di carota vibrante e arancione con accanto una rappresentazione stilizzata della doppia elica del DNA e delle forbici CRISPR, obiettivo macro 105mm, alta definizione, illuminazione da studio controllata per enfatizzare la texture della carota e i dettagli molecolari.

Carote Super: Vi spiego come le abbiamo “ritoccate” con CRISPR senza lasciare traccia!

Ciao a tutti! Oggi voglio raccontarvi una storia affascinante che arriva direttamente dal mondo della ricerca, una di quelle che ti fa pensare “Wow, la scienza è davvero pazzesca!”. Parliamo di carote, quelle buone, arancioni (o a volte viola, gialle…), croccanti e piene di vitamine. Ma parliamo anche di come possiamo renderle, potenzialmente, ancora più interessanti usando le tecnologie più avanzate, come il famoso CRISPR/Cas9. E la parte migliore? Lo facciamo in modo “pulito”, senza lasciare pezzetti di DNA estraneo in giro. Pronti a scoprire come?

Perché modificare le carote? E perché “senza transgeni”?

La carota (il cui nome scientifico è Daucus carota, per gli amici) non è solo un ortaggio gustoso, ma è una delle nostre principali fonti di pro-vitamina A. Migliorare le colture è da sempre un obiettivo dell’agricoltura, e oggi abbiamo strumenti potentissimi per farlo in modo mirato e veloce. Tra questi, il sistema CRISPR/Cas9 è una specie di “forbice molecolare” super precisa che ci permette di modificare il DNA delle piante (e non solo) con un’accuratezza impensabile fino a pochi anni fa.

Tuttavia, c’è un “ma”. Spesso, per far funzionare CRISPR dentro le cellule vegetali, si usano metodi che prevedono l’inserimento stabile nel genoma della pianta di geni “estranei” (transgeni), come quello che produce la proteina Cas9 (la forbice) e quello per l’RNA guida (che dice alle forbici dove tagliare). Ottenere piante modificate senza questi transgeni è una sfida importante, sia perché rimuoverli successivamente richiede tempo (incroci su incroci), sia per questioni normative e di percezione pubblica. Insomma, l’ideale sarebbe fare la modifica desiderata e poi… puff! Far sparire gli strumenti usati, senza lasciare traccia nel DNA della pianta.

La nostra strategia: Forbici molecolari “usa e getta”

Ed è qui che entra in gioco la nostra ricerca. Abbiamo pensato: e se invece di inserire le *istruzioni* per costruire le forbici (il DNA), consegnassimo direttamente le *forbici già assemblate* alle cellule della carota? Questo è il concetto alla base dell’uso dei complessi CRISPR/Cas9-RNP. RNP sta per Ribonucleoproteine: in pratica, prendiamo la proteina Cas9 (la forbice) e la leghiamo direttamente all’RNA guida (sgRNA) sintetizzato in laboratorio. Questo complesso RNP è pronto all’uso.

Come lo facciamo arrivare dentro le cellule? Usiamo i protoplasti. Immaginate le cellule vegetali come delle scatoline con un muro esterno rigido (la parete cellulare). I protoplasti sono queste cellule a cui abbiamo tolto temporaneamente la parete. Diventano delle “palline” più delicate ma anche più permeabili. Usando una sostanza chiamata polietilenglicole (PEG), riusciamo a far “entrare” i nostri complessi RNP pre-assemblati direttamente dentro i protoplasti.

Il bello di questo approccio? Il complesso RNP fa il suo lavoro (taglia il DNA nel punto desiderato), ma poi viene degradato naturalmente dalla cellula. Non c’è nessun DNA estraneo che si integra nel genoma della carota. È un editing genetico “mordi e fuggi”, pulito ed efficiente. Una volta che i protoplasti sono stati “trattati”, li mettiamo in coltura con tecniche specifiche per farli rigenerare, prima in piccoli aggregati di cellule, poi in embrioni e infine in piantine complete. Piantine modificate, ma senza transgeni!

Immagine macro di un modello 3D del complesso CRISPR/Cas9 RNP che interagisce con un filamento di DNA, illuminazione controllata, alta definizione, obiettivo macro 100mm, sfondo sfocato da laboratorio scientifico.

Il bersaglio: un gene per lo zucchero

Ok, ma cosa abbiamo modificato esattamente nella carota? Abbiamo preso di mira un gene chiamato invertasi acida solubile isozima II. Sembra un nome complicato, ma il suo ruolo è semplice: nelle radici della carota, questo gene produce un enzima che rompe il saccarosio (lo zucchero “complesso”) in zuccheri più semplici come fruttosio e glucosio. La nostra idea era: se “spegniamo” questo gene con CRISPR, forse la carota accumulerà più saccarosio nella radice. Questo potrebbe avere implicazioni interessanti, magari per il sapore o per usi industriali.

Per farlo, abbiamo disegnato due specifici RNA guida (li abbiamo chiamati sgRNA1 e sgRNA2) che indirizzassero le forbici Cas9 a tagliare proprio in un punto cruciale di questo gene (l’esone 3, per i più tecnici).

L’esperimento e i risultati: Ce l’abbiamo fatta!

Abbiamo quindi preparato i nostri complessi RNP con Cas9 e uno dei due sgRNA, li abbiamo mescolati con i protoplasti di carota e il PEG, e abbiamo aspettato che la magia avvenisse. Dopo il trattamento, abbiamo messo i protoplasti in coltura seguendo un protocollo che avevamo già messo a punto, e con un po’ di pazienza… abbiamo visto rigenerare delle vere e proprie piantine di carota!

Ne abbiamo ottenute parecchie: 81 piante dall’esperimento con sgRNA1 e 31 da quello con sgRNA2. A questo punto, la domanda era: l’editing ha funzionato? E le piante sono davvero senza transgeni?

Per verificarlo, abbiamo estratto il DNA dalle foglie delle piantine rigenerate e abbiamo analizzato la regione del gene dell’invertasi che avevamo bersagliato. Abbiamo usato delle tecniche molecolari (PCR e digestione con enzimi di restrizione specifici, HpaI per sgRNA1 e NcoI per sgRNA2) che ci permettono di vedere se il DNA è stato tagliato e modificato nel punto giusto.

I risultati sono stati entusiasmanti!

  • Con sgRNA1, ben 14 piante su 81 (il 17.28%) mostravano segni di editing.
  • Con sgRNA2, 2 piante su 31 (il 6.45%) erano state modificate.

Queste percentuali sono davvero buone per questo tipo di approccio!

Fotografia macro di giovani piantine di carota che crescono in una piastra di Petri in laboratorio, alta definizione, messa a fuoco precisa sui piccoli germogli verdi, illuminazione controllata da laboratorio, obiettivo macro 60mm.

Andando più a fondo con il sequenziamento del DNA (leggendo proprio la sequenza delle lettere A, T, C, G nel gene target), abbiamo potuto vedere esattamente che tipo di modifiche CRISPR aveva introdotto. Abbiamo trovato:

  • 3 piante omozigoti: entrambe le copie del gene (ereditiamo una copia da ogni “genitore” anche nelle piante) erano state modificate nello stesso modo o comunque in modo da rendere il gene non funzionante.
  • 5 piante bialleliche: entrambe le copie del gene erano state modificate, ma in modi leggermente diversi tra loro.
  • 8 piante eterozigoti o chimeriche: solo una copia del gene era modificata, oppure c’era un mix di cellule modificate e non modificate nella stessa pianta.

Le modifiche erano principalmente piccole inserzioni di una singola lettera di DNA o piccole delezioni (da 1 a 9 lettere), esattamente il tipo di “cicatrici” che ci aspettiamo dopo il taglio di CRISPR/Cas9 quando la cellula ripara il danno in modo un po’ impreciso (un processo chiamato NHEJ). E la cosa più importante: queste piante sono state ottenute senza integrare alcun DNA estraneo. Sono piante editate, ma transgene-free!

Cosa significa tutto questo?

Abbiamo dimostrato che è possibile usare i complessi CRISPR/Cas9 RNP consegnati direttamente nei protoplasti per ottenere piante di carota modificate geneticamente in modo efficiente e, soprattutto, pulito, senza lasciare transgeni. Le piante che abbiamo ottenuto sembrano crescere normalmente. Il prossimo passo sarà studiare queste piante modificate più nel dettaglio: accumulano davvero più saccarosio? Hanno caratteristiche diverse?

Questo lavoro apre la strada all’utilizzo di questa tecnica per migliorare la carota (e potenzialmente molte altre colture) in modo mirato, magari per aumentarne il valore nutrizionale, la resistenza a malattie o la conservabilità, il tutto con un metodo che potrebbe essere visto più favorevolmente dal punto di vista normativo e pubblico rispetto agli OGM tradizionali contenenti transgeni.

Insomma, siamo riusciti a dare una “limatina” al DNA della carota usando le forbici molecolari più precise che abbiamo, e poi abbiamo fatto sparire le forbici senza lasciare traccia. Un bel passo avanti per il futuro dell’agricoltura e del miglioramento genetico delle piante!

Fonte: Springer

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