Primo piano drammatico di un occhio umano che guarda verso una cima montuosa innevata riflessa nella pupilla. Luce laterale che crea contrasto, focus selettivo sull'occhio, montagne leggermente sfocate sullo sfondo. Obiettivo prime 50mm, profondità di campo ridotta.

Occhio alla Quota: Quando la Montagna Offusca la Vista (e Non È Solo l’Altitudine)

Ciao a tutti! Sono qui oggi per parlarvi di un argomento che mi affascina e, lo ammetto, un po’ mi inquieta: cosa succede ai nostri occhi quando saliamo molto in alto, tipo sulle vette maestose o sugli altopiani sconfinati come quello tibetano. Pensiamo sempre ai panorami mozzafiato, all’aria frizzante… ma c’è un lato meno poetico che riguarda la nostra vista.

Normalmente, si sa che l’alta quota può causare qualche piccolo fastidio. Uno di questi è un leggero gonfiore del nervo ottico, quello che i medici chiamano edema del disco ottico. Già nel 1969, uno studio su soldati a quote elevate (tra 3300 e 5500 metri) ne parlava. Addirittura, ricerche più recenti hanno trovato questo edema nel 59% degli alpinisti a quote altissime (oltre 7500 metri) e persino nel 79% delle persone a 4500 metri!

La cosa “rassicurante”, di solito, è che questo gonfiore:

  • È spesso bilaterale (colpisce entrambi gli occhi).
  • È legato all’edema cerebrale da alta quota e all’aumento della pressione del liquido cerebrospinale.
  • Nella stragrande maggioranza dei casi, scompare completamente una volta tornati a quote più basse.
  • Generalmente, le persone non lamentano problemi di vista specifici, come un calo della visione o difetti nel campo visivo.

Insomma, fino a poco tempo fa, si pensava: “Ok, un po’ di gonfiore, ma poi passa tutto”.

La Sorpresa: Quando la Vista Cala Davvero

Ed è qui che le cose si fanno più interessanti e complesse. Recentemente, sono emersi casi diversi. Persone che, dopo essere state in alta quota, non solo hanno sviluppato l’edema del disco ottico, ma hanno anche sperimentato un calo significativo della funzione visiva. E non parliamo di un fastidio passeggero.

Uno studio specifico, condotto tra il 2020 e il 2023 su pazienti visitati in un ospedale specializzato in Cina dopo essere stati sull’altopiano tibetano (con un’altitudine media sopra i 4000 metri!), ha messo in luce proprio questa situazione. Hanno analizzato retrospettivamente i dati di sei pazienti (cinque uomini e una donna, età media 47 anni) che presentavano edema del disco ottico e problemi visivi dopo l’esposizione all’alta quota.

Cosa hanno scoperto? Beh, preparatevi, perché ci sono dettagli piuttosto curiosi.

Caratteristiche Insolite: Cosa Succedeva a Questi Pazienti?

Prima di tutto, in cinque pazienti su sei, il problema riguardava entrambi gli occhi contemporaneamente. Tutti presentavano un edema diffuso del disco ottico all’inizio, che poi si risolveva gradualmente nell’arco di circa 8 settimane.

Ma ecco il punto cruciale: c’era un ritardo temporale ben definito tra l’arrivo in alta quota e l’insorgenza dei sintomi visivi. Questo intervallo variava da 7 giorni fino a un mese! Addirittura, quattro pazienti su sei hanno iniziato ad avere problemi visivi dopo essere tornati a bassa quota (da 1 a 7 giorni dopo il rientro), pur essendo stati in Tibet per periodi variabili (da 5 giorni a un mese). Questo fa pensare che non sia solo la mancanza di ossigeno immediata (ipossia) la causa diretta, almeno non l’unica.

Fotografia macro ad alta definizione di un fondo oculare che mostra un evidente edema del disco ottico bilaterale in un paziente di mezza età. I margini dei dischi ottici appaiono sfumati e leggermente sollevati rispetto alla retina circostante. Illuminazione controllata per evidenziare i dettagli vascolari e la congestione venosa. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, messa a fuoco precisa.

Un altro dato fondamentale: tutti questi pazienti avevano una pressione intracranica normale. Questo è importante perché esclude, o almeno rende meno probabile, che la causa principale sia il classico edema cerebrale da alta quota, che tipicamente si associa a ipertensione endocranica.

Il Calo Visivo e i Difetti del Campo Visivo

Parliamo della vista. L’acuità visiva media peggiore è stata registrata a 2 settimane dall’insorgenza (circa 20/50, che corrisponde a 4/10 in Italia), per poi migliorare fino a una media di 20/30 (circa 6-7/10) a 6 mesi. Non un recupero completo per tutti, quindi. Otto occhi su undici hanno avuto un peggioramento iniziale, seguito da un miglioramento più o meno marcato. In un caso, c’è stato addirittura un peggioramento improvviso a 2 mesi.

E non è tutto. Tutti i pazienti hanno mostrato difetti del campo visivo all’inizio della malattia. In alcuni casi erano diffusi, in altri erano “altitudinali” (tipicamente nella metà inferiore del campo visivo). Anche questi difetti miglioravano nei primi 3 mesi, ma spesso rimanevano delle “zone cieche” residue, specialmente nella parte inferiore.

Il Sospettato Numero Uno: NAION

Allora, cosa sta succedendo qui? Se non è (solo) l’edema cerebrale, qual è la causa? La diagnosi più probabile, secondo i ricercatori e basandosi sulle caratteristiche cliniche (edema del disco, calo visivo, pressione intracranica normale, assenza di infiammazione specifica alla risonanza magnetica), è la Neuropatia Ottica Ischemica Anteriore Non Arteritica (NAION).

Cos’è la NAION? In parole povere, è come un “mini-infarto” della testa del nervo ottico, causato da un insufficiente apporto di sangue. È la causa più comune di perdita improvvisa della vista negli adulti sopra i 50 anni, ma può colpire anche persone più giovani.

Sappiamo che ci sono dei fattori di rischio per la NAION “classica”, quella che avviene a bassa quota:

  • Un disco ottico piccolo o con una piccola “coppa” fisiologica (il cosiddetto “disco a rischio”).
  • Ipertensione arteriosa.
  • Ipercolesterolemia.
  • Diabete mellito.
  • Malattie cardio e cerebrovascolari.
  • Apnee ostruttive del sonno.

Nello studio, un paziente aveva effettivamente un “disco a rischio” nell’occhio sano (l’altro era affetto). Negli altri, non si poteva valutare bene a causa dell’edema bilaterale. Ma alcuni pazienti presentavano altri fattori di rischio: uno aveva ipertensione e apnee notturne gravi, un altro ipercolesterolemia e ipertensione, e un altro solo ipercolesterolemia. Tre pazienti, invece, non avevano fattori di rischio noti.

Perché Proprio in Alta Quota? L’Ipotesi Affascinante

Ma perché l’alta quota dovrebbe scatenare una NAION, magari anche bilaterale (che è più rara)? L’ipotesi proposta è davvero intrigante.

Quando siamo in alta quota, il nostro corpo reagisce alla mancanza di ossigeno (ipossia). Per aumentare la capacità di trasporto dell’ossigeno, stimola la produzione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) e, soprattutto, di globuli rossi (eritropoiesi). Questo porta a policitemia (sangue più denso per i tanti globuli rossi) e trombocitosi (aumento delle piastrine).

Il risultato? Il sangue diventa più “viscoso” e tende a coagulare più facilmente (ipercoagulabilità), ostacolando la microcircolazione.

Ora, immaginate di tornare a bassa quota. Questi adattamenti fisiologici, utili in montagna, potrebbero diventare dannosi. Il sangue più denso potrebbe faticare a passare nei vasi sanguigni più piccoli e terminali, come le arterie ciliari posteriori brevi, che sono fondamentali per irrorare la testa del nervo ottico. Questa difficoltà di flusso (ischemia) potrebbe essere la causa della NAION.

Questa ipotesi spiegherebbe anche perché i sintomi compaiono spesso dopo il ritorno a bassa quota e perché i difetti del campo visivo possono essere diffusi all’inizio.

Cosa Portiamo a Casa?

Questo studio ci ricorda che l’esposizione all’alta quota può avere conseguenze sulla vista più serie di quanto si pensasse, andando oltre il semplice edema transitorio. Può causare un vero e proprio danno ischemico al nervo ottico, simile alla NAION, che può portare a deficit visivi permanenti. E, cosa notevole, può succedere anche in entrambi gli occhi.

Certo, la ricerca deve andare avanti. Questo era uno studio retrospettivo, e non sappiamo cosa succedeva alla pressione intracranica dei pazienti mentre erano ancora in quota. Serve capire meglio perché i sintomi si manifestano spesso con ritardo.

Ma il messaggio è chiaro: se si va in alta quota, soprattutto per periodi prolungati o con salite rapide, e magari si hanno già fattori di rischio per la NAION (ipertensione, colesterolo alto, apnee notturne, un disco ottico “a rischio”), bisogna essere consapevoli di questa possibilità. E se compaiono sintomi visivi, anche dopo essere tornati a casa, è fondamentale farsi controllare subito da un oculista.

La montagna è meravigliosa, ma la nostra salute, inclusa quella degli occhi, viene prima di tutto!

Fonte: Springer

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