ECMO Veno-Arteriosa in Germania: Cosa Ci Svela il Registro VERGE su Uso Clinico e Sopravvivenza?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente all’avanguardia nel campo della medicina intensiva, qualcosa che sta cambiando le carte in tavola per i pazienti più critici: l’ECMO veno-arteriosa (VA ECMO). Si tratta di quella macchina incredibile che può fare temporaneamente da cuore e polmoni artificiali quando quelli del paziente sono in grave difficoltà. Recentemente, mi sono imbattuto nei primi risultati di un progetto tedesco molto interessante, il VERGE (VA ECMO Registry of Germany), e voglio condividere con voi quello che ho scoperto.
Cos’è il Registro VERGE e Perché è Importante?
Pensate un po’: nonostante l’uso crescente della VA ECMO, mancava in Germania un quadro completo e sistematico del suo utilizzo reale e dei risultati ottenuti nei vari centri. Ecco che nasce VERGE (potete trovarlo su va-ecmo-register.de), il primo registro multicentrico tedesco dedicato proprio a questo. La cosa bella è che è un’iniziativa guidata direttamente dai medici e ricercatori (investigator-driven), senza finanziamenti dall’industria, il che garantisce una certa indipendenza. È supportato dalle principali società scientifiche tedesche di cardiologia e cardiochirurgia (DGK e DGTHG) e raccoglie dati su *tutti* i pazienti trattati con VA ECMO.
Questo primo report analizza i dati di 581 pazienti raccolti nel 2022 da 14 centri sparsi per la Germania. L’obiettivo? Capire meglio come viene usata la VA ECMO nella pratica clinica quotidiana e quali fattori possono predire l’esito per i pazienti. Immaginate l’importanza di avere dati reali, aggregati, per poter confrontare le pratiche, identificare aree di miglioramento e, alla fine, offrire cure sempre migliori. Ogni centro partecipante riceverà anche un report personalizzato per potersi confrontare con la media nazionale – un bel modo per stimolare il miglioramento continuo!
Chi Sono i Pazienti Trattati con VA ECMO in Germania?
Dando un’occhiata ai dati del 2022, emerge un quadro interessante. L’età mediana dei pazienti era di 60 anni, e solo il 25% erano donne. La sopravvivenza ospedaliera generale si è attestata al 42%. Ma la vera differenza la fa l’indicazione per cui si inizia l’ECMO.
Le due ragioni principali sono state:
- ECPR (Extracorporeal Cardiopulmonary Resuscitation): Questa è la situazione più drammatica, quando l’ECMO viene impiantata durante un arresto cardiaco che non risponde alle manovre rianimatorie standard, nel tentativo estremo di salvare il paziente. Questa indicazione riguardava quasi la metà dei casi (48.9%).
- Shock Cardiogeno: Qui l’ECMO viene usata per supportare un cuore che non riesce più a pompare sangue efficacemente, causando uno stato di shock. Questa era la seconda indicazione più comune (34.9%).
C’erano anche altre indicazioni meno frequenti, come il supporto durante procedure complesse (peri-procedurale, 1%) o dopo interventi di cardiochirurgia (post-cardiotomia).

Sopravvivenza: Un Quadro a Luci e Ombre
Qui le cose si fanno cruciali. La sopravvivenza cambia drasticamente a seconda del motivo per cui si è iniziata l’ECMO.
- Nei pazienti in shock, la sopravvivenza ospedaliera è stata del 55.2%.
- Nei pazienti sottoposti a ECPR, purtroppo, la sopravvivenza è stata significativamente più bassa: solo il 28.2% (p < 0.001).
- Interessante notare che i pazienti post-cardiotomia hanno avuto una buona sopravvivenza (59.8%), mentre quelli in cui l’ECMO era usata come supporto peri-procedurale hanno avuto un esito simile all’ECPR (28.6%), anche se il numero di questi pazienti era molto basso per trarre conclusioni definitive.
Questi numeri, seppur con le dovute cautele, sono abbastanza in linea con quanto riportato da altri grandi registri internazionali come l’ELSO (Extracorporeal Life Support Organization) e da alcuni studi randomizzati recenti. Ad esempio, l’ELSO riporta sopravvivenze del 46% per lo shock e del 31% per l’ECPR.
Un altro dato importante riguarda l’esito neurologico. La buona notizia è che la maggior parte dei pazienti che sopravvivono, sia dopo ECPR che dopo shock, viene dimessa con un buon recupero neurologico (definito come CPC 1 o 2, cioè con disabilità minima o assente). Tuttavia, una percentuale leggermente maggiore di pazienti sopravvissuti allo shock (9.4%) rispetto a quelli sopravvissuti all’ECPR (4.6%) viene dimessa con un danno neurologico grave (CPC 3-4).
Fattori Predittivi: Cosa Influenza la Sopravvivenza?
Il registro VERGE ha permesso di analizzare alcuni fattori misurabili *prima* di iniziare l’ECMO, per vedere se potessero predire l’esito. Ebbene sì, tre fattori si sono dimostrati predittori indipendenti della sopravvivenza ospedaliera (tutti con p < 0.001): 1. Età: Come forse ci si poteva aspettare, i pazienti più giovani hanno avuto maggiori probabilità di sopravvivere. L’età mediana dei sopravvissuti era intorno ai 59-60 anni, mentre quella dei non sopravvissuti era più alta (61 per ECPR, 65 per shock). Ogni anno in più di età riduceva leggermente le probabilità di sopravvivenza (circa del 2%). Tuttavia, non è emersa un’età “limite” netta, e la correlazione, seppur significativa, era debole. Il fatto che si tenti l’ECPR anche su pazienti ultraottantenni sottolinea le sfide etiche e cliniche che i team medici devono affrontare.
2. Lattato: I livelli di lattato nel sangue prima dell’ECMO sono un indicatore di quanto i tessuti stiano soffrendo per la mancanza di ossigeno. Valori più alti sono un segno negativo. Nei sopravvissuti, il lattato mediano era significativamente più basso (7.3 mmol/L in generale, 5.3 nello shock, 9.0 nell’ECPR) rispetto ai non sopravvissuti (11.1 mmol/L in generale, 9.0 nello shock, 12.4 nell’ECPR). La regressione logistica ha mostrato una forte correlazione: più alto il lattato, più basse le probabilità di sopravvivenza. Un dato impressionante: nessun paziente con un lattato superiore a 25 mmol/L è sopravvissuto. Questo potrebbe diventare un criterio importante nelle decisioni cliniche future.
3. pH: Anche il pH del sangue prima dell’ECMO, che misura l’acidità, è risultato un forte predittore. Un pH più basso (maggiore acidità, spesso legata all’accumulo di lattato o a problemi respiratori) è associato a una prognosi peggiore. I sopravvissuti avevano un pH mediano più alto (7.19) rispetto ai non sopravvissuti (7.10). Anche qui, un limite sembra emergere dai dati: nessun paziente con un pH inferiore a 6.7 è sopravvissuto. Al contrario, la prognosi migliore si è vista nei pazienti con alcalosi (pH alto). Attenzione però: questo non significa che si debba iperventilare i pazienti in ECMO per alzare il pH, servono ulteriori studi!

Altre Osservazioni e Limiti dello Studio
Un aspetto interessante riguarda la durata della degenza in terapia intensiva (ICU). I sopravvissuti, sia nel gruppo shock che ECPR, hanno avuto degenze significativamente più lunghe (mediana di 20 giorni) rispetto ai non sopravvissuti (9 giorni per lo shock, solo 2 giorni per l’ECPR). Questo sottolinea l’enorme impegno di risorse che l’ECMO comporta, un fattore da considerare attentamente.
Si è notato anche un uso relativamente alto dello “sfogo” ventricolare sinistro (LV venting, nel 23% dei casi), una tecnica aggiuntiva per decomprimere il cuore, rispetto ad altri studi. È presto per trarre conclusioni, ma sarà un dato da monitorare nei prossimi anni.
Ovviamente, essendo il primo report e basato su 14 centri (probabilmente quelli con maggiore esperienza e propensione alla ricerca), c’è un potenziale bias di segnalazione. I dati potrebbero non riflettere ancora l’intero panorama tedesco. Inoltre, per garantire una buona adesione al registro, alcune definizioni (come quella di shock cardiogeno) sono state lasciate alla discrezione dei centri, il che potrebbe introdurre una certa variabilità.
Conclusioni Provvisorie
Cosa ci portiamo a casa da questo primo sguardo ai dati VERGE? Innanzitutto, l’importanza di avere registri nazionali come questo per capire davvero come usiamo tecnologie complesse come la VA ECMO. I tassi di sopravvivenza in Germania sembrano allineati ai dati internazionali, ma con differenze marcate a seconda dell’indicazione (ECPR vs shock). E poi, la conferma che fattori come età, lattato e pH misurati prima dell’inizio della procedura sono potentissimi indicatori prognostici indipendenti. I “limiti invalicabili” osservati per lattato (>25 mmol/L) e pH (<6.7) sono particolarmente suggestivi e potrebbero influenzare le future linee guida. Non vedo l'ora di vedere i prossimi report annuali di VERGE, con più centri partecipanti e dati ancora più robusti. È così che la medicina progredisce: raccogliendo dati, analizzandoli onestamente e imparando dalla pratica quotidiana per migliorare continuamente. Fonte: Springer
