Anticoagulanti negli Anziani con Fibrillazione Atriale: Stiamo Davvero Dando le Dosi Giuste?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che riguarda una fetta importantissima della nostra popolazione: i nostri anziani, in particolare quelli molto anziani (sopra gli 80 anni) che soffrono di fibrillazione atriale (FA). Sapete, la FA è un’aritmia comune che aumenta significativamente il rischio di ictus. Per fortuna, abbiamo farmaci efficaci per prevenire questa complicanza: gli anticoagulanti orali diretti, o DOAC. Sono più comodi del vecchio warfarin, non richiedono controlli continui dell’INR e hanno meno interazioni. Fantastico, no? Beh, sì, ma c’è un “ma”. Funzionano al meglio solo se usati alla dose corretta. E qui casca l’asino, soprattutto quando parliamo dei pazienti più avanti con gli anni.
Il Nocciolo del Problema: Dosi Spesso Inappropriate
Recentemente mi sono imbattuto in uno studio molto interessante condotto al Beijing Hospital tra il 2018 e il 2023. Hanno analizzato le cartelle cliniche di quasi 700 pazienti con FA, tutti di età pari o superiore a 80 anni, a cui erano stati prescritti DOAC alla dimissione (principalmente rivaroxaban, ma anche dabigatran ed edoxaban). E i risultati, lasciatemelo dire, fanno riflettere.
Pensate: quasi la metà (49.4%) di questi pazienti riceveva una dose inappropriata del farmaco! E la stragrande maggioranza di questi errori era un sottodosaggio (45.6% del totale), mentre solo una piccola parte (4.4%) riceveva una dose eccessiva (sovradosaggio). In pratica, solo 1 paziente su 2 usciva dall’ospedale con la dose di anticoagulante raccomandata dalle linee guida e dal foglietto illustrativo. È un numero enorme!
Perché Sbagliamo le Dosi? I Fattori di Rischio
Lo studio ha cercato di capire perché succeda. Cosa porta i medici a dare una dose più bassa o più alta del necessario?
Per il sottodosaggio, i fattori principali emersi sono:
- Età ancora più avanzata: Anche all’interno del gruppo degli “over 80”, i più anziani avevano maggiori probabilità di ricevere una dose ridotta.
- Funzionalità renale ridotta: Una minore clearance della creatinina (un indicatore di come funzionano i reni) era associata al sottodosaggio. Questo è comprensibile, perché i reni eliminano questi farmaci e se funzionano meno, il farmaco si accumula. Ma la dose va ridotta *secondo criteri precisi*, non a sentimento.
- Dimissione da reparti non di medicina interna: I pazienti dimessi da reparti come cardiologia, geriatria, neurologia, ecc. (raggruppati come “medicina interna” nello studio) avevano meno probabilità di essere sottodosati rispetto a quelli dimessi da altri reparti (es. chirurgia). Forse una questione di familiarità con le linee guida specifiche?
Per il sovradosaggio, invece, il fattore associato era l’età più giovane (sempre all’interno del gruppo degli over 80). Sembra quasi un controsenso, ma forse i medici sono meno “timorosi” con i pazienti all’estremo inferiore di questa fascia d’età.
La Situazione Migliora? Non Proprio…
Uno potrebbe sperare che, con il passare degli anni e l’aumento dell’esperienza con i DOAC, la situazione sia migliorata. Lo studio ha analizzato anche questo aspetto, guardando l’andamento dal 2018 al 2023. C’è stato un leggerissimo trend positivo: la percentuale di dosi raccomandate è un po’ aumentata (dal 51.2% al 58.8%) e quelle inappropriate (sia sotto che sovradosaggio) sono un po’ diminuite. Ma attenzione: queste variazioni non erano statisticamente significative. Tradotto: il problema del dosaggio inappropriato, soprattutto del sottodosaggio, è rimasto sostanzialmente invariato e molto comune in questi anni.
Il Dilemma del Sottodosaggio: Paura o Prudenza Eccessiva?
Perché così tanti medici scelgono una dose più bassa? La paura delle emorragie è sicuramente un fattore chiave. Gli anziani sono più fragili, hanno spesso altre malattie (multimorbilità), problemi renali, un rischio di caduta maggiore. È naturale essere cauti. Inoltre, c’è un problema di fondo: i grandi studi clinici sui DOAC hanno spesso escluso proprio i pazienti molto anziani (l’età media era sui 70-73 anni). Quindi, le linee guida che usiamo si basano su dati raccolti su popolazioni un po’ più giovani. Siamo sicuri che vadano bene tali e quali per un 85enne o un 90enne?
La ricerca scientifica sul sottodosaggio “volontario” (cioè dare una dose più bassa di quella raccomandata sulla base di criteri non standard) dà risultati contrastanti. Alcuni studi osservazionali (come GARFIELD-AF e ORBIT-AF II, su pazienti mediamente più giovani) suggeriscono che il sottodosaggio non riduce significativamente il rischio di sanguinamenti maggiori ma potrebbe aumentare il rischio di ictus, mortalità o ricoveri. Altri studi, specialmente quelli su popolazioni più anziane (come uno studio danese o uno studio nazionale svedese), non hanno trovato differenze significative negli esiti tra dosi appropriate e sottodosate, e in alcuni casi il sottodosaggio era associato a meno sanguinamenti.
C’è persino uno studio randomizzato controllato (il gold standard della ricerca!), l’ELDERCARE-AF, che ha dimostrato che una dose molto bassa di edoxaban (15 mg) era meglio del placebo nel prevenire l’ictus in pazienti con FA di 80 anni o più, senza aumentare significativamente i sanguinamenti maggiori. E un’analisi a posteriori dello studio ENGAGE AF-TIMI 48 ha suggerito che nei pazienti over 80, una dose ridotta di edoxaban (30 mg vs 60 mg) portava a meno sanguinamenti senza aumentare gli eventi ischemici.
Insomma, il quadro è complesso. Non c’è una risposta facile. Il sottodosaggio “a sentimento” è probabilmente sbagliato e potenzialmente pericoloso, ma forse le dosi “standard” raccomandate non sono sempre ottimali per tutti i pazienti molto anziani.
Differenze tra Farmaci e Popolazioni
Un dettaglio interessante emerso dallo studio di Pechino è che il sottodosaggio era più comune con rivaroxaban. Una possibile spiegazione è pratica: rivaroxaban esiste anche in compresse da 10 mg, rendendo “facile” per il medico scegliere una dose bassa. Dabigatran, invece, è in capsule (in Cina solo da 110 e 150 mg) che non si possono dividere, limitando forse questa pratica.
Va anche considerato il fattore etnico. Ci sono evidenze che le popolazioni asiatiche, inclusi i cinesi, potrebbero essere più suscettibili ai sanguinamenti con gli anticoagulanti a parità di dose. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, l’alta prevalenza di sottodosaggio osservata nello studio.
Cosa Portiamo a Casa?
Lo studio ha i suoi limiti, certo: è retrospettivo, condotto in un solo ospedale cinese, e non poteva tener conto di tutti i fattori che influenzano la decisione del medico (come ad esempio le concentrazioni del farmaco nel sangue del paziente, che possono variare molto negli anziani fragili).
Tuttavia, il messaggio è forte e chiaro: il dosaggio inappropriato dei DOAC nei pazienti molto anziani con FA è un problema serio e diffuso, soprattutto per quanto riguarda il sottodosaggio. E non sembra migliorare significativamente col tempo.
Questo ci dice che c’è un bisogno urgente di cambiare approccio. Serve una gestione della FA più centrata sul singolo paziente, che consideri tutte le sue caratteristiche individuali. Serve una maggiore collaborazione multidisciplinare (tra cardiologi, geriatri, medici di base, farmacisti…). Serve promuovere modelli di decisione condivisa, in cui medico e paziente (o i suoi familiari) discutono apertamente rischi, benefici e preferenze. E, soprattutto, servono studi prognostici di alta qualità specificamente disegnati per questa popolazione molto anziana, per capire finalmente quali siano le dosi davvero ottimali e più sicure per loro.
Non possiamo permetterci di andare avanti per inerzia o per “paura”. Dobbiamo assicurarci che i nostri anziani ricevano la terapia migliore possibile, basata su evidenze solide e personalizzata sulle loro reali esigenze.
Fonte: Springer