Fotografia realistica, 35mm, stile film noir con forti contrasti. Una donna vista di spalle cammina sotto la pioggia verso un edificio dall'aspetto ufficiale (ospedale/ufficio immigrazione), simboleggiando l'incertezza e le difficoltà nell'accesso ai servizi per le immigrate con status precario.

Donne Immigrate con Status Precario: Un Labirinto tra Paura e Diritti Negati in Canada

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta molto a cuore e che, purtroppo, tocca la vita di tante persone, specialmente donne, che cercano una nuova vita in un altro paese. Parliamo di come le politiche sull’immigrazione, a tutti i livelli – locale, provinciale e federale – possono diventare un vero e proprio ostacolo per accedere a servizi essenziali come quelli sanitari e sociali. Mi concentrerò in particolare sull’esperienza delle donne immigrate con uno status precario in Canada, basandomi su uno studio interessante condotto a Metro Vancouver.

Vi siete mai chiesti cosa significhi vivere con la costante paura di essere scoperti, deportati, o semplicemente non avere accesso a cure mediche di base perché il vostro “status” non è quello giusto? Ecco, questo è il pane quotidiano per molte donne che arrivano come lavoratrici temporanee, richiedenti asilo, studentesse, o che si ritrovano senza documenti per motivi spesso fuori dal loro controllo.

Il Muro Invisibile: La Paura come Barriera Principale

Lo studio IRIS, condotto tra il 2018 e il 2020 a Metro Vancouver, ha dato voce a 51 donne immigrate con status precario e a 10 operatori di servizi. Quello che emerge è un quadro preoccupante. Nonostante sulla carta esistano politiche, come la “Access Without Fear” di Vancouver, che dovrebbero garantire l’accesso ai servizi indipendentemente dallo status, la realtà è ben diversa. La paura è la parola chiave. Paura di essere segnalate alle autorità (la Canada Border Services Agency – CBSA), paura della detenzione, paura della deportazione.

Immaginatevi per un attimo: siete arrivate da poco, magari incinte, magari scappando da situazioni difficili nel vostro paese d’origine. Avete bisogno di un medico, di iscrivere vostro figlio a scuola, di un supporto sociale. Ma ogni volta che vi avvicinate a un servizio, la prima domanda che vi sentite rivolgere riguarda il vostro status. Questo “status-checking“, anche se fatto magari solo per capire a quali prestazioni avete diritto (come l’assicurazione sanitaria provinciale, il Medical Services Plan – MSP), crea un clima di terrore.

Una donna nello studio racconta: “Eravamo spaventate, nervose per tutti i servizi che ci potevano negare. Abbiamo perso il nostro status dopo una settimana. Dopo di che, le nostre vite sono limitate… la paura c’è quando perdi il tuo status” (Donna, 23 anni). Questa paura non è astratta. Si traduce nel concreto timore che le informazioni personali vengano condivise con la polizia o l’immigrazione. Anche la semplice presenza della polizia in un ospedale può bastare a far scappare una persona senza ricevere le cure necessarie, come successo a una donna che ha lasciato il pronto soccorso perché c’erano agenti “ovunque” e l’impiegata le chiedeva “i documenti” a voce alta.

E non dimentichiamo che per molte, la deportazione significa tornare a situazioni di violenza, povertà estrema, estorsione. Condizioni da cui erano fuggite disperatamente. Una donna, che ha perso lo status dopo che il suo datore di lavoro ha deciso di mandare a casa i lavoratori, riflette sulla decisione di restare in Canada nonostante tutto: “Con tutti quei debiti in Guatemala, come potevo tornare? Come avrei pagato? Da dove? Non posso… Quindi prendi delle decisioni per restare” (Donna, 31 anni).

Fotografia realistica in stile reportage, 35mm, bianco e nero, profondità di campo ridotta. Una donna dall'aspetto preoccupato guarda fuori da una finestra, simboleggiando l'isolamento e la paura legati allo status di immigrazione precario.

Salute Negata: Lacune e Ritardi nell’Accesso alle Cure

Questa paura, unita all’effettiva ineligibilità a molti programmi sanitari e sociali provinciali (come l’MSP), porta a conseguenze gravissime sulla salute. Parliamo di ritardi o totale evitamento di cure necessarie: visite di routine, prevenzione, ma anche servizi d’emergenza. Una donna, ora residente permanente ma che ha passato un periodo senza status, ricorda un’esperienza drammatica: “Avevo un’infezione ai reni, ed ero incinta… Ho passato tutta la notte nel dolore… Ma non potevo andare [in ospedale], perché la prima cosa che chiedono è… ‘Sei una visitatrice? Una residente? Qual è il tuo status? Dov’è la tua tessera sanitaria?’” (Donna, 32 anni).

Le lacune sono allarmanti, soprattutto per quanto riguarda la salute sessuale e riproduttiva (SRH). Molte donne hanno la prima visita prenatale solo al sesto o settimo mese di gravidanza. L’accesso a contraccezione o test per infezioni sessualmente trasmissibili è spesso impossibile per la paura di domande sullo status. Una ragazza di 19 anni, richiedente asilo, spiega: “Non è affatto facile trovare un posto dove ti possano visitare, o che ti aiutino a monitorare la gravidanza… È molto costoso, e… a volte si concentrano troppo sullo status della persona“.

In situazioni estreme, la paura può portare a decisioni impensabili. Un’altra donna, il cui visto di lavoro è scaduto mentre era incinta, confessa: “Preferisci lasciarti morire a casa… perché se vai in ospedale, senti che perderai tutto…” (Donna, 37 anni). Altre ricorrono a farmaci da banco per dolori che richiederebbero cure professionali, terrorizzate all’idea che l’ospedale possa informare l’immigrazione.

Per fortuna, esistono anche esperienze positive. Cliniche e operatori sanitari “immigrant-friendly”, che offrono servizi gratuiti, programmi speciali o accettano pagamenti diretti senza fare domande sullo status, vengono descritti come luoghi sicuri e accessibili. Una donna racconta il sollievo provato dopo essere stata finalmente curata in un centro di salute comunitario: “Ho detto loro che ero così debole che non volevo alzarmi dal letto… che sentivo che la mia vita non era niente… e mi hanno fatto fare degli esami, e si sono resi conto che il mio ferro era estremamente basso. Se ne sono resi conto.” (Donna, 37 anni).

Scatto macro, 90mm, illuminazione controllata e dettagli nitidi. Una mano femminile tiene in mano alcune pillole vicino a un modulo medico vuoto, rappresentando le difficoltà nell'accesso alle cure mediche per le donne immigrate.

Isolate ed Escluse: L’Impatto Sociale della Precarietà

La precarietà dello status non impatta solo la salute fisica, ma crea anche profonda isolamento sociale ed esclusione. La paura di essere identificate porta molte donne a non uscire di casa, a evitare i servizi comunitari, limitando così l’accesso a informazioni e supporto. Un’operatrice sociale spiega che molte donne senza documenti temono persino di uscire per evitare domande sul loro status.

Questa mancanza di reti sociali fidate e supporti formali ha un impatto devastante sul benessere psicologico. “A volte per paura, non cerchi aiuto, non parli con le persone, o a volte perché ti vergogni o perché verrai giudicata o criticata per quello che stiamo passando“, dice una donna (31 anni). Paradossalmente, alcune trovano un minimo di supporto sui social media, dove possono condividere preoccupazioni e chiedere informazioni in modo anonimo, senza il timore immediato della deportazione.

L’esclusione si estende a molti ambiti della vita sociale. In British Columbia (BC), l’accesso a supporti provinciali come gli asili nido sovvenzionati (Affordable Child Care Benefit) o gli alloggi popolari (BC Housing) è legato allo status. Anche se la legge scolastica (BC School Act) permette l’iscrizione a scuola indipendentemente dallo status (la decisione spetta ai distretti scolastici), i costi e la marginalizzazione spesso impediscono alle famiglie precarie di accedervi. Una madre racconta: “Non posso avere accesso alla salute, o alla scuola, per mio figlio… ora è in una fase in cui dovrei almeno averlo in una scuola materna… così non sta solo a casa” (Donna, 26 anni).

Le donne con status precario sono spesso escluse anche dai programmi offerti dalle organizzazioni di insediamento per immigrati e da molte organizzazioni comunitarie (CBOs). Questo le rende più vulnerabili allo sfruttamento lavorativo (lavori sottopagati, mancati pagamenti) e alle difficoltà nel trovare un alloggio. In sostanza, come dice una partecipante: “Non sai cosa puoi fare o quanto accesso puoi avere come persona… essendo qui, indipendentemente dal tuo status” (Donna, 31 anni).

Ottenere uno status più sicuro, come la residenza permanente, porta un cambiamento quasi simbolico, psicologico: “Una volta diventata residente permanente, penso sia anche psicologico. Senti che finalmente appartieni” (Donna, 27 anni).

Fotografia grandangolare, 20mm, luce soffusa del tardo pomeriggio. Una figura femminile solitaria siede su una panchina in un parco cittadino vuoto, trasmettendo un senso di esclusione e isolamento sociale.

Oltre le Barriere: Raccomandazioni per un Cambiamento Reale

Cosa possiamo fare, quindi? Lo studio non si limita a dipingere un quadro fosco, ma raccoglie anche le speranze e le raccomandazioni delle partecipanti per un futuro migliore. Emerge forte la necessità di riforme politiche e programmatiche che affrontino le ineguaglianze sociali perpetuate dalle attuali politiche migratorie.

Le raccomandazioni si articolano su tre livelli:

  • Livello Locale (Comunale): È cruciale la piena implementazione dei principi delle “Città Santuario” (Sanctuary City) in tutte le municipalità. Questo significa:
    • Impedire attivamente la collaborazione tra servizi locali (personale comunale, polizia locale, scuole, ospedali) e le autorità federali dell’immigrazione (CBSA).
    • Eliminare le pratiche di “status-checking” all’accesso dei servizi municipali.
    • Garantire che l’accesso ai servizi si basi sul bisogno, non sullo status.

    Anche se Vancouver e New Westminster hanno adottato politiche simili (“Access Without Fear”), l’implementazione è carente e non estesa a tutta l’area metropolitana. C’è bisogno di un impegno concreto, formazione del personale e linee guida chiare.

  • Livello Provinciale: Il governo della British Columbia dovrebbe:
    • Eliminare completamente lo “status-checking” negli ambienti sanitari e sociali.
    • Espandere i criteri di eleggibilità per programmi chiave come il piano sanitario (MSP), gli alloggi sovvenzionati e l’accesso all’istruzione (BC School Act) per includere tutti gli immigrati e i migranti, indipendentemente dallo status.
    • Migliorare la formazione degli operatori di prima linea per fornire servizi senza indagare sullo status migratorio.
  • Livello Federale: Il governo canadese ha un ruolo fondamentale:
    • Aumentare i finanziamenti per programmi e organizzazioni che supportano gli immigrati, affrontano le disuguaglianze create dalle politiche restrittive e facilitano percorsi verso uno status migratorio più sicuro (come la residenza permanente).
    • Rivedere le politiche e le pratiche di applicazione della legge sull’immigrazione per ridurre la precarietà e la paura.

Le partecipanti sottolineano anche l’importanza della collaborazione tra immigrati e membri della comunità per promuovere politiche inclusive e condividere informazioni su servizi sicuri e accessibili. Le organizzazioni comunitarie (CBOs) sono viste come supporti cruciali per creare dialogo, fornire informazioni e riferimenti a servizi fidati (ostetriche, cliniche sicure, supporto legale, cibo, donazioni).

Una proposta interessante è quella di una “tessera medica temporanea e confidenziale” per chi è senza status o in attesa di regolarizzazione, magari con un piccolo contributo mensile, per facilitare l’accesso alle cure senza dover rivelare la propria identità o status.

In definitiva, per ridurre la paura della deportazione e garantire il diritto umano alla salute, è essenziale creare ambienti sanitari e sociali liberi dall’applicazione della legge sull’immigrazione. Eliminare il controllo dello status è un passo fondamentale.

Questo studio ci ricorda che le politiche migratorie non sono solo pezzi di carta, ma hanno un impatto profondo sulla vita, sulla salute e sul benessere delle persone. Agire a tutti i livelli – locale, provinciale e federale – non è solo una questione di diritti umani, ma anche di salute pubblica. Garantire che tutti, indipendentemente dal loro status, possano accedere ai servizi di cui hanno bisogno, contribuisce a creare una società più sana, giusta ed equa per tutti noi.

Fotografia di ritratto, 50mm, colori caldi e naturali, leggera profondità di campo. Un gruppo diversificato di donne sorride e interagisce positivamente in un contesto comunitario, simboleggiando speranza, supporto reciproco e cambiamento positivo.

Fonte: Springer

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