Voce alle Donne: Come il Coinvolgimento Attivo Migliora la Cura Prenatale per le Comunità Diverse
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore: come possiamo rendere la ricerca sulla salute, specialmente quella prenatale, davvero utile per *tutte* le donne, comprese quelle che arrivano da culture e lingue diverse. Sembra ovvio, no? Eppure, non è sempre così scontato.
Parliamo di Coinvolgimento dei Consumatori e della Comunità (CCI, per gli amici). In pratica, significa che chi usa i servizi sanitari e le comunità a cui appartengono lavorano fianco a fianco con i ricercatori. Perché? Semplice: per assicurarsi che la ricerca risponda ai bisogni reali delle persone, che tenga conto delle loro esperienze vissute, delle loro priorità, delle sfumature culturali e sociali. Non è fantastico? Pensateci: la ricerca finanziata con fondi pubblici dovrebbe riflettere l’interesse pubblico e portare benefici concreti alle comunità. Paesi come l’Australia, il Regno Unito, il Canada e gli Stati Uniti lo hanno capito e lo stanno mettendo al centro delle loro politiche sanitarie.
Perché è cruciale per le donne culturalmente e linguisticamente diverse (CALD)?
In Australia, un paese incredibilmente multiculturale (pensate che circa un terzo della popolazione è nata all’estero!), le donne che provengono da contesti culturali e linguistici diversi (le cosiddette donne CALD) affrontano sfide particolari quando si tratta di salute, specialmente durante la gravidanza. La gravidanza è un periodo delicato, con maggiori bisogni sanitari e interazioni più frequenti con medici e ospedali. Purtroppo, le statistiche ci dicono che queste donne corrono rischi maggiori: parto pretermine, anomalie congenite, ricoveri in terapia intensiva neonatale, nati morti e mortalità materna e infantile sono più alti rispetto alle donne nate in Australia.
Le barriere sono tante:
- La lingua, ovviamente.
- Differenze culturali nel modo di intendere la salute e lo stile di vita.
- Difficoltà a capire e navigare un sistema sanitario complesso e magari molto diverso da quello del paese d’origine.
- A volte, purtroppo, una mancanza di sensibilità e competenza culturale da parte degli operatori sanitari.
Ecco perché il CCI è fondamentale proprio per loro! Coinvolgerle attivamente aiuta a identificare le lacune nell’assistenza, a capire meglio le loro esigenze e a sviluppare soluzioni che funzionino davvero.
La nostra avventura: creare un gruppo di riferimento CCI
Quindi, cosa abbiamo fatto? Ci siamo rimboccati le maniche! Abbiamo deciso di creare un gruppo di riferimento CCI composto proprio da donne CALD per capire meglio le loro esperienze con l’assistenza prenatale in Australia e identificare insieme come migliorarla. Ci siamo ispirati a un modello fantastico, il framework CCI della Health in Preconception, Pregnancy and Postpartum (HiPPP) Alliance. Questo framework ci ha guidato passo passo, assicurandoci di lavorare in modo inclusivo, flessibile ed equo.
I principi chiave che abbiamo seguito sono stati:
- Comprensione condivisa: Tutti dovevano capire gli obiettivi fin dall’inizio. Aggiornamenti costanti e possibilità di dare feedback erano la norma.
- Accessibilità e rappresentatività: Abbiamo cercato donne da background diversi e adattato le attività per facilitare la partecipazione (anche a distanza).
- Valore dell’esperienza vissuta: Le partecipanti erano le vere esperte! Le loro prospettive erano oro colato per noi.
- Supporto concreto: Abbiamo offerto un compenso economico e aiuto logistico.
- Trasparenza: Comunicazione chiara sui ruoli e sull’avanzamento del progetto.
- Relazioni a lungo termine: Volevamo costruire legami solidi e duraturi, non un coinvolgimento “mordi e fuggi”.

Abbiamo contattato reti di consumatori, organizzazioni comunitarie e sanitarie che lavorano con donne CALD in Victoria (dove si svolgeva la ricerca) e in tutta l’Australia. Grazie a contatti preziosi e al passaparola (“snowballing”, lo chiamano i tecnici), abbiamo formato un gruppo di 18 donne fantastiche, tra i 18 e i 50 anni, nate in paesi non anglofoni, che erano incinte o avevano partorito in Australia. Certo, avevamo bisogno che parlassero inglese per partecipare attivamente, e questo è un limite che riconosciamo, ma è stato un punto di partenza pragmatico.
Cosa abbiamo scoperto ascoltando le loro voci?
Abbiamo organizzato dei focus group online, creando un ambiente informale, quasi una chiacchierata tra amiche, per raccogliere le loro storie. E sono emerse cose potentissime! Abbiamo analizzato tutto con cura e identificato tre temi principali:
1. Navigare tra credenze culturali e cure prenatali: Qui sono emerse le sfide nel conciliare le pratiche culturali tradizionali con le informazioni mediche ricevute. Un esempio lampante? La gestione del diabete gestazionale (GDM). Le modifiche dietetiche richieste spesso cozzavano con le abitudini alimentari culturali. Immaginate sentirvi dire cosa mangiare, ma quelle cose sono lontanissime dalla vostra cucina, da quello che mangia la vostra famiglia! Molte si sentivano perse, stressate, senza una guida personalizzata. “Le opzioni dietetiche che mi davano non le ho seguite perché non era la dieta che mangiamo noi… è più un ‘taglia unica’, non c’è personalizzazione”, ci ha detto una partecipante.
2. L’importanza del supporto sociale: Il sostegno della famiglia (madri, sorelle) e delle amiche è vitale. Ma molte donne si sentono isolate, lontane dai loro cari. Qui entrano in gioco le reti di pari e i gruppi culturali comunitari, che diventano ancore di salvezza. Avere qualcuno con cui condividere esperienze simili, magari nella propria lingua o dalla propria cultura, fa un’enorme differenza. Alcune ci hanno raccontato di fare viaggi lunghissimi pur di vedere un medico che capisse la loro lingua e cultura!
3. La competenza culturale degli operatori sanitari: Questo è stato un punto cruciale. Quando le donne incontravano medici o infermieri consapevoli e sensibili alla loro cultura, l’esperienza migliorava drasticamente. Aumentava la fiducia, la soddisfazione. Al contrario, la mancanza di questa competenza portava confusione, insoddisfazione, specialmente quando c’erano complicazioni. È emerso anche quanto sia importante che le informazioni siano tradotte non solo letteralmente (Google Translate non basta!), ma in modo culturalmente appropriato, da qualcuno che capisca davvero le sfumature della lingua e della comunità. “È importante che l’informazione sia nella lingua della comunità, ma soprattutto che sia appropriata per la comunità… alcune parole tradotte automaticamente non sono accettabili”, ha sottolineato una donna.

Riflessioni e passi futuri
È interessante notare come le esperienze passate nel paese d’origine influenzassero la percezione delle cure in Australia. Alcune trovavano il sistema australiano più trasparente, altre apprezzavano l’approccio che vede la gravidanza come una fase naturale della vita, non una malattia (come a volte viene percepita altrove). Tuttavia, le pratiche culturali radicate (come quelle legate al parto cesareo o al post-parto) potevano generare ansia se non comprese o rispettate.
Un altro tema delicato è la salute mentale. In alcune culture, parlarne è un tabù. Poter discutere apertamente di ansia o depressione post-partum nel contesto australiano è stato visto come un passo avanti importante, ma c’è ancora bisogno di supporto culturalmente sensibile che superi lo stigma.
Cosa ci portiamo a casa da questa esperienza? Che integrare il CCI nella ricerca sulla salute prenatale è essenziale per creare cure davvero competenti dal punto di vista culturale per le donne CALD. Dobbiamo lavorare sulla competenza culturale degli operatori, adattare le informazioni sanitarie tenendo conto delle diverse culture e migliorare il supporto per la salute mentale.

Certo, il nostro gruppo non rappresenta *tutte* le donne CALD in Australia e la necessità di parlare inglese è stata una limitazione. Ma è un inizio! Abbiamo dimostrato che un approccio strutturato ma flessibile, guidato da principi chiari e basato sulla collaborazione con le comunità, funziona.
La strada è ancora lunga, ma i risultati sono incoraggianti. Continuare ad ascoltare e coinvolgere attivamente le donne è la chiave per costruire un sistema sanitario prenatale equo, accessibile e che risponda davvero ai bisogni e alle priorità culturali di tutte. Perché ogni donna merita la migliore assistenza possibile, ovunque si trovi e qualunque sia la sua storia.
Fonte: Springer
