Domande che Accendono la Mente: Svelare il Ragionamento Matematico nei Bambini
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona tantissimo: come possiamo aiutare i più piccoli, quelli della scuola primaria, a sviluppare il loro ragionamento matematico. Non parlo solo di fare i conti giusti, ma di capire il *perché* dietro ai numeri, di fare congetture, generalizzare e costruire argomentazioni solide. Sembra complesso, vero? Eppure, è fondamentale fin dai primi anni (parliamo di bambini dai 5 agli 8 anni).
Ho letto uno studio affascinante che si è immerso proprio in questo mondo, osservando una maestra di prima elementare (Year 1 in Australia) e le sue strategie, in particolare come usava le domande e gli elaborati degli studenti per stimolare il pensiero matematico durante attività sfidanti. E credetemi, quello che emerge è oro colato per chiunque lavori con i bambini!
Il Cuore del Problema: Coltivare il Ragionamento Matematico
Partiamo da un presupposto: sviluppare il ragionamento matematico è cruciale. È quel processo che ci permette di vedere le connessioni tra concetti diversi, di “investigare il perché”, come dicono gli esperti Lannin e colleghi. In Australia, ad esempio, è parte integrante del curriculum, perché sanno quanto sia importante. Ma diciamocelo, per molti insegnanti della primaria non è affatto semplice capire *come* supportare concretamente questo tipo di pensiero nei loro alunni. Spesso ci si trova in difficoltà nel gestire le discussioni in classe o nel porre le domande giuste, quelle che davvero aprono la mente.
Ecco perché studiare le strategie di interrogazione diventa fondamentale. Le domande giuste, poste al momento giusto, possono fare miracoli per la comprensione e il ragionamento dei bambini. Non si tratta solo di verificare se sanno la risposta, ma di spingerli a pensare più a fondo.
L’Arte di Fare Domande: Non Tutte le Domande sono Uguali
Pensateci: quante volte facciamo domande in classe? Ma sono tutte efficaci allo stesso modo? Lo studio evidenzia diversi tipi di domande:
- Domande Chiuse (o Fattuali): Quelle che richiedono una risposta secca, spesso un “sì” o un “no”, o un dato specifico. Utili per verificare conoscenze di base (“Quanti lati ha questo quadrato?”), ma attenzione: possono bloccare il pensiero se usate troppo, specialmente se arriva subito la risposta corretta.
- Domande Aperte (o di Sonda): Queste sono le mie preferite! Invitano a elaborare, giustificare, spiegare (“Come hai fatto a trovare questa soluzione?”, “Perché pensi che sia così?”). Stimolano il pensiero critico, l’analisi, la sintesi. Sono quelle che portano a un apprendimento più profondo.
- Domande Guida: Servono ad aiutare gli studenti quando sono in difficoltà, senza però dare la risposta. Possono essere sia aperte che chiuse, a seconda del contesto. Sono utilissime come domande successive per “guidare” l’apprendimento passo dopo passo.
La vera magia, però, sta nel saper sequenziare queste domande. Magari partire da una domanda più semplice per poi approfondire con una aperta, oppure usare una domanda guida per sbloccare uno studente e poi una di sonda per farlo riflettere sul suo processo. Non è facile, richiede prontezza e capacità di adattarsi alle risposte degli studenti “al volo”.
Uno Sguardo da Vicino: L’Esperienza in una Classe di Prima Elementare
Lo studio che vi dicevo si è concentrato su una maestra, che chiameremo “Abby”, e sulla sua classe di prima. Abby partecipava a un programma di sviluppo professionale focalizzato sull’uso di “compiti sfidanti” (problemi aperti, con più soluzioni o strategie possibili) e sull’orchestrazione delle discussioni matematiche. La cosa interessante è che la ricerca ha analizzato proprio:
- Che tipi di domande usava Abby?
- Come erano distribuite nelle varie fasi della lezione (lancio, esplorazione, sintesi)?
- Come usava le domande che aveva pianificato in anticipo?
- In che modo sfruttava gli elaborati degli studenti per alimentare il ragionamento?
Questo approccio, basato su un caso singolo ma approfondito, ci permette di vedere nel dettaglio le “mosse didattiche” dell’insegnante.
La Maestra Abby all’Opera: Pianificazione e Flessibilità
Abby non lasciava nulla al caso. Prima della lezione, nella fase di “anticipazione”, prevedeva le possibili risposte e strategie degli studenti e preparava una lista di domande chiave da porre. Questo è fondamentale! Pensare in anticipo a dove potrebbero andare a parare i bambini ti permette di essere pronto a guidarli e sfidarli.
Durante la lezione, Abby usava una tecnica che chiamava “spotlight”: selezionava alcuni lavori degli studenti da mostrare e discutere con tutta la classe. Ma non sceglieva a caso! Spesso partiva da un lavoro che magari non era del tutto corretto o completo, per poi passare a uno più sulla buona strada. E la sua filosofia era chiara: niente risposte servite su un piatto d’argento. Le sue domande tipiche erano: “Ok, provamelo. Perché hai fatto così?”, “Sei sicuro? Devi convincermi!”. Una sorta di “poker face” per spingere i bambini a giustificare il loro pensiero, a non dipendere dal “giusto” o “sbagliato” detto dalla maestra.
Ammetteva che non era facile, soprattutto all’inizio dell’anno, quando alcuni bambini si frustravano perché non ricevevano la risposta pronta. Ma insistendo, li aiutava a diventare pensatori più autonomi. E doveva essere veloce, “pensare in piedi”, come diceva lei, per adattare le domande alle risposte inaspettate. Se uno studente usava una strategia che non aveva previsto, la sua domanda era: “Spiegamela”. Capire il ragionamento dello studente era il primo passo per poi poterlo guidare o estendere.
Dentro la Lezione: Il Compito “Creare Forme”
La lezione osservata riguardava la geometria: i bambini dovevano usare sei triangoli equilateri identici per creare diverse forme (poligoni) e disegnarle su carta isometrica. Un compito aperto, con tante soluzioni possibili!
Cosa è emerso dall’analisi delle domande di Abby?
Durante le fasi di discussione (lancio iniziale e tre momenti di “sintesi” o “spotlight”), Abby ha posto ben 159 domande! La maggioranza (55%) erano fattuali/chiuse, ma la percentuale di domande di sonda/aperte (29%) aumentava significativamente nelle fasi di sintesi più avanzate. Le domande guida erano meno frequenti (16%).
Questo mix è interessante. Anche se le domande fattuali sono spesso viste come a “basso potenziale” per stimolare il ragionamento, Abby le usava strategicamente. Spesso, una domanda chiusa (“Questo poligono usa sei triangoli?”) serviva a focalizzare l’attenzione o a far prendere posizione ai bambini (“Chi è d’accordo? Chi non è d’accordo?”), preparando il terreno per la domanda di sonda successiva (“Perché pensi che non usi sei triangoli?”, “Come possiamo verificarlo?”). Questo suggerisce che l’abilità non sta solo nel *tipo* di domanda, ma in *come* viene integrata in una sequenza.
Durante le fasi di “spotlight”, Abby mostrava gli elaborati:
- Fase 1: Un lavoro con diverse forme, alcune fatte con meno di sei triangoli. Domande fattuali per chiarire la consegna (“Quale di queste forme rispetta la richiesta dei sei triangoli?”).
- Fase 2: Un lavoro che mostrava sia un esagono regolare (quello “classico”) sia uno irregolare. Qui le domande si facevano più interessanti. Molti bambini non riconoscevano l’esagono irregolare come una “vera” forma. Abby ha usato domande di sonda (“Perché non pensi sia una forma?”) per far emergere le misconcezioni (“Non ho mai visto una forma così!”), validare il lavoro corretto e guidare la classe a riconoscere le proprietà comuni (sei lati, sei triangoli usati), introducendo o rinforzando il concetto di “irregolare”. Una bambina ha persino *dimostrato* alla classe che erano stati usati sei triangoli disegnandoli all’interno della forma irregolare – un esempio di ragionamento di alto livello!
- Fase 3: Un lavoro che mostrava un parallelogramma (fatto con sei triangoli). Abby ha colto l’occasione per una sfida: ha iniziato a esplorare se si potesse fare un trapezio con 3, 4, 5, 6 triangoli, notando un pattern (si poteva fare con un numero dispari di triangoli). Ha cercato di far notare le linee parallele nel parallelogramma. Qui la discussione si è fatta complessa, forse un po’ troppo per alcuni bambini di prima, ma ha sicuramente spinto quelli più pronti.
Cosa Possiamo Imparare da Abby? Il Modello “Questioning Moves”
L’esperienza di Abby, analizzata attraverso un framework chiamato TMSSR (Teacher Moves for Supporting Student Reasoning), ci insegna tanto. Questo framework categorizza le “mosse” dell’insegnante in quattro aree: facilitare, suscitare (eliciting), rispondere a, ed estendere il ragionamento dello studente, distinguendo tra mosse a basso e alto potenziale.
Abby usava un mix di mosse. Quelle a basso potenziale (come fare domande per ottenere fatti, chiarire, validare risposte corrette) erano più frequenti, forse data l’età dei bambini. Ma era abile anche nel passare a mosse di potenziale più alto, come spingere per una giustificazione (“Perché?”), incoraggiare strategie multiple, o fare collegamenti (“Cosa notate di simile/diverso?”).
Basandosi su questo studio e sulla letteratura, i ricercatori propongono un modello pratico, il “Questioning Moves model”. È uno strumento pensato per noi insegnanti, per aiutarci a pianificare e usare le domande in modo più consapevole durante le lezioni con compiti sfidanti, specialmente quando discutiamo gli elaborati degli studenti. Il modello suggerisce tipi di domande e mosse specifiche per ciascuna delle quattro categorie (facilitare, suscitare, rispondere, estendere), aiutandoci a:
- Interpretare il compito.
- Supportare chi è in difficoltà.
- Chiarire misconcezioni.
- Esplorare strategie diverse.
- Identificare tutte le soluzioni possibili.
- Estendere le risposte e sfidare chi è più avanti.
In Conclusione: Il Potere Trasformativo delle Domande
Quello che mi porto a casa da questa immersione è la conferma che le domande sono uno strumento potentissimo nelle mani di un insegnante. Non basta fare domande, bisogna farle *bene*. Pianificare in anticipo, anticipare le risposte degli studenti, scegliere con cura gli elaborati da discutere, e soprattutto, saper orchestrare la conversazione con una sequenza di domande che guidi, stimoli e sfidi ogni bambino, al suo livello.
L’approccio di Abby, che combina pianificazione rigorosa e flessibilità nel momento, che usa gli errori come trampolino di lancio e che non dà mai la “pappa pronta”, è un esempio brillante di come si possa coltivare il ragionamento matematico fin da piccoli. È un lavoro complesso, che richiede tempo e riflessione, ma i frutti – bambini che pensano, che argomentano, che non hanno paura di sbagliare e che vedono la matematica come un’avventura della mente – valgono assolutamente lo sforzo. E voi, che ne pensate? Quali sono le vostre strategie preferite per far “accendere” la mente matematica dei vostri studenti?
Fonte: Springer