Dalle Radici alla Chioma: Svelare i Misteri del Dolore Pelvico Cronico con l’Aiuto di un Albero
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento tanto diffuso quanto, purtroppo, spesso avvolto nel silenzio e nella confusione: il dolore pelvico cronico (CPP). Pensate che colpisce circa il 25% delle donne a livello globale! Nonostante questi numeri, noi operatori sanitari a volte ci troviamo in difficoltà, quasi impreparati, a offrire un aiuto davvero efficace. Ma se vi dicessi che possiamo guardare a questo problema complesso con occhi nuovi, usando una metafora semplice e potente come quella di un albero?
Sì, avete capito bene, un albero! Questo modello ci aiuta a visualizzare e a scomporre la complessità del dolore pelvico cronico, unendo due approcci fondamentali: quello biopsicosociale e quello neuroinfiammatorio. Immaginate le radici dell’albero come gli input nocicettivi (cioè i segnali di dolore che partono da un danno o un’irritazione), il tronco come i cambiamenti nociplastici (quelle modifiche nel sistema nervoso che amplificano il dolore), e la chioma come l’insieme dei fattori psicosociali. La corteccia? Rappresenta i comportamenti protettivi che adottiamo, mentre la linfa simboleggia la natura bidirezionale dei messaggi dolorosi. Affascinante, vero?
Questo “albero del dolore” non è solo un bel disegno, ma una vera e propria mappa per orientarci nella storia clinica, nell’esame fisico e nella pianificazione delle cure. E, cosa importantissima, può aiutare chi soffre a capire meglio il proprio dolore, aprendo la strada a un dialogo costruttivo sulle opzioni di trattamento. L’obiettivo è trasformare un groviglio apparentemente inestricabile in componenti gestibili, offrendo uno strumento pratico sia per noi che ci occupiamo di salute, sia per le donne che convivono con questo fardello.
Un Problema Diffuso e Spesso Incompreso
Il dolore pelvico cronico, per definizione, è quel dolore persistente nella regione pelvica che dura da più di sei mesi e si porta dietro un bagaglio di conseguenze negative a livello cognitivo, comportamentale, emotivo e sessuale. Milioni di donne ne soffrono, ma spesso è sottodiagnosticato e sottotrattato. Le ragioni? Sono tante: da differenze culturali legate al genere che frenano le donne dal cercare aiuto, alla carenza di formazione specifica per noi professionisti sanitari.
Sappiamo che un modello di cura biopsicosociale, che considera l’intreccio tra fattori biologici, psicologici (pensieri, emozioni, credenze) e sociali, porta ai risultati migliori. Ma diciamocelo chiaramente: un approccio interdisciplinare così completo non è accessibile a tutte. Questo crea frammentazione nelle cure, o addirittura la loro assenza, accentuando la sofferenza e perpetuando le disuguaglianze. Il risultato? Donne che si sentono incomprese, confuse, senza speranza. E noi, dall’altra parte, che a volte non sappiamo a chi rivolgerci per un supporto che vada oltre le nostre competenze dirette.
La complessità del CPP può spaventare, ma c’è un dato che non possiamo ignorare: oltre l’80% delle donne con CPP presenta una componente miofasciale a livello del pavimento pelvico. Questo ci dice che ogni operatore sanitario che si occupa di problematiche uro-ginecologiche dovrebbe essere in grado di fare uno screening, capire e, possibilmente, gestire il CPP. La chiave è smettere di cercare una singola causa e iniziare a riconoscere la possibile gamma di fonti, influenzate da vari fattori psicologici, biologici e sociali.
L’Albero del Dolore: Una Guida per Capire
Questo articolo vuole proprio fare un po’ di chiarezza, unendo il modello biopsicosociale a quello neuroinfiammatorio. Vedere le donne attraverso queste diverse lenti ci farà capire come entrambi i modelli convergano verso le stesse conclusioni terapeutiche. L’albero, quindi, diventa la nostra guida.
Partiamo dalle radici. Queste rappresentano gli input biologici, periferici e/o nocicettivi. Il dolore, ricordiamolo, è l’interpretazione che il nostro cervello dà di uno stimolo nocivo. Nel CPP, le fonti nocicettive possono essere principalmente tre: il sistema viscerale, quello somatico e il sistema nervoso periferico. E non dimentichiamo il dolore riferito!
- Il sistema viscerale include diagnosi comuni come la sindrome della vescica dolorosa, la dismenorrea, l’endometriosi, la vulvodinia e i disturbi intestinali come la sindrome dell’intestino irritabile (IBS).
- Il sistema somatico comprende muscoli, fasce, pelle e ossa. Qui rientra il pavimento pelvico, ma anche la sua interconnessione con la stabilità lombo-pelvica.
- Il sistema nervoso periferico può essere coinvolto a causa di traumi o intrappolamenti nervosi (nervo pudendo, ilioinguinale, genitofemorale, ecc.).
Spesso ci concentriamo su una singola “diagnosi”, ma dobbiamo apprezzare l’interconnessione del sistema radicale. È comune che molti di questi problemi coesistano. Ad esempio, la sensibilizzazione viscero-viscerale fa sì che un organo infiammato renda ipersensibili anche altri organi con cui condivide l’innervazione. Nelle donne con CPP, la coesistenza di sindrome della vescica dolorosa ed endometriosi si osserva nel 48% dei casi! E non è perché l’endometriosi ha invaso la vescica, ma per una convergenza diagnostica. Allo stesso modo, l’IBS è presente nel 30-70% delle donne con sindrome della vescica dolorosa.

Il sistema somatico, con i suoi trigger point e le sue bande tese, è un altro grande protagonista. E c’è sempre più evidenza sul ruolo della fascia nel dolore e nella funzione muscolare. Il pavimento pelvico, poi, è spesso associato al mal di schiena, sottolineando l’importanza della convergenza somatico-somatica. Ma il sistema radicale si aggroviglia ancora di più se pensiamo alla convergenza viscero-somatica, che può essere bidirezionale. E non dimentichiamo la risposta protettiva al dolore: la contrazione muscolare, che nel tempo può portare a mialgia. Nei centri specializzati, fino al 90% delle donne con CPP ha una componente muscoloscheletrica!
Il Tronco: Quando il Dolore si Amplifica
Salendo dall’albero, incontriamo il tronco, che rappresenta il dolore nociplastico. Questo tipo di dolore è solitamente più diffuso e/o intenso di quanto ci si aspetterebbe data l’entità dell’input nocicettivo. Spesso si accompagna ad altri sintomi come disturbi del sonno, della memoria e affaticamento. Nasce da un’alterata funzione delle vie sensoriali del dolore nel sistema nervoso periferico e centrale, causando un’aumentata sensibilità. È come se il volume del dolore fosse stato alzato al massimo.
Questo processo può essere guidato da uno stimolo infiammatorio e/o neuropatico continuo. Può essere un’amplificazione degli input nocicettivi periferici (dalle radici), o può originare da trigger neuropatici de novo (la cosiddetta sensibilizzazione centrale), o addirittura dalla chioma (i fattori psicosociali). La sensibilizzazione centrale è una sottocategoria del dolore nociplastico, ed entrambe sono caratterizzate da un’amplificazione del segnale.
Come la linfa di un albero viaggia su e giù per il tronco in modo bidirezionale, così fa il dolore nociplastico: può originare dalle radici, dalla chioma o dal tronco stesso. Questa espansione è spesso descritta come iperalgesia (risposta dolorosa aumentata a uno stimolo doloroso) o allodinia (risposta dolorosa a uno stimolo non doloroso). Man mano che queste vie centrali si sviluppano, l’esperienza del dolore cambia, diventando meno focalizzata e più acuta. Lo vediamo nella difficoltà delle donne a descrivere le loro sensazioni, nella vaghezza della distribuzione del dolore e nell’aumento dei sintomi costituzionali. CPP, sindrome della vescica dolorosa e IBS sono spesso diagnosi miste, con fibromialgia, disturbi del sonno e affaticamento che rappresentano contributi sia nocicettivi (radici) che nociplastici (tronco). Non a caso, il 3-31% delle donne con CPP ha anche la fibromialgia.
La Corteccia e la Chioma: Protezione e Interpretazione
Il tronco è avvolto dalla corteccia, che protegge l’albero. Un principio chiave per capire il dolore è riconoscere che si è evoluto per proteggerci; è essenziale e adattivo. Tuttavia, il dolore cronico è spesso descritto come una iperprotezione da una minaccia reale o percepita, diventando quindi disadattivo. È questa iperprotezione che porta a paura, evitamento e difficoltà a svolgere attività significative.
Arriviamo infine alla chioma (foglie e rami), dove avviene l’interpretazione e i conseguenti comportamenti di coping. Il cervello interpreta tutti gli stimoli nocicettivi, sia dal corpo che dall’ambiente esterno, per concludere che “questo è dolore”. L’input che riceve il cervello è fenomenale: 10 milioni di bit al secondo dagli occhi, 1 milione dalla pelle, 100.000 dall’udito, solo per citarne alcuni! Il cervello può campionare solo una parte di queste informazioni e deve costruirne un significato. Da una prospettiva evolutiva, si concentrerà principalmente sulle minacce (reali o percepite). È come usare una torcia al buio: vediamo solo dove punta il fascio, e il fascio sarà puntato verso le minacce, rinforzando il sistema nervoso a diventare più sensibile ad esse.
Un concetto chiave del dolore cronico è il passaggio da un’esperienza contestuale a un concetto più generalizzato. Il modo in cui il cervello sceglie di concentrarsi su certi input e interpretarli sarà influenzato da tre ampie categorie:
- Priming (esperienze personali precedenti): epigenetica, eventi avversi infantili (ACEs), comportamenti appresi (inclusa l’impotenza appresa e la resilienza), precedenti esperienze di dolore e i loro esiti. Sta emergendo anche il ruolo della neurodiversità.
- Emozioni (spesso chiamate salute mentale): le più comuni includono depressione (ruminare sul passato), ansia (focalizzata sul futuro) e rabbia (concentrata sull’ingiustizia percepita). Portare queste emozioni nel presente impatterà l’esperienza del CPP in modo bidirezionale e influenzerà il comportamento.
- Credenze socio-culturali: queste si intersecano con genere, cultura e bias, sia nel campo sanitario che nella società. Influenzano comportamenti come la ricerca di aiuto, la vergogna e l’isolamento. La connessione sociale è cruciale nel recupero e nella gestione del dolore; il supporto che una donna riceve bilancia molti altri fattori della “chioma” e costruisce la sua resilienza.

Comprendere come tutti questi fattori interagiscono è fondamentale per iniziare il processo di trattamento e gestione del CPP. L’albero è una semplificazione, certo, e l’esperienza di ognuna sarà diversa, come ogni albero è diverso.
Il Modello Neuroinfiammatorio: Un’Altra Lente sull’Albero
A volte il modello biopsicosociale può intimidire, specialmente perché molti di noi sono stati formati con un modello prettamente biologico della malattia. Qui entra in gioco il modello neuroinfiammatorio del dolore, che può spiegare la disfunzione neurosensoriale che porta all’esperienza del CPP. E, udite udite, possiamo usare la stessa metafora dell’albero!
- Le radici rappresentano gli input nocicettivi neuroimmuni periferici che terminano nel ganglio della radice dorsale (DRG).
- Il tronco rappresenta la neuroinfiammazione nel midollo spinale che porta all’attivazione nociplastica.
- La chioma è il ruolo della neuroinfiammazione in altri fattori che influenzano il significato di questi input, come depressione, ansia e memoria.
I nocicettori nel sistema nervoso periferico (fibre Aδ mielinizzate e fibre C amieliniche) rispondono a stimoli termici, meccanici o chimici. L’infiammazione periferica abbassa la loro soglia di attivazione. Queste fibre sono attivate da mediatori infiammatori, citochine e chemochine pro-infiammatorie, e recettori Toll-like (TLR). A loro volta, i nervi nocicettori rilasciano neuropeptidi che attivano il sistema immunitario, creando un potenziale circolo vizioso. I TLR attivano anche macrofagi, microglia e astrociti. Questa comunicazione neuroimmune è un delicato equilibrio tra risoluzione e perpetuazione degli input periferici. La perpetuazione porta all’iperalgesia.
Le fibre Aδ e C fanno sinapsi nel DRG con neuroni secondari nel corno dorsale del midollo spinale, cruciali per l’instaurarsi del dolore nociplastico. I neuroni periferici rilasciano Sostanza P, glutammato e peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP), eccitando i nervi del corno dorsale. Le vie inibitorie modulano questi effetti, ma nel dolore cronico la bilancia pende verso l’eccitazione. La neuroinfiammazione conseguente attiva le cellule gliali (astrociti, microglia, oligodendrociti), specialmente la microglia, responsabile della neuroplasticità (cambiamenti strutturali) del SNC vista nelle persone con dolore cronico. La microgliosi (attivazione microgliale) nel corno dorsale rinforza le connessioni con il sistema nervoso periferico. Si pensa che queste cellule possano avere una “memoria molecolare del dolore”, spiegando la potenziamento con esposizioni ripetute al dolore e la vulnerabilità al dolore nel tempo. Gli astrociti sembrano mantenere la sensibilizzazione centrale.
Le cellule gliali sono come la linfa dell’albero: possono cambiare ed essere cambiate dall’input bidirezionale dal cervello (chioma) e dal sistema nervoso periferico (radici). La neuroinfiammazione, sia periferica che centrale, causa una “permeabilità” della barriera emato-encefalica, permettendo l’ingresso di citochine e cellule immunitarie periferiche, l’attivazione delle cellule gliali cerebrali e il rilascio di citochine. Le cellule gliali nel cervello influenzano le vie dopaminergiche (il sistema di ricompensa) e giocano un ruolo nella depressione maggiore, nell’ansia, nella memoria e nella cognizione. D’altra parte, depressione, stress, carenza di sonno e cattiva alimentazione possono scatenare la neuroinfiammazione, rafforzando la bidirezionalità del processo.

La corteccia, come detto, è la protezione dell’albero. Analogamente, sono i comportamenti adottati da un individuo per proteggersi dagli impatti del CPP. Questi comportamenti sono modellati dall’epistemologia e dalle esperienze individuali. Nel CPP, questa è spesso considerata una iperprotezione, poiché il grado di dolore riportato non riflette il grado di danno tissutale. I comportamenti diventano più generalizzati e amplificati nel tempo, portando a strategie di gestione disadattive a lungo termine.
Un Approccio Integrato per un Dolore Personale
Comprendere la complessità del CPP è il primo passo per sviluppare un approccio alla cura. Il modello biopsicosociale descrive l’esperienza del CPP attraverso una lente ampia. Il modello neuroinfiammatorio la descrive attraverso una lente più ristretta. Ma entrambi convergono sullo stesso risultato: la generazione del CPP.
La metafora dell’albero è quindi uno strumento preziosissimo per organizzare una presentazione del dolore molto complessa in un approccio sistematico e gestibile, partendo dalle radici e risalendo l’albero per identificare quali fattori giocano un ruolo in ogni singola donna. Questo approccio può guidare l’anamnesi, l’esame obiettivo e la pianificazione delle cure. Certo, altri sistemi come quello nervoso autonomo, vascolare ed endocrino modulano il CPP, ma la loro inclusione va oltre lo scopo di questa chiacchierata.
Usando questo modello, la sfida diventa identificare che tipo di albero rappresenta la donna che cerca aiuto: uno con un esteso sistema radicale come il pioppo tremulo, uno con un tronco spesso come la sequoia, o uno con una grande chioma come il baniano? Molto probabilmente, sarà un ibrido individuale, perché il dolore pelvico cronico è, e rimane sempre, un’esperienza profondamente personale.
Spero che questa metafora dell’albero vi abbia incuriosito e vi possa essere d’aiuto, sia che siate dalla parte di chi cura, sia che stiate cercando risposte per il vostro dolore. Ricordiamoci che capire è il primo, fondamentale passo verso il benessere.
Fonte: Springer
