ChatGPT in Cattedra: Ansia o Opportunità per i Docenti Universitari?
Eccoci qua, nel bel mezzo di un’altra rivoluzione tecnologica. Questa volta si chiama Intelligenza Artificiale Generativa (GAI), e il suo volto più noto, ChatGPT, sta bussando prepotentemente alle porte (e alle aule) delle nostre università. Come docente, non posso fare a meno di chiedermi: siamo pronti? O meglio, io sono pronto?
Mi sono imbattuto di recente in uno studio affascinante pubblicato su Springer (trovate il link alla fine) che ha cercato di scavare proprio in questo: l’ansia dei docenti universitari nell’era di ChatGPT. E non parlo di una generica “paura del nuovo”, ma di preoccupazioni specifiche, ben definite. Lo studio, condotto su 249 docenti di università pubbliche spagnole, ha messo a fuoco tre tipi principali di ansia. Vediamole insieme.
L’Ansia ha Molte Facce
Immaginatevi la scena: siete un professore, anni di esperienza, metodi consolidati… e arriva uno strumento che può scrivere saggi, rispondere a domande complesse, persino dare ripetizioni personalizzate. È naturale sentirsi un po’ spiazzati. Lo studio identifica queste ansie specifiche:
- Ansia per il futuro della professione accademica: “Ma allora io cosa ci sto a fare? ChatGPT mi sostituirà? Il mio ruolo perderà di valore?”. Sono domande che ronzano nella testa di molti. L’AI può fare cose che prima erano esclusiva competenza umana, come creare materiale didattico o valutare elaborati. Questo ci costringe a ripensare il nostro ruolo, magari focalizzandoci più sulla supervisione critica del lavoro dell’AI che sulla creazione ex-novo.
- Ansia per l’uso personale scorretto di ChatGPT: “E se lo uso io e produco contenuti imprecisi? O peggio, plagio senza accorgermene? Come faccio a sapere se posso fidarmi?”. L’etica, l’accuratezza, la paternità dei contenuti… sono nodi cruciali. Usare ChatGPT per la ricerca o la didattica solleva dubbi sulla legittimità e sulla nostra reputazione.
- Ansia per l’impatto negativo sull’apprendimento degli studenti: Questa è forse la più sentita. “I miei studenti useranno ChatGPT per copiare? Diventeranno dipendenti dall’AI perdendo capacità critiche e autonomia? Come faccio a valutare il loro vero apprendimento?”. La paura che gli studenti si affidino troppo a questi strumenti, compromettendo l’integrità accademica e il loro stesso processo di crescita intellettuale, è palpabile.
Cosa Dice la Ricerca?
Lo studio spagnolo ha usato un modello chiamato UTAUT (Unified Theory of Acceptance and Use of Technology), che cerca di capire perché adottiamo (o rifiutiamo) una nuova tecnologia. Si sono concentrati su come queste ansie influenzano l’intenzione comportamentale (BI) di usare ChatGPT, e su come questa intenzione sia mediata da due fattori chiave:
- Aspettativa di performance (PE): Quanto penso che ChatGPT mi aiuterà a fare meglio il mio lavoro?
- Aspettativa di sforzo (EE): Quanto penso che ChatGPT sia facile da usare?
I risultati sono illuminanti. L’ansia per l’impatto sull’apprendimento degli studenti e l’ansia per l’uso personale scorretto hanno entrambe un effetto negativo diretto sull’intenzione di usare ChatGPT. In pratica, più siamo preoccupati per come gli studenti lo useranno o per i rischi di un nostro uso improprio, meno siamo inclini ad adottarlo. Queste ansie riducono anche la nostra percezione che lo strumento sia utile (PE) e, nel caso dell’ansia da uso scorretto, anche facile da usare (EE), influenzando così indirettamente la nostra decisione.
Sorprendentemente, l’ansia per il futuro della professione non sembra avere un impatto statisticamente significativo sull’intenzione di usare lo strumento. Gli autori ipotizzano che questo possa dipendere dal contesto specifico: nelle università pubbliche spagnole, i docenti godono di una notevole sicurezza del posto di lavoro. Questa stabilità contrattuale potrebbe fare da cuscinetto contro la paura di essere “sostituiti” dall’AI, rendendo questa preoccupazione meno influente sulla decisione di adottare o meno ChatGPT. Certo, mi chiedo se in contesti lavorativi più precari il risultato sarebbe lo stesso.
L’Importanza delle Aspettative
Come accennato, le nostre aspettative giocano un ruolo cruciale. Se l’ansia ci fa percepire ChatGPT come uno strumento pericoloso per gli studenti o difficile da gestire eticamente, è logico che la nostra aspettativa sui suoi benefici (PE) cali drasticamente. E se temiamo di fare errori usandolo, o che sia complesso da padroneggiare, anche l’aspettativa sullo sforzo richiesto (EE) ne risente negativamente. Lo studio conferma che queste aspettative (soprattutto la PE) sono potenti mediatori: l’ansia agisce attraverso di esse per frenare la nostra volontà di integrare ChatGPT nel lavoro. In sostanza, non basta che uno strumento sia potente; dobbiamo percepirlo come utile e gestibile nel nostro contesto specifico, e l’ansia può distorcere questa percezione.
E le Donne? Un Dettaglio Interessante
Un altro dato emerso dallo studio riguarda il genere. Sembra che le docenti donne abbiano mostrato livelli più bassi sia di intenzione di usare ChatGPT (BI) sia di uso effettivo (UB) rispetto ai colleghi uomini. Questo suggerisce che potrebbero esserci barriere o preoccupazioni specifiche legate al genere che meritano attenzione. Forse programmi di formazione e supporto dovrebbero essere pensati tenendo conto anche di queste differenze, per garantire un’adozione più equa ed efficace.
Cosa Possiamo Fare?
Allora, come superare queste ansie e integrare strumenti come ChatGPT in modo produttivo e sereno? Lo studio suggerisce alcune piste, e mi trovano d’accordo:
- Formazione mirata: Non basta un corso tecnico su “come si usa ChatGPT”. Serve una formazione che affronti esplicitamente le ansie, soprattutto quelle legate all’uso etico, all’integrità accademica e all’impatto sugli studenti. Bisogna fornire strategie pratiche, magari sviluppando codici di condotta per l’uso dell’AI in classe.
- Linee guida chiare: Le istituzioni devono fare la loro parte, sviluppando e comunicando regole chiare sull’uso consentito (e non) di questi strumenti, sia per i docenti che per gli studenti. La chiarezza riduce l’incertezza, e quindi l’ansia.
- Condivisione e collaborazione: Creare spazi in cui noi docenti possiamo confrontarci, condividere esperienze (positive e negative), best practices e dubbi sull’uso dell’AI è fondamentale. Imparare insieme aiuta a sentirsi meno soli e più competenti.
- Enfatizzare i benefici reali: Mostrare concretamente come ChatGPT può alleggerire il carico di lavoro, migliorare certi aspetti della didattica o supportare la ricerca può aumentare la percezione di utilità (PE) e contrastare le paure.
- Supporto personalizzato: Riconoscere che non tutti partiamo dallo stesso livello (anche in base al genere, come visto) e offrire supporto differenziato può fare la differenza.
In conclusione, l’ansia dei docenti universitari di fronte a ChatGPT è reale, complessa e multiforme. Ignorarla sarebbe un errore. Non si tratta solo di resistenza al cambiamento, ma di preoccupazioni legittime legate al cuore della nostra professione: l’insegnamento, l’apprendimento, l’etica. Affrontare queste ansie non significa demonizzare la tecnologia, ma capirla meglio, imparare a gestirla e a integrarla in modo consapevole e critico. Penso che la sfida sia proprio questa: trasformare l’ansia in uno stimolo per evolvere, per diventare docenti ancora più capaci di guidare i nostri studenti nel mondo che cambia, un mondo in cui l’intelligenza artificiale sarà sempre più presente.
Fonte: Springer