Fotografia realistica di un medico anziano che esamina la radiografia di una frattura d'anca, in un ambiente ospedaliero moderno e luminoso. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per focalizzare sull'espressione pensierosa del medico e sulla radiografia. Luce soffusa laterale.

Frattura d’anca e anticoagulanti: Misurare i DOAC prima dell’intervento è davvero utile o solo una perdita di tempo?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che tocca da vicino molti dei nostri anziani e che, vi assicuro, tiene banco nelle discussioni tra noi medici: la gestione dei pazienti con frattura d’anca che assumono farmaci anticoagulanti, in particolare i cosiddetti DOAC (Anticoagulanti Orali Diretti).

Immaginate la scena: una persona anziana cade, si frattura il femore. Corsa in ospedale. La regola d’oro, supportata da linee guida nazionali come il Piano Nazionale Esiti qui in Italia, è operare entro 48 ore. Perché tanta fretta? Semplice: ritardare l’intervento aumenta il rischio di complicanze, allunga la degenza e, purtroppo, incrementa anche la mortalità. Ogni ora conta!

Il Dilemma degli Anticoagulanti e la Chirurgia Urgente

Qui entra in gioco il fattore “anticoagulanti”. Moltissimi over 65 assumono questi farmaci, spesso per la fibrillazione atriale o per prevenire trombosi. I “vecchi” anticoagulanti, gli antagonisti della vitamina K (VKA, come il Warfarin), richiedono il monitoraggio dell’INR e, in caso di intervento, si può usare la vitamina K per antagonizzarne l’effetto, anche se ci vuole un po’ di tempo. Poi ci sono gli antiaggreganti (come l’aspirina), gestiti diversamente.

E i DOAC? Questi farmaci più moderni (Apixaban, Rivaroxaban, Edoxaban, Dabigatran) sono comodi perché non richiedono monitoraggio di routine, ma quando c’è da operare d’urgenza, sorge il problema: come sapere se l’effetto anticoagulante è ancora troppo alto per rischiare un intervento? Sanguinerà troppo il paziente?

Fino a poco tempo fa, la prassi in alcuni centri, suggerita da alcune linee guida meno recenti o non specifiche per la frattura d’anca, era quella di misurare i livelli residui di DOAC nel sangue e aspettare che scendessero sotto una certa soglia “sicura” (che, tra l’altro, non è nemmeno ben definita!). Altri protocolli, invece, suggerivano semplicemente di sospendere il farmaco per un tot di ore (da 48 a 96 ore, a seconda del tipo di DOAC e della funzione renale) senza misurare nulla, basandosi sull’emivita del farmaco. Ma quale approccio è migliore? Misurare i livelli di DOAC aiuta davvero a bilanciare il rischio di sanguinamento con la necessità di operare in fretta?

Lo Studio ORTHO-GER-DOAC: Cosa Abbiamo Scoperto?

Proprio per rispondere a questa domanda, insieme a colleghi di altri due importanti centri italiani (l’Ospedale Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo e l’Ospedale di Baggiovara a Modena), noi dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna abbiamo condotto uno studio retrospettivo, chiamato ORTHO-GER-DOAC. Abbiamo analizzato i dati di 747 pazienti over 65 operati per frattura d’anca tra il 2015 e il 2022.

Abbiamo confrontato cosa succedeva ai pazienti che assumevano DOAC (alcuni dei quali, nella prima fase dello studio, sono stati sottoposti a misurazione dei livelli del farmaco prima dell’intervento) con quelli che prendevano VKA, antiaggreganti, o nessun farmaco antitrombotico. Volevamo vedere chi veniva operato entro le fatidiche 48 ore e quali erano gli esiti.

Fotografia realistica di un medico anziano che esamina la radiografia di una frattura d'anca, in un ambiente ospedaliero moderno e luminoso. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per focalizzare sull'espressione pensierosa del medico e sulla radiografia. Luce soffusa laterale.

I risultati sono stati… illuminanti! Tenetevi forte:

  • La percentuale di pazienti operati entro 48 ore era significativamente più bassa tra chi assumeva DOAC (solo il 47%) rispetto a chi prendeva antiaggreganti (77%) o nessun farmaco (73%). Era simile a chi prendeva VKA (53%), per i quali comunque esiste una procedura di “inversione” dell’effetto.
  • Andando a vedere più nel dettaglio il gruppo DOAC, abbiamo notato che proprio la misurazione preoperatoria dei livelli del farmaco ritardava significativamente l’intervento. Il tempo mediano dall’ammissione all’intervento passava da circa 42 ore (per chi non misurava o prendeva altri farmaci/nulla) a 51 ore per chi assumeva DOAC e veniva testato (nel nostro centro, a Bologna, il ritardo era ancora più marcato, passando da 61 a 78 ore mediane!).

In pratica, aspettare i risultati del test e che i livelli scendessero sembrava essere un fattore chiave nel ritardare l’accesso alla sala operatoria per questi pazienti.

Misurare i DOAC: Aiuta o Rallenta?

La domanda sorge spontanea: questo ritardo dovuto alla misurazione dei DOAC si traduceva almeno in una maggiore sicurezza, magari in meno sanguinamenti? Beh, qui arriva l’altra sorpresa.

Abbiamo calcolato la perdita di sangue totale perioperatoria e abbiamo registrato le complicanze emorragiche maggiori e la mortalità a 90 giorni.

  • I pazienti che assumevano DOAC avevano una perdita di sangue perioperatoria maggiore rispetto a quelli che prendevano altri antitrombotici o nessun farmaco. E questo accadeva indipendentemente dal fatto che i livelli del farmaco fossero stati misurati o meno prima dell’intervento! Anche con livelli considerati “bassi” o vicini alla soglia minima, il sanguinamento era comunque superiore.
  • Tuttavia, e questo è cruciale, non abbiamo trovato differenze significative nei tassi di sanguinamento maggiore o nella mortalità a 90 giorni tra i vari gruppi (DOAC con/senza test, VKA, antiaggreganti, nessun farmaco).

Immagine macro, obiettivo 100mm, di un cronometro medico tenuto in mano da un chirurgo in camice sterile, con una sala operatoria sfocata sullo sfondo. Alta definizione, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli del cronometro.

E il Sanguinamento? C’è un Prezzo da Pagare?

Cosa ci dice tutto questo? Sembra proprio che la pratica di misurare i livelli di DOAC prima di un intervento per frattura d’anca negli anziani non solo non porti a un vantaggio clinico tangibile (in termini di riduzione delle emorragie maggiori o della mortalità), ma anzi causi un ritardo nell’intervento chirurgico, potenzialmente dannoso.

Il maggior sanguinamento osservato nei pazienti DOAC, anche a bassi livelli residui, suggerisce che forse le soglie considerate “sicure” non lo sono poi così tanto per questo tipo di chirurgia, o che comunque l’impatto del farmaco persiste. Ma dato che questo maggior sanguinamento non si traduceva in eventi emorragici clinicamente più gravi o in un aumento della mortalità, aspettare per misurare sembra controproducente.

Fotografia still life, obiettivo macro 60mm, di alcune gocce di sangue stilizzate su una superficie bianca sterile vicino a strumenti chirurgici. Illuminazione drammatica e controllata, alto dettaglio, messa a fuoco precisa sulle gocce.

Cosa Significa Tutto Questo per Noi (e per i Pazienti)?

Il succo della questione, amici miei, è che i nostri risultati supportano un approccio più pragmatico, in linea con le linee guida più recenti che suggeriscono di non basarsi sulla misurazione dei livelli di DOAC per decidere quando operare una frattura d’anca urgente. Sembra più ragionevole seguire protocolli basati sulla sospensione del farmaco per un tempo definito (ad esempio, 24-48 ore per gli inibitori del Fattore Xa, un po’ di più per Dabigatran, tenendo conto della funzione renale), accettando un potenziale, ma apparentemente non catastrofico, aumento del sanguinamento perioperatorio, pur di garantire l’intervento nelle cruciali 48 ore.

Certo, il nostro è uno studio retrospettivo, con i suoi limiti (numero di pazienti testati non enorme, possibili cambiamenti nelle pratiche nel lungo periodo, differenze tra centri), ma aggiunge un tassello importante alla discussione. Serviranno sicuramente altri studi, magari prospettici e randomizzati, per confermare questi dati e definire protocolli ancora più precisi.

Ma per ora, il messaggio sembra chiaro: nel delicato equilibrio tra rischio emorragico e necessità di chirurgia tempestiva nella frattura d’anca dell’anziano in terapia con DOAC, l’ago della bilancia sembra pendere decisamente verso l’evitare ritardi inutili causati da test di laboratorio che non sembrano migliorare gli esiti che contano davvero.

Fonte: Springer

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