Sudafrica: Quando la Disuguaglianza Segna il Futuro dei Giovani (E Come il Social Work Può Fare la Differenza)
Ragazzi, parliamoci chiaro. Quando pensiamo al Sudafrica, magari ci vengono in mente paesaggi mozzafiato, la storia incredibile di Nelson Mandela, la fine dell’Apartheid. Tutto vero, per carità. Ma c’è una realtà molto più dura, una ferita ancora aperta che sanguina ogni giorno, soprattutto sulla pelle dei più giovani: la disuguaglianza. E non parlo di piccole differenze, ma di un abisso che separa chi ha e chi non ha, chi può sognare un futuro e chi fatica persino a immaginarselo.
Mi sono imbattuto in uno studio recente (lo trovate linkato alla fine, se volete approfondire) che mette nero su bianco questa situazione, concentrandosi proprio sui giovani sudafricani. E i numeri, lasciatemelo dire, fanno impressione. Pensate che il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 64%! Un dato pazzesco che la dice lunga sulla vulnerabilità di questa fascia della popolazione.
La cosa che mi ha colpito di più leggendo questa ricerca è come, nonostante siano passati quasi trent’anni dalla fine dell’Apartheid e dall’elezione del primo governo democratico dell’ANC, i fattori che determinano il successo di un giovane siano ancora drammaticamente legati al colore della pelle, alla ricchezza della famiglia e persino alla provincia in cui si nasce. Sembra quasi che il Sudafrica viva una doppia realtà all’interno dei suoi stessi confini: da una parte, una minoranza (circa il 20-25%) che vive in aree urbane, ha accesso a istruzione di qualità e lavoro; dall’altra, la stragrande maggioranza (il 75%), prevalentemente nera, senza beni, segnata dalla disoccupazione e senza accesso a scuole decenti. Una spaccatura profonda, che genera ingiustizia sociale a ogni livello.
Ma Cosa Alimenta Questa Disuguaglianza? I “Motori” Invisibili
Lo studio ha cercato di capire quali fossero i veri “motori” (drivers, li chiamano) che alimentano questa spirale di ingiustizia. E ne sono emersi quattro principali, che agiscono come macigni sul futuro dei ragazzi:
- Povertà: Sembra ovvio, ma è fondamentale ribadirlo. La povertà non è solo una conseguenza della disuguaglianza, ma ne è anche un motore potentissimo. Chi nasce povero ha meno accesso a tutto: sanità, istruzione, cibo, acqua, persino dignità. Come diceva un partecipante allo studio: “I poveri ricevono sempre meno servizi, o non ne ricevono affatto”. E spesso, la povertà spinge verso attività criminali, come unica via d’uscita percepita.
- Ruralità: Vivere in aree rurali, in Sudafrica, significa spesso essere tagliati fuori. Meno infrastrutture, meno servizi, meno opportunità. Le scuole sono spesso fatiscenti, mancano libri, insegnanti qualificati, persino l’accesso a internet è un lusso. Un partecipante ha sottolineato: “Nelle aree rurali è difficile accedere all’informazione”. E la sanità? Spesso un miraggio, con cliniche sovraffollate o lontanissime.
- Razza: L’ombra lunga dell’Apartheid si fa ancora sentire, eccome. Essere neri significa ancora, troppo spesso, partire svantaggiati. Lo si vede nella qualità dei servizi (scuole, ospedali) nelle aree a maggioranza nera, spesso “indietro di un miglio”, come ha detto un giovane intervistato. Persino nel modo in cui si viene trattati: “Se sei nero, alcune infermiere sono scortesi con te”. Il divario di povertà tra sudafricani neri e bianchi rimane il più ampio al mondo e, cosa ancora più preoccupante, sta aumentando.
- Genere: Essere donna, e in particolare una giovane donna nera, in Sudafrica, significa affrontare una sfida nella sfida. Sono loro a registrare i salari più bassi, i tassi di disoccupazione più alti e a subire la povertà più estrema. E poi c’è la piaga della violenza di genere, un problema enorme nonostante le leggi esistenti. Come ha amaramente constatato una partecipante: “Le vittime di stupro e violenza di genere non sono ben supportate, la società le stigmatizza e i colpevoli restano impuniti”.
Dove Colpisce la Disuguaglianza? Le Dimensioni della Vita Quotidiana
Questi “motori” non agiscono nel vuoto, ma vanno a impattare su aspetti concretissimi della vita dei giovani, quelle che lo studio chiama le “dimensioni” della disuguaglianza:
- Istruzione: Un disastro annunciato. Scuole pubbliche spesso inadeguate, classi sovraffollate, mancanza di materiali, insegnanti demotivati. Come può un ragazzo costruirsi un futuro se parte da basi così fragili? Un partecipante ha raccontato: “Impari con informazioni limitate, senza accesso a internet o tecnologia. Tocchi un computer per la prima volta all’università, se ci arrivi”. E questo crea un circolo vizioso: senza un’istruzione adeguata, trovare lavoro diventa un’impresa.
- Sanità: Un diritto sulla carta, una lotta nella realtà. Gli ospedali pubblici sono spesso in condizioni pietose, sovraffollati, con personale insufficiente o demotivato. “Devi stare in coda per più di 8 ore prima di essere visitato, o ti rimandano a casa”, ha testimoniato un giovane. E chi vive in zone rurali ha ancora più difficoltà ad accedere a cure dignitose. La differenza con la sanità privata, accessibile solo ai ricchi, è abissale.
- Servizi Essenziali: Acqua, elettricità, strade, servizi igienici… Cose che diamo per scontate, ma che per molti giovani sudafricani, soprattutto nelle aree rurali e nelle township, sono un lusso. La ricerca ha evidenziato come la fornitura di questi servizi sia ancora guidata dagli squilibri storici dell’Apartheid, con le comunità più povere e marginalizzate sistematicamente trascurate. Corruzione e cattiva gestione municipale fanno il resto.
- Occupazione: Il tasto dolente per eccellenza. Con un tasso di disoccupazione giovanile così alto, trovare lavoro è un’utopia per molti. C’è uno scollamento enorme tra ciò che la scuola (quando funziona) produce e ciò che il mercato del lavoro richiede. E poi, come hanno denunciato molti partecipanti, ci sono la corruzione e il nepotismo, specialmente nel settore pubblico: “Non puoi accedere al mercato del lavoro perché nessuno ti ‘aggancia’”.
Il Ruolo Cruciale del Social Work (Ma Quello Giusto!)
Di fronte a questo quadro, viene da chiedersi: cosa si può fare? Qui entra in gioco una figura fondamentale: l’assistente sociale. Ma attenzione, non basta un approccio qualsiasi. Serve quello che viene chiamato “developmental social work”, un lavoro sociale orientato allo sviluppo, che non si limita a tamponare l’emergenza, ma cerca di agire sulle cause strutturali dell’ingiustizia.
Questo approccio si basa sui principi della giustizia sociale: pari opportunità, accesso equo alle risorse, empowerment delle persone e delle comunità, lotta contro ogni forma di discriminazione e oppressione. L’assistente sociale diventa un agente di cambiamento, che lavora con le persone per identificare i problemi (i famosi “motori” e “dimensioni” di cui parlavamo) e trovare soluzioni concrete.
La ricerca sottolinea un punto chiave: per essere efficaci, gli assistenti sociali devono conoscere a menadito la realtà in cui operano. Devono capire intimamente come la povertà, la razza, la ruralità e il genere influenzano la vita dei giovani che incontrano. E questo, amici miei, significa che la formazione di questi professionisti deve cambiare. Non basta la teoria sui libri; serve integrare lo studio approfondito di questi “motori” e “dimensioni” specifici del contesto sudafricano. Bisogna preparare gli studenti ad affrontare la complessità del mondo reale, a pensare criticamente e a intervenire in modo mirato.
Un Futuro da Riscrivere
Insomma, la situazione dei giovani in Sudafrica è complessa e piena di sfide enormi. La disuguaglianza è una bestia difficile da domare, con radici profonde nella storia e nella struttura stessa della società. Ma conoscere il nemico è il primo passo per combatterlo. Capire i meccanismi che perpetuano l’ingiustizia – i motori come povertà, razza, ruralità e genere, e le dimensioni come istruzione, sanità, lavoro e servizi – è fondamentale.
E credo fermamente che un social work consapevole, preparato, radicato nella giustizia sociale e orientato allo sviluppo, possa davvero fare la differenza. Può aiutare i giovani a riprendere in mano il proprio futuro, a lottare per i propri diritti, a costruire comunità più eque e resilienti. La strada è lunga e in salita, ma la speranza, quella, non deve mai mancare.
Fonte: Springer