Fotografia macro altamente dettagliata di una cornea umana con guttae visibili, caratteristiche della Distrofia di Fuchs. L'immagine dovrebbe trasmettere un senso di ricerca medica e speranza, magari con una sottile sovrapposizione di filamenti di DNA. Obiettivo macro, 105mm, messa a fuoco precisa, illuminazione controllata per enfatizzare texture e profondità.

Distrofia di Fuchs: A Caccia dei Geni Nascosti nel DNA Tedesco!

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo della genetica, alla scoperta di una malattia che, seppur poco conosciuta ai più, rappresenta una sfida importante per la vista di molte persone: la Distrofia Endoteliale Corneale di Fuchs (FECD). Pensate che è la principale causa di trapianto di cornea nel mondo occidentale! E con la carenza di cornee da trapiantare, capire cosa c’è dietro a livello genetico è diventato cruciale per sperare in nuove terapie. Ecco perché, con il mio team, ci siamo messi all’opera per indagare più a fondo, concentrandoci sulla popolazione tedesca.

Cos’è esattamente la Distrofia di Fuchs e perché ci interessa tanto?

Immaginate la cornea, la “finestra” trasparente del nostro occhio. La sua parte più interna, l’endotelio, ha un compito fondamentale: mantenere la cornea disidratata e quindi trasparente. Nella FECD, queste cellule endoteliali, che purtroppo non si rigenerano, iniziano a morire. Questo porta a un accumulo di liquido (edema corneale), alla formazione di piccole goccioline chiamate “guttae” sulla membrana di Descemet (uno strato della cornea), e alla fine a una visione annebbiata, abbagliamento e, nei casi più gravi, dolore e ulcere. La malattia è progressiva e colpisce più frequentemente le donne, manifestandosi di solito dopo i 50 anni. In Germania, è la ragione numero uno per cui si ricorre al trapianto di cornea, rappresentando quasi la metà dei casi!

Per anni, l’unica soluzione chirurgica era il trapianto perforante, un intervento piuttosto invasivo. Fortunatamente, oggi ci sono tecniche più moderne e meno invasive come la DMEK e la DSAEK, che permettono di intervenire prima. Ma la vera svolta sarebbe poter agire sulle cause, e qui entra in gioco la genetica.

La nostra caccia ai geni nella popolazione tedesca

Sapevamo già da studi precedenti che la FECD ha una forte componente ereditaria, spesso con un modello di trasmissione autosomico dominante. Un “vecchio amico” della ricerca sulla FECD è il gene TCF4, sul cromosoma 18, le cui varianti sono state associate più volte alla malattia, insieme a un’espansione di triplette CTG (CTG18.1) particolarmente frequente nelle popolazioni europee. Altri geni come SLC4A11, TCF8, KANK4, LAMC1, ATP1B1 e LOXHD1 erano già stati segnalati.

Il nostro obiettivo era duplice: confermare questi sospetti nella popolazione tedesca e, soprattutto, cercare nuovi geni o varianti genetiche coinvolte. Per farlo, abbiamo condotto uno studio di associazione sull’intero genoma (GWAS) su 157 pazienti con FECD e 309 controlli sani, tutti reclutati presso lo stesso centro clinico a Rostock. Questa omogeneità etnica e ambientale è un punto di forza, perché riduce le variabili confondenti. Abbiamo usato un array super tecnologico, l’Axiom™ Precision Medicine Diversity Array, che non era mai stato usato prima per studiare la FECD a livello di GWAS, dandoci una chance in più di scovare novità.

Abbiamo analizzato quasi 870.000 marcatori genetici per ogni partecipante! Dopo un’attenta scrematura e analisi statistica, tenendo conto di età e sesso, siamo andati a caccia di quelle varianti che erano significativamente più frequenti nei pazienti rispetto ai controlli.

Primo piano macro di un occhio umano che mostra la cornea con sottili opacità indicative della Distrofia di Fuchs. Obiettivo macro, 90mm, con elevato dettaglio e messa a fuoco precisa, illuminazione controllata per evidenziare la texture corneale.

I risultati: conferme e nuove, intriganti scoperte!

Ebbene, i risultati sono stati a dir poco illuminanti! Prima di tutto, abbiamo avuto una conferma schiacciante del ruolo del locus TCF4. In particolare, la variante (SNP) rs613872 è risultata potentemente associata alla FECD: chi porta l’allele G ha una probabilità 8,6 volte maggiore di sviluppare la malattia! Questo SNP da solo spiega ben il 72% della varianza fenotipica, il che è tantissimo. Sembra che l’allele G abbia un effetto dominante, come già ipotizzato in passato.

Ma la vera caccia al tesoro ci ha portato a scovare dei “nuovi arrivati” sulla scena genetica della FECD. Tra questi, spiccano:

  • Una variante sul cromosoma 5, rs153643, all’interno del gene SEMA6A. Questo gene è super interessante perché è coinvolto nel rimodellamento del citoscheletro (l’impalcatura delle cellule) e nelle vie dell’apoptosi (la morte cellulare programmata). Entrambi questi processi sono cruciali nella FECD, quindi SEMA6A diventa un candidato promettente per future ricerche e, chissà, per nuove terapie. Chi portava questa variante aveva un rischio 2,75 volte maggiore.
  • Una variante sul cromosoma 19, rs62117964, nel gene DNAJC19P3 (un pseudogene di cui si sa ancora poco), con un rischio aumentato di 3,61 volte.

Abbiamo anche identificato diverse varianti in regioni del DNA che non codificano per proteine, i cosiddetti RNA lunghi non codificanti (lncRNA). Questi lncRNA, come LOC105372130 (già associato all’isteresi corneale e al fattore di resistenza corneale), potrebbero influenzare l’espressione di geni vicini, incluso il nostro “protagonista” TCF4. Pensate che varianti in LINC01416 e LINC03069, altri lncRNA, sono state collegate allo spessore corneale centrale e alle misurazioni delle cellule endoteliali. È come se questi lncRNA fossero dei direttori d’orchestra che, pur non suonando uno strumento, ne regolano l’attività. E dato che la transizione endotelio-mesenchimale (EMT), un processo in cui le cellule endoteliali cambiano forma e funzione, è implicata nella FECD, il ruolo di questi lncRNA nel regolare TCF4 e forse ZEB1 (un altro attore dell’EMT) diventa un filone di ricerca caldissimo.

Non solo geni “cattivi”: anche qualche “protettore”?

Curiosamente, abbiamo trovato anche varianti genetiche che sembrano avere un effetto protettivo, cioè erano più frequenti nei controlli sani. Un esempio è rs55693639 nel gene ARHGEF10L sul cromosoma 1. Questo gene è coinvolto nella migrazione cellulare, nell’adesione e nei cambiamenti del citoscheletro. Potrebbe darsi che queste varianti aiutino a mantenere le cellule endoteliali più sane e resistenti.

Mettere insieme i pezzi del puzzle: l’analisi dei pathway

Come se non bastasse, abbiamo analizzato le “vie metaboliche e di segnalazione” (pathway) in cui sono coinvolti i geni che abbiamo identificato. E qui le cose si fanno ancora più intriganti! Sono emersi pathway legati alla proliferazione dei linfociti T, ma anche termini più generali come “processo di sviluppo” e “legame proteico”.

Particolarmente interessanti sono stati gli arricchimenti per fattori di trascrizione come:

  • Kaiso (ZBTB33): coinvolto nella transizione epitelio-mesenchimale e nell’apoptosi. È stato dimostrato che gioca un ruolo nell’espansione delle cellule endoteliali corneali umane.
  • AP-2alpha: importante per la differenziazione degli epiteli, inclusa la superficie oculare.
  • ZBTB5: un fattore di trascrizione che può promuovere la proliferazione cellulare o l’apoptosi a seconda del contesto.
  • MAD1L1: un componente del checkpoint del fuso mitotico, cruciale per la corretta divisione cellulare. Una variante in MAD1L1 (rs117106123) è risultata significativamente associata alla FECD con un effetto protettivo.

Molti di questi pathway sembrano convergere su una molecola chiave: la E-Caderina, fondamentale per l’adesione tra cellule. Anche se la E-Caderina non è stata trovata nelle cellule endoteliali corneali di pazienti tedeschi in uno studio precedente, la N-Caderina (che induce la transizione endotelio-mesenchimale) sì, ed era aumentata nelle cellule attorno alle guttae.

Rappresentazione fotorealistica stilizzata di una doppia elica di DNA intrecciata con rappresentazioni astratte luminose di loci genici. Obiettivo prime, 35mm, con profondità di campo, e colori duotone come blu profondo e ciano elettrico per creare un'atmosfera futuristica e high-tech.

Cosa significa tutto questo per il futuro?

Il nostro studio, pur con i suoi limiti (come la dimensione relativamente piccola del campione rispetto ad altri mega-studi), ha non solo confermato l’importanza centrale del locus TCF4 nella popolazione tedesca, ma ha anche acceso i riflettori su nuovi geni candidati come SEMA6A e sul ruolo potenziale degli lncRNA. Questi ultimi, in particolare, aprono scenari affascinanti sulla regolazione epigenetica dell’espressione genica nella FECD.

L’idea che SEMA6A sia coinvolto nella disposizione dei filamenti di actina, nella dinamica dei microtubuli e nelle vie apoptotiche lo rende un bersaglio particolarmente promettente per future indagini. Immaginate se potessimo modulare la sua attività per proteggere le cellule endoteliali!

Certo, la strada è ancora lunga. Serviranno studi di replicazione e ulteriori approfondimenti funzionali per capire esattamente come queste varianti contribuiscano alla malattia. Ma ogni nuova scoperta è un passo avanti verso la comprensione dei meccanismi alla base della FECD e, speriamo, verso lo sviluppo di terapie innovative che possano un giorno sostituire o affiancare il trapianto di cornea.

La nostra avventura nel genoma tedesco ci ha regalato nuovi, preziosi indizi. E la caccia continua, perché l’obiettivo finale è preservare quel bene prezioso che è la vista!

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *