Immagine grandangolare della superficie dell'oceano al tramonto, con onde dolci che riflettono colori caldi arancioni e rossi, simbolo del riscaldamento globale degli oceani, lunga esposizione per acqua liscia come seta, obiettivo 20mm, messa a fuoco nitida sull'orizzonte lontano.

Oceani Bollenti: Stiamo Separando il Caldo Umano dal Caos Naturale!

Ciao a tutti! Avete mai pensato a quanto sia immenso e misterioso l’oceano? È un gigante buono che assorbe oltre il 90% del calore in eccesso che produciamo qui sulla Terra. Pensateci: solo i primi 2,5 metri d’acqua hanno la stessa capacità termica di tutta l’atmosfera! Questo “abbraccio” caloroso, però, ha delle conseguenze, come l’innalzamento del livello del mare dovuto all’espansione termica dell’acqua. Ma qui sorge il problema: quanto di questo riscaldamento è *colpa nostra* (attività antropogeniche) e quanto è dovuto ai normali “capricci” dell’oceano, alla sua dinamica interna?

Distinguere le due cose è un bel rompicapo. Il clima ha le sue variazioni naturali, come il famoso El Niño (ENSO) o l’Oscillazione Nord Atlantica (NAO), che mescolano le carte in tavola, alterando le correnti, i venti e gli scambi di calore e acqua dolce tra aria e mare. A volte, queste variazioni possono mascherare il riscaldamento causato dall’uomo, altre volte possono amplificarlo. Ricordate l’inizio degli anni 2000? Nel Pacifico, condizioni simili a La Niña (generate internamente) hanno temporaneamente messo in pausa il riscaldamento indotto dai gas serra. Capite bene che la domanda fondamentale è: il caldo che osserviamo negli oceani è davvero il segnale del nostro impatto o è solo una fase passeggera della complessa danza oceanica?

Capire come il calore “umano” si infiltra negli abissi

Per rispondere, noi scienziati ci siamo dati da fare. L’idea generale è che il calore “extra” che immettiamo nell’atmosfera, una volta assorbito dalla superficie oceanica, si comporti un po’ come un tracciante passivo. Immaginate di versare del colorante in un fiume: viene trasportato dalla corrente. Allo stesso modo, si pensa che questo calore anomalo venga “subdotto”, cioè trascinato verso il basso, nelle grandi correnti oceaniche (i vortici subtropicali) e poi viaggi lungo superfici a densità costante, chiamate isopicnali.

Su questa base, sono stati sviluppati modelli per separare il calore “aggiunto” (quello che entra per via degli scambi aria-mare alterati) dal calore “ridistribuito” (quello spostato dai cambiamenti nella circolazione oceanica). Questo approccio ci ha dato molte informazioni utili, ma si basa su modelli e condizioni al contorno imposte, non sempre perfette per rappresentare la complessità del mondo reale. Inoltre, il calore aggiunto non è necessariamente “neutro” per la densità; anzi, la modifica, rendendo l’acqua più leggera. Quindi, definirlo semplicemente “passivo” come un tracciante che non altera la densità (come le anomalie di “spice”, di cui parleremo tra poco) non è del tutto corretto. Serviva un quadro più rigoroso.

Una nuova lente per guardare l’oceano: Spice e Heave (Passivo vs Dinamico)

Ed è qui che entra in gioco il nostro nuovo approccio! Abbiamo rispolverato e affinato una vecchia idea: la scomposizione delle variazioni di temperatura in due componenti principali:

  • Spice: Variazioni di temperatura e salinità che si compensano a vicenda, senza modificare la densità dell’acqua. Si comportano davvero come traccianti passivi, un po’ come mescolare spezie diverse senza cambiare il peso totale.
  • Heave: Variazioni di temperatura apparenti dovute allo spostamento verticale delle superfici isopicnali (come un’onda che solleva e abbassa qualcosa).

La vera novità è che abbiamo capito che l’ “heave” non è tutto uguale. Nel contesto del riscaldamento globale, questo sollevamento (o abbassamento) delle isopicnali può essere causato sia da processi interni all’oceano (adiabatici, senza scambio di calore netto) sia dall’aggiunta esterna di calore (diabatici). Abbiamo quindi diviso l’heave in due parti, ed è questa la chiave:

  • Heave Passivo: Cattura il riscaldamento “netto”, quello dovuto all’assorbimento del calore antropogenico che si infiltra lungo le isopicnali. È come aggiungere lentamente acqua calda che rende gradualmente tutto il sistema più caldo. Questa è l’impronta digitale oceanica del cambiamento climatico causato dall’uomo!
  • Heave Dinamico: Rappresenta la ridistribuzione del calore esistente dovuta ai processi dinamici dell’oceano (venti, onde interne, correnti). È come mescolare l’acqua già presente, creando zone più calde e più fredde localmente, ma senza aggiungere calore netto al sistema globale. Se sommiamo il suo contributo su tutto il globo, fa zero.

Questo nuovo modo di “etichettare” le superfici di densità nel tempo ci permette di isolare il riscaldamento diabatico (l’aggiunta di calore) come un processo passivo e distinguerlo chiaramente dal rimescolamento adiabatico (heave dinamico).

Visualizzazione 3D fotorealistica di strati oceanici con diverse densità (colori diversi, dal blu scuro denso al ciano chiaro meno denso). Una freccia rossa curva indica il calore antropogenico ('Heave Passivo') che penetra lentamente negli strati superiori, mentre frecce ondulate bianche indicano il mescolamento interno ('Heave Dinamico' e 'Spice'). Obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione controllata per evidenziare gli strati.

Cosa ci dicono le osservazioni reali?

Abbiamo applicato questo nostro “decodificatore” ai dati osservativi reali (principalmente dal dataset EN4 e ISAS20 ARGO, basato sui dati delle boe Argo). Cosa abbiamo scoperto?
Il riscaldamento globale medio dell’oceano, quella linea che sale costantemente dagli anni ’90 (con una piccola pausa all’inizio del secolo), corrisponde quasi perfettamente al nostro heave passivo. È la prova che stiamo catturando il segnale del riscaldamento netto dovuto alle emissioni di gas serra.

Lo spice, invece, a livello globale si annulla. Non contribuisce al riscaldamento medio, ma mostra come il calore venga rimescolato internamente, creando differenze tra i vari bacini oceanici (Atlantico, Pacifico, Indiano, Australe) con variazioni anno dopo anno, ma senza un trend chiaro a lungo termine (tranne un leggero raffreddamento da spice nel Pacifico).

L’heave dinamico è il più “rumoroso”. Mostra forti oscillazioni su scale da interannuali a decadali, soprattutto nell’Oceano Indiano e Australe prima del 2002-2005. Queste fluttuazioni, legate probabilmente ai modi climatici naturali, possono mascherare il trend di fondo del riscaldamento antropogenico. È interessante notare che, prima del 2005 circa, l’heave dinamico dominava spesso l’evoluzione della temperatura su scala di bacino, superando persino il riscaldamento passivo. Ma da allora, l’heave passivo è diventato il motore principale del riscaldamento in tutti gli oceani.

Guardando le mappe, l’heave passivo mostra un riscaldamento su larga scala, più pronunciato nelle zone equatoriali e alle medie latitudini, specialmente all’interno dei grandi vortici subtropicali dove l’acqua superficiale calda viene spinta verso il basso. È meno evidente a sud della Corrente Circumpolare Antartica e nell’Atlantico settentrionale subpolare, suggerendo che il calore in queste zone venga trasportato altrove prima di poter penetrare in profondità.

L’heave dinamico, al contrario, mostra pattern più localizzati e variabili, legati a cambiamenti nei venti e nelle dinamiche oceaniche come i vortici (eddies) e le onde interne. Ad esempio, nell’Oceano Australe vediamo un riscaldamento legato all’approfondimento delle isopicnali vicino alla Corrente Circumpolare Antartica, bilanciato da un raffreddamento più a sud. Nell’Atlantico settentrionale, vediamo un pattern a “tripolo” (raffreddamento subpolare, riscaldamento vicino alla Corrente del Golfo, raffreddamento tropicale) che ricorda le fasi dell’Oscillazione Nord Atlantica (NAO).

Mappa del mondo fotorealistica che mostra le tendenze della temperatura oceanica superficiale (0-700m). Colori caldi (rosso/arancione) indicano riscaldamento da 'Heave Passivo' concentrato nei vortici subtropicali. Colori freddi (blu) e caldi alternati indicano la ridistribuzione da 'Heave Dinamico'. Obiettivo grandangolare 24mm, alta definizione, resa tipo satellite.

E i modelli climatici cosa dicono?

Confrontare le osservazioni con i modelli climatici (abbiamo usato GFDL-CM4 e NCAR-CESM2 dal progetto CMIP6) è fondamentale. I modelli riescono a riprodurre abbastanza bene le caratteristiche principali dell’heave passivo: il riscaldamento concentrato nei vortici subtropicali e nel Pacifico equatoriale occidentale, e il minor riscaldamento alle alte latitudini. Tuttavia, entrambi i modelli sembrano sovrastimare un po’ l’intensità di questo riscaldamento rispetto alle osservazioni. Quando simuliamo scenari futuri con alte emissioni (come SSP5-8.5), l’heave passivo diventa ancora più dominante, confermando il suo ruolo come segnale chiave del riscaldamento forzato dai gas serra.

Per quanto riguarda lo spice, i modelli replicano la distribuzione media delle masse d’acqua, ma faticano a catturare le tendenze osservate negli ultimi decenni, specialmente fuori dall’Atlantico. Questo può contribuire a incertezze nelle simulazioni regionali, ma essendo lo spice “passivo” per la dinamica, il suo impatto diretto sulla circolazione è limitato.

La sfida più grande per i modelli è l’heave dinamico. C’è un accordo parziale con le osservazioni (ad esempio, entrambi i modelli catturano il riscaldamento da heave dinamico nell’Oceano Australe), ma ci sono anche molte discrepanze. Questo non sorprende: l’heave dinamico è legato alla variabilità interna caotica dell’oceano, ai vortici su mesoscala (che i modelli a risoluzione più bassa faticano a rappresentare esplicitamente) e alle incertezze nelle forzanti esterne. Le differenze tra i modelli in questa componente sono notevoli.

Il legame con l’innalzamento del livello del mare

Questa scomposizione ha implicazioni enormi per capire l’innalzamento del livello del mare.

  • L’heave passivo, rappresentando l’aggiunta netta di calore che fa espandere l’acqua (soprattutto gli strati più leggeri), è direttamente collegato all’innalzamento termosterico globale medio del livello del mare. È il contributo “antropogenico” all’aumento del volume oceanico.
  • L’heave dinamico, invece, rappresenta la riorganizzazione della massa e del volume oceanico dovuta alla dinamica interna (venti, vortici, onde). Questo causa variazioni regionali del livello del mare (il cosiddetto “livello del mare dinamico” o DSL), ma non contribuisce all’innalzamento medio globale.

Abbiamo trovato una correlazione fortissima (R tra 0.70 e 0.81 nei modelli) tra le tendenze dell’heave dinamico e le tendenze del livello del mare dinamico regionale. Questo conferma che l’heave dinamico cattura proprio quegli aspetti dinamici del riscaldamento oceanico che modificano le pendenze della superficie marina e le correnti geostrofiche. Migliorare la simulazione e la comprensione dell’heave dinamico è quindi cruciale per proiezioni affidabili dell’innalzamento del livello del mare a livello regionale, che è ciò che conta per le coste.

Fotografia grandangolare di una città costiera con evidenti segni di innalzamento del livello del mare, come barriere anti-inondazione e banchine parzialmente sommerse. Acqua calma al tramonto, lunga esposizione, obiettivo 18mm, atmosfera leggermente drammatica.

Perché tutto questo è importante?

Questo nostro nuovo metodo, basato su solidi principi fisici (lo stato di riferimento di Lorenz), ci offre una visione molto più chiara di come l’oceano assorbe e ridistribuisce il calore in risposta alle nostre emissioni. Ci permette di:

  • Isolare l’impronta digitale del riscaldamento antropogenico (heave passivo).
  • Quantificare la ridistribuzione interna del calore (heave dinamico e spice).
  • Collegare questi processi all’innalzamento del livello del mare globale e regionale.

Anche se storicamente, su scala regionale, gli effetti della ridistribuzione (heave dinamico) sono stati molto importanti, ci aspettiamo che il segnale dell’heave passivo diventi sempre più dominante man mano che il riscaldamento globale accelera. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare il ruolo cruciale dell’heave dinamico nel determinare gli impatti climatici localizzati.

Capire a fondo questi meccanismi è fondamentale se vogliamo migliorare le nostre previsioni climatiche future e prepararci agli impatti del cambiamento climatico, sia su scala globale che, soprattutto, regionale. È un passo avanti importante per decifrare la complessa risposta del nostro pianeta blu.

Fonte: Springer

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