Due mani, una che rappresenta il sistema sanitario pubblico (con un guanto semplice e usurato) e l'altra il sistema privato (con un guanto chirurgico nuovo e di alta qualità), che cercano di afferrare una protesi d'anca stilizzata posta al centro su un tavolo operatorio. Sfondo neutro con un leggero effetto duotone blu e grigio per un'aria seria. Obiettivo prime da 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco le mani e la protesi, illuminazione drammatica laterale.

Chirurgia Ortopedica: Un Lusso per Pochi o un Diritto per Tutti? La Situazione in Cile Fa Riflettere

Amici, parliamoci chiaro. Quando si tratta della nostra salute, specialmente quando c’è di mezzo un intervento chirurgico, tutti vorremmo avere accesso alle cure migliori e nel minor tempo possibile, non è vero? Ecco, mi sono imbattuto in uno studio che arriva dritto dal Cile e che, vi assicuro, mi ha fatto parecchio riflettere sulla questione dell’accesso alla chirurgia ortopedica. Il titolo originale, “Disparity in access to orthopedic surgery between public and private healthcare insurance: a nationwide population-based study”, già la dice lunga, ma andiamo a vedere cosa hanno scoperto.

In pratica, questi ricercatori si sono chiesti: ma in un Paese con un sistema sanitario “doppio” – cioè sia pubblico che privato – c’è differenza nell’accesso agli interventi ortopedici a seconda di che tipo di assicurazione hai? E questa differenza, se c’è, si nota di più per gli interventi programmati (quelli che in gergo chiamano “elettivi”) rispetto a quelli urgenti? La loro ipotesi, nemmeno a dirlo, era che sì, una bella differenza ci sarebbe stata, soprattutto per le operazioni non urgenti. E indovinate un po’? Ci avevano visto giusto.

Ma com’è la situazione in Cile, vi chiederete?

Prima di tuffarci nei numeri, capiamo un attimo il contesto. Il Cile è un paese sviluppato, ma con una particolarità: ha uno dei livelli più alti di disuguaglianza di reddito tra i paesi dell’OCSE. E questo, come potete immaginare, si riflette anche sulla sanità. C’è un sistema pubblico, finanziato con le tasse (circa il 7% del reddito di lavoratori e pensionati), che copre la maggioranza della popolazione (circa il 75% nel 2018), inclusi disoccupati e indigenti. Poi c’è il sistema privato: i cittadini possono scegliere di versare quel 7% (o anche di più) a compagnie assicurative private. Il “bello” è che nel privato i co-pagamenti possono variare tantissimo, andando a pesare di più sulle tasche di chi ha meno e su chi ha più bisogno di cure. Risultato? Chi ha l’assicurazione privata, tende ad accedere più facilmente a visite specialistiche e ha meno probabilità di finire sul lastrico per spese mediche impreviste.

Insomma, un quadro che già fa intuire come il portafoglio possa fare la differenza. E questo studio ha voluto mettere i puntini sulle “i” proprio nel campo dell’ortopedia.

Come hanno fatto a scoprirlo? Un’indagine da detective!

I ricercatori hanno analizzato i dati del 2018 (l’ultimo anno “tranquillo” prima di disordini sociali e pandemia) provenienti dal Registro Nazionale delle Dimissioni Ospedaliere del Ministero della Salute cileno. Hanno spulciato ben 1.041 diagnosi ICD-10 (il sistema internazionale di classificazione delle malattie) relative a problemi muscoloscheletrici, facendosi aiutare da chirurghi ortopedici per capire quali fossero. Poi, hanno diviso gli interventi in due categorie principali:

  • Urgente: tipo fratture, infezioni acute… insomma, quelle cose che non possono aspettare.
  • Elettiva: come l’artrosi, che magari ti fa soffrire, ma l’intervento si può programmare.

Hanno calcolato i tassi di chirurgia ortopedica ogni 1.000 abitanti, sia a livello nazionale che separatamente per il sistema pubblico e privato, tenendo conto anche di età e sesso. L’approvazione etica c’era, e i dati erano anonimi e pubblici, quindi nessun problema di privacy.

I Risultati: Preparatevi, perché c’è da rimanere a bocca aperta

Nel 2018, in Cile, il tasso generale di interventi di chirurgia ortopedica è stato di 7,54 ogni 1.000 abitanti. Ma ecco il punto cruciale: chi era coperto da un’assicurazione privata ha avuto un tasso di interventi ben 2,23 volte superiore rispetto a chi era nel sistema pubblico (12,88 contro 5,77 per 1.000 abitanti). Una differenza enorme, e statisticamente super significativa!

Ma non finisce qui. Quando si vanno a vedere gli interventi elettivi, quelli programmati, il divario si allarga ancora di più: il tasso nel privato è stato addirittura 2,97 volte più alto rispetto al pubblico. Per gli interventi urgenti, la differenza c’è ancora, ma è meno marcata: “solo” 1,46 volte in più nel privato.

Questo, amici miei, ci dice una cosa molto chiara: se hai un problema ortopedico che può aspettare, ma hai un’assicurazione pubblica, rischi di aspettare molto, molto di più, o forse di non arrivarci proprio all’intervento, rispetto a chi ha una polizza privata. È come se ci fossero due corsie preferenziali, e una va decisamente più spedita dell’altra.

Un'immagine che simboleggia la disparità: due corsie autostradali, una scorrevole e ben tenuta (privato) e una congestionata e dissestata (pubblico), entrambe dirette verso un ospedale stilizzato all'orizzonte. Obiettivo grandangolare 18mm per enfatizzare la differenza di prospettiva, luce del tardo pomeriggio per creare ombre lunghe e un'atmosfera di riflessione.

Analizzando i dati più a fondo, è emerso anche che gli anziani (over 65) hanno tassi di chirurgia significativamente più alti rispetto ai più giovani (0-19 anni), cosa che in parte ci si aspetta, vista la maggior incidenza di problemi come artrosi o fratture dell’anca con l’avanzare dell’età. Per quanto riguarda il sesso, inizialmente sembrava che gli uomini avessero tassi leggermente superiori, ma dopo aver aggiustato i dati per altri fattori (come tipo di assicurazione e tipo di intervento), questa differenza non è risultata statisticamente significativa a livello generale. Certo, poi per patologie specifiche le cose cambiano: gli uomini magari si operano di più per traumi alla spalla, le donne per fratture d’anca o protesi articolari, ma nel complesso, lo studio non ha trovato un “gender gap” generale nell’accesso.

Cosa ci dicono questi numeri, in soldoni?

Beh, la prima cosa che salta all’occhio è che c’è un enorme carico di interventi ortopedici “non soddisfatto” nella popolazione che si affida al sistema pubblico, che, ricordiamolo, è il 75% dei cileni! È come se una marea di persone con problemi ortopedici elettivi rimanesse in attesa, o non ricevesse proprio le cure chirurgiche di cui avrebbe bisogno. E anche se lo studio non analizzava direttamente i fattori socioeconomici, è facile intuire che chi può permettersi un’assicurazione privata ha generalmente un reddito più alto. Quindi, sì, lo status socioeconomico sembra giocare un ruolo bello grosso nell’accesso alle sale operatorie.

Le cause di questa disparità, soprattutto per gli interventi elettivi? Probabilmente un mix di fattori:

  • Accesso limitato alle cure primarie nel sistema pubblico.
  • Ritardi nell’essere visitati da uno specialista ortopedico.
  • Lunghe, lunghissime liste d’attesa per gli interventi.

In un sistema con risorse limitate e una forte pressione per risolvere i casi urgenti, è chiaro che le condizioni “elettive” finiscono per essere messe in secondo piano. D’altro canto, l’elevato tasso di interventi elettivi nel privato merita una riflessione: non è da escludere che gli incentivi finanziari possano, in qualche modo, influenzare le decisioni chirurgiche.

E l’età e il sesso, contano?

Come accennavo, il gruppo con i tassi più bassi di chirurgia ortopedica è quello dei giovanissimi (0-19 anni), seguito dalla fascia 20-44 anni. Gli anziani, invece, registrano tassi molto più elevati. Questo è in linea con la letteratura scientifica e si spiega con la transizione demografica: la popolazione anziana aumenta e, con essa, le patologie che richiedono più frequentemente un intervento (pensate alle fratture d’anca o all’artrosi). Uno studio canadese, per esempio, ha mostrato che le visite ambulatoriali chirurgiche erano meno frequenti sotto i 25 anni rispetto agli anziani.

Riguardo al sesso, come detto, l’analisi multivariata non ha trovato differenze significative nel tasso generale di chirurgia ortopedica. Questo potrebbe dipendere dal fatto che lo studio ha incluso tutte le diagnosi ortopediche senza analizzare patologie specifiche dove, invece, le differenze di genere sono note.

Un paziente anziano sorridente mentre fa riabilitazione con un fisioterapista dopo un intervento ortopedico. La scena trasmette speranza e il successo della cura. Obiettivo prime da 50mm per un ritratto naturale, luce calda e accogliente, profondità di campo per sfocare leggermente lo sfondo.

Ogni studio ha i suoi pro e i suoi contro, giusto?

Il punto di forza principale di questa ricerca è che si tratta di uno studio di popolazione, il primo a valutare l’accesso alla chirurgia ortopedica per un intero paese con un sistema sanitario duale. Questo lo rende potenzialmente estrapolabile ad altre nazioni con sistemi simili. Tra le limitazioni, c’è la possibilità di un “information bias”: i dati provengono da registri compilati da persone diverse, quindi qualche errore nella codifica delle diagnosi o delle procedure potrebbe esserci. Inoltre, la selezione delle diagnosi muscoloscheletriche e la loro classificazione in “elettive” o “urgenti” è stata, per forza di cose, un po’ arbitraria, non essendoci uno standard universalmente riconosciuto in letteratura. Statistiche più precise si potrebbero ottenere usando i codici delle procedure chirurgiche, ma questi dati non erano disponibili in modo standardizzato.

Quindi, cosa ci portiamo a casa da tutto questo?

Lo studio conferma senza ombra di dubbio che in Cile esiste una forte disparità nell’accesso alla chirurgia ortopedica a seconda del tipo di assicurazione sanitaria. E questa disparità si fa sentire ancora di più quando si parla di interventi programmabili. È una realtà che fa riflettere, perché la salute dovrebbe essere un diritto, non un privilegio legato al tipo di assicurazione che ci si può permettere.

Cosa fare? Sicuramente servono ulteriori indagini per capire meglio l’impatto di altri fattori come l’accesso ai medici di base, i tempi di attesa per le visite specialistiche e per gli interventi, e il numero di indicazioni chirurgiche. Ma una cosa è certa: questi risultati sono un campanello d’allarme importante, non solo per il Cile, ma per tutti i paesi che si trovano a gestire sistemi sanitari complessi e, a volte, iniqui.

La domanda che mi pongo, e che vi pongo, è: siamo sicuri che nei nostri sistemi, apparentemente più universalistici, non si nascondano disparità simili, magari più subdole ma altrettanto problematiche? Una riflessione che, credo, valga la pena fare.

Fonte: Springer

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