Immagine simbolica che mostra mani che digitano su una tastiera al buio, con uno schermo che proietta grafici distorti e titoli allarmistici su immigrazione e criminalità. Obiettivo 50mm, profondità di campo, illuminazione contrastata stile film noir.

Migranti e Crimine in Spagna: La Disinformazione Corre sui Social (E il Panico Morale Cambia Faccia)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema scottante, uno di quelli che accende gli animi e riempie le bacheche dei social: il legame, spesso presunto e gonfiato, tra migrazione e criminalità. Nello specifico, ci tufferemo in uno studio interessante che arriva dalla Spagna e che analizza come la disinformazione su questo argomento si diffonda nell’ecosistema digitale di oggi. La domanda che ci poniamo è: i social network hanno cambiato il modo in cui nasce e si alimenta il “panico morale” legato a questi temi?

Partiamo da un presupposto: i social network hanno rivoluzionato il nostro modo di comunicare e informarci. Hanno ridisegnato l’interazione tra media e pubblico, e questo potrebbe influenzare profondamente la nostra percezione dei fenomeni sociali, inclusi crimine e giustizia. Già i media tradizionali avevano un bel potere nel plasmare l’opinione pubblica, no? Pensate a come certe notizie venivano enfatizzate, creando allarme e influenzando persino le politiche di sicurezza. Ma ora, con i social, siamo entrati in una nuova era.

L’era digitale ha cambiato le regole del gioco?

All’inizio c’era un grande ottimismo: il digitale sembrava poter migliorare la “sfera pubblica”, democratizzare la comunicazione, dare più voce ai cittadini. Ricordo quel periodo, sembrava una promessa incredibile! Poi, però, sono arrivati i primi dubbi, trasformati presto in scetticismo e, per alcuni, persino pessimismo. Ci siamo resi conto che la natura stessa dei social – fatta di immagini veloci, video brevi, testi corti – rende difficile affrontare discorsi complessi. Il risultato? Dibattiti spesso superficiali, carichi di emotività, iperbolici, dove tutto viene semplificato all’estremo.

E poi c’è la polarizzazione affettiva. Sembra che l’architettura stessa dei social, con algoritmi che ci mostrano contenuti pensati per massimizzare le interazioni (like, condivisioni, commenti), finisca per esasperare le divisioni. Si è parlato molto di “echo chambers”, bolle in cui sentiamo solo voci simili alla nostra. Anche se ricerche più recenti suggeriscono che forse non siamo così isolati, ma anzi, queste “bolle” tendono a scontrarsi, rafforzando ancora di più le proprie convinzioni. Un bel paradosso, vero?

In questo calderone, la disinformazione sguazza che è un piacere. Negli ultimi dieci anni, la preoccupazione per la circolazione di notizie false sui social è cresciuta a dismisura. Parliamo sia di misinformation (informazioni false diffuse senza l’intenzione di nuocere) sia di disinformation (informazioni false create e diffuse apposta per trarre profitto o causare danno pubblico). I social facilitano la diffusione di qualsiasi contenuto, vero o falso che sia, e c’è chi ne approfitta per motivi economici (generare traffico web monetizzabile) o sociali/politici (influenzare l’opinione pubblica, screditare avversari).

Primo piano di uno smartphone che mostra un feed di social media pieno di notizie contrastanti e commenti emotivi, illuminando debolmente un volto preoccupato nell'oscurità. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta, illuminazione drammatica.

Questo ambiente digitale, che premia contenuti semplici ed emotivi, sembra il terreno ideale per diffondere allarmi e “panico morale” su certi gruppi, collegandoli magari alla criminalità. La polarizzazione affettiva, poi, non fa che peggiorare le cose, rendendo più facile far circolare bufale.

Il Panico Morale: Un Vecchio Concetto per Nuovi Problemi

Il concetto di “panico morale” non è nuovo, anzi. Viene dagli anni ’70 (grazie a studiosi come Stanley Cohen e Jock Young) e descrive quei processi in cui i media definiscono una condizione, un episodio, una persona o un gruppo come una minaccia ai valori e agli interessi della società. Pensateci: quante volte abbiamo visto i media (e ora i social) gonfiare un problema, creare indignazione, magari puntando il dito contro un gruppo specifico?

Tradizionalmente, il panico morale si basa su alcuni elementi chiave:

  • Un nemico adatto: il “diverso”, lo “straniero”, il “cattivo” che ci ricorda visibilmente ciò che non dovremmo essere. I migranti, ahimè, sono stati spesso trasformati in questi “folk devils”, accusati di tutto: disoccupazione, conflitti culturali, criminalità, terrorismo.
  • Una vittima adatta: spesso la società stessa, presentata come minacciata da questo nemico.
  • La convinzione che un incidente sia solo la “punta dell’iceberg” e che “bisogna fare qualcosa”, spesso invocando misure punitive o la criminalizzazione.

Un esempio classico citato nello studio è il panico scatenato in Germania nel 2016 dopo le aggressioni sessuali di Capodanno a Colonia, attribuite in gran parte ai migranti. Ma il legame tra criminalità e migrazione è un tema ricorrente, un ingrediente quasi “perfetto” per costruire panico morale.

C’è però un aspetto cruciale: tradizionalmente, il panico morale aveva bisogno di un evento scatenante, un “fatto”, magari piccolo, che i media potevano poi gonfiare e distorcere. C’era una sorta di dipendenza temporale da un evento reale. Ma oggi, nell’era digitale, è ancora così? La logica dei social – velocità, viralità, coinvolgimento – potrebbe aver cambiato le carte in tavola. Forse il panico è diventato più diffuso, amorfo, meno legato a eventi specifici e più alimentato da una miriade di “imprenditori morali” digitali che non dipendono più dai media tradizionali.

Alcuni studiosi parlano di “Panico Morale Polarizzante”: un nuovo tipo di panico che nasce dallo scontro tra comunità morali contrapposte, alimentato da informazioni false o distorte, senza bisogno di un evento reale. Il conflitto stesso diventa il motore.

Cosa dicono i dati? L’analisi delle bufale in Spagna

Per capirci qualcosa di più, lo studio spagnolo ha fatto una cosa molto concreta: ha analizzato il database di bufale (hoaxes) raccolte da Maldita.es, una nota agenzia di fact-checking spagnola, concentrandosi su quelle relative alla migrazione negli anni 2021 e 2022. Hanno esaminato quasi 32.000 segnalazioni di bufale, che però corrispondevano a “solo” 81 bufale distinte. Impressionante, no? Poche bugie, ma ripetute all’infinito!

Si sono posti due domande principali (o ipotesi, se vogliamo essere più tecnici):

  1. La diffusione di queste bufale segue uno schema temporale legato a eventi esterni reali (come crisi migratorie, notizie specifiche)? O è più casuale e indipendente? (Ipotesi 1)
  2. Il tema del crimine è ancora centrale nel contenuto di queste bufale, come suggerirebbe la teoria classica del panico morale? (Ipotesi 2)

Per rispondere, hanno fatto due tipi di analisi: una sulle serie temporali (per vedere come le bufale si distribuivano nel tempo) e una sul contenuto (per capire di cosa parlavano).

Grafico astratto di una time series con picchi irregolari che rappresentano ondate di disinformazione, sovrapposto a uno sfondo digitale sfocato. Macro lens 100mm, high detail, controlled lighting focalizzato sulle linee del grafico.

Onde Anomale di Disinformazione

E qui arriva la prima sorpresa. Analizzando quando venivano segnalate le bufale, è emerso che la disinformazione sulla migrazione non segue un andamento regolare o stagionale. Non c’è un trend chiaro di crescita o decrescita. Invece, si manifesta in “onde” irregolari: periodi di qualche settimana in cui il volume di bufale circolanti aumenta significativamente, per poi calare di nuovo.

Hanno identificato sei di queste “onde” nei due anni analizzati. La cosa interessante è che queste ondate non sembrano corrispondere direttamente a eventi specifici riportati dai media tradizionali (hanno confrontato i dati con le notizie sulla migrazione pubblicate da un grande quotidiano spagnolo, El Mundo). Certo, a volte c’è una debole coincidenza (ad esempio, un picco di bufale durante la crisi migratoria di Ceuta e Melilla), ma spesso le ondate di disinformazione sembrano vivere di vita propria.

Inoltre, queste ondate non sono causate dalla viralità eccezionale di una singola bufala, ma da una combinazione di diverse bufale che circolano contemporaneamente. E le stesse bufale tendono a riapparire a intermittenza nel tempo, con intensità variabile. Sembra quasi che ci sia un “repertorio” di bufale pronto a essere rimesso in circolo.

Quindi, l’Ipotesi 1 va parzialmente respinta. Un certo pattern (le onde) c’è, ma è irregolare e, soprattutto, non sembra legato a eventi esterni reali come pensavamo. Questo è fondamentale: suggerisce che oggi, per scatenare (o tentare di scatenare) un panico morale, non serve più un “fatto” reale come pretesto. Basta la circolazione e ri-circolazione continua delle stesse narrazioni false, che magari a un certo punto diventano virali.

Crimine Sì, Ma Non Solo: La Politica Entra in Scena

E il contenuto? Il crimine è ancora il protagonista? Analizzando le 81 bufale distinte, la categoria più numerosa era effettivamente l’attribuzione di crimini ai migranti (quasi la metà delle bufale, soprattutto crimini violenti e sessuali). Quindi, sì, il crimine è ancora un tema forte, usato per dipingere i migranti come “folk devils”.

MA… c’è un ma grande come una casa. Se guardiamo non solo quali tipi di bufale esistono, ma quali sono state segnalate più spesso (quindi, quali hanno avuto più diffusione e impatto), la storia cambia. La categoria più prevalente in termini di segnalazioni totali è stata l’attribuzione di falso supporto. Cosa significa? Bufale che attribuivano falsamente a partiti politici (soprattutto di sinistra), a loro rappresentanti o a giornalisti, dichiarazioni, decisioni o posizioni a favore dell’immigrazione, spesso in modo provocatorio o assurdo.

Ad esempio, la bufala più segnalata in assoluto era un finto tweet attribuito a un partito politico che chiedeva scusa ai musulmani per le processioni della Settimana Santa. Un’altra molto diffusa era un’immagine manipolata di uno striscione di benvenuto agli ucraini modificato per aggiungere “Andalusi ed Estremaduregni fuori”. Altre attribuivano a politici o giornalisti frasi shockanti che giustificavano presunti crimini dei migranti o chiedevano trattamenti di favore per loro.

Due gruppi stilizzati di persone che si fronteggiano aggressivamente, separati da uno schermo digitale luminoso che mostra simboli di 'mi piace' e 'non mi piace'. Wide-angle 24mm, forte contrasto, duotone rosso e blu.

Anche analizzando i “tropi” (temi ricorrenti) presenti nelle bufale, emerge qualcosa di simile. Il tropo più comune in assoluto (presente nell’80% delle segnalazioni) è quello del presunto privilegio dei migranti (riceverebbero aiuti speciali, trattamenti di favore, ecc.). Il crimine è il secondo tropo più comune.

Quindi, anche l’Ipotesi 2 va rivista. Il crimine c’è, ma sembra giocare un ruolo quasi secondario rispetto a un altro obiettivo: usare la disinformazione sulla migrazione come arma nello scontro politico. L’obiettivo principale di molte delle bufale più virali non sembra tanto (o non solo) creare paura verso i migranti, quanto piuttosto generare condanna morale verso gli avversari politici, accusandoli di essere “complici” o “tolleranti” verso la presunta minaccia.

Sembra quasi che il panico morale contemporaneo sia meno focalizzato su “cosa fa l’altro (il migrante)” e più su “cosa sostiene (falsamente) il mio avversario politico”. La disinformazione diventa uno strumento per alimentare la polarizzazione e la guerra culturale.

Conclusioni: Cosa ci insegna tutto questo?

Tirando le somme, questo studio sulla Spagna ci offre spunti davvero importanti, che probabilmente valgono anche altrove.

  • La disinformazione sulla migrazione sui social è fatta di poche narrazioni ripetute all’infinito, che circolano in onde irregolari non necessariamente legate a eventi reali.
  • Il classico “evento scatenante” del panico morale sembra meno necessario nell’era digitale; basta la ripetizione e la viralità di contenuti falsi.
  • Il tema del crimine è ancora usato per stigmatizzare i migranti, ma nelle bufale più diffuse sembra essere strumentale a un altro scopo: l’attacco politico. Si screditano avversari attribuendo loro posizioni pro-migrazione false o esagerate.
  • Il panico morale oggi sembra intrinsecamente legato alla polarizzazione politica. Non si attacca solo il “nemico” esterno, ma anche chi, all’interno della propria società, è percepito come suo “alleato” o “difensore”.

Insomma, il vecchio concetto di panico morale è ancora utile per capire cosa succede, ma dobbiamo adattarlo alla realtà digitale. I social network non hanno solo amplificato il problema della disinformazione, ma ne hanno forse cambiato la natura stessa, intrecciandola profondamente con le dinamiche dello scontro politico e della polarizzazione. E questo, lasciatemelo dire, è uno scenario che dovrebbe farci riflettere parecchio su come navighiamo l’informazione e partecipiamo al dibattito pubblico oggi.

Fonte: Springer

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