La Tua Tiroide Parla: Un Segnale Inatteso sull’Efficacia dell’Immunoterapia nel Cancro al Polmone?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante che sta emergendo nel campo dell’oncologia, in particolare nel trattamento del cancro al polmone avanzato. Sapete, questa malattia è ancora un osso duro, la principale causa di morte per cancro nel mondo. Spesso viene diagnosticata tardi, quando la chirurgia non è più un’opzione, e le terapie tradizionali come la chemio, purtroppo, non sempre riescono a fare miracoli sulla sopravvivenza a lungo termine.
L’Alba dell’Immunoterapia e i Suoi “Effetti Collaterali”
Ma poi è arrivata l’immunoterapia, una vera rivoluzione! Gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI), come quelli che bloccano le proteine PD-1 o PD-L1, hanno cambiato le carte in tavola. Questi farmaci, usati da soli o in combinazione con la chemio, hanno dimostrato di poter allungare significativamente la sopravvivenza libera da progressione (PFS) nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) e sono diventati uno standard anche per quello a piccole cellule (SCLC) in stadio esteso. Fantastico, vero?
Però, come spesso accade in medicina, non è tutto oro quello che luccica. Questi trattamenti potentissimi possono risvegliare il nostro sistema immunitario non solo contro il tumore, ma a volte anche contro i nostri stessi tessuti sani. Si chiamano eventi avversi immuno-correlati (irAEs) e possono colpire vari organi: pelle, intestino, polmoni, reni, e anche le nostre ghiandole endocrine. Tra queste, la tiroide sembra essere un bersaglio piuttosto comune.
La Tiroide Sotto i Riflettori: Un Problema o un Indizio?
La disfunzione tiroidea (TD) è uno degli irAEs più frequenti, comparendo in circa un quinto dei pazienti trattati con inibitori PD-1/PD-L1 secondo alcuni studi, ma addirittura fino al 40-50% secondo dati “real-world”. Si manifesta spesso come ipotiroidismo (la tiroide lavora poco) o ipertiroidismo (lavora troppo), anche in forme subcliniche (solo le analisi del sangue sono alterate, senza sintomi evidenti).
E qui arriva la parte intrigante. Alcune ricerche hanno iniziato a suggerire che la comparsa di TD durante la terapia con ICI potrebbe non essere solo un effetto collaterale fastidioso, ma addirittura un segnale positivo! Potrebbe indicare che il sistema immunitario si è attivato efficacemente, migliorando la risposta al trattamento. Questa correlazione è stata vista in altri tumori (rene, testa-collo, urotelio), ma nel cancro al polmone i dati erano contrastanti o provenienti da studi con potenziali fattori confondenti (pazienti non in prima linea, preesistenti malattie tiroidee non escluse).
Il Nostro Studio: Mettere Ordine tra gli Indizi
Ecco perché abbiamo deciso di vederci più chiaro con uno studio retrospettivo, analizzando i dati di 120 pazienti con cancro al polmone avanzato trattati tra gennaio 2019 e agosto 2024. Metà di loro (60) ha ricevuto inibitori PD-1/PD-L1 (spesso con chemio), l’altra metà (60) no. Cruciale: abbiamo incluso solo pazienti alla loro prima terapia antitumorale e senza problemi tiroidei preesistenti, monitorando la funzione tiroidea ad ogni ciclo. Volevamo capire due cose:
- C’è davvero un legame tra lo sviluppo di TD e l’efficacia degli inibitori PD-1/PD-L1 nel cancro al polmone?
- Ci sono fattori che possono predire chi svilupperà TD?

Risultati Sorprendenti: La Tiroide Come Bussola?
Ebbene sì, i risultati sono stati piuttosto netti. Innanzitutto, la TD era molto più comune nel gruppo trattato con inibitori PD-1/PD-L1 (48.3%) rispetto al gruppo di controllo (16.7%). La forma più frequente? L’ipotiroidismo subclinico. Fortunatamente, la maggior parte dei casi era di grado lieve (grado 1), e solo pochi pazienti hanno avuto bisogno di terapia sostitutiva con levotiroxina.
Ma ecco il dato più importante: nei pazienti che hanno sviluppato TD (in generale, considerando entrambi i gruppi), la sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è stata significativamente più lunga rispetto a chi non ha avuto TD (7.90 mesi vs 4.87 mesi). Il rischio di progressione della malattia era quasi dimezzato (HR: 0.499)!
Focalizzandoci sul gruppo trattato con inibitori PD-1/PD-L1, la tendenza si è confermata: chi sviluppava TD aveva una PFS mediana più lunga (8.83 mesi vs 6.50 mesi) e un rischio di progressione ridotto (HR: 0.541). Nel gruppo di controllo (senza inibitori), invece, non c’era differenza significativa nella PFS tra chi sviluppava TD e chi no. Questo suggerisce che il legame positivo tra TD e prognosi migliore è specifico per l’immunoterapia con inibitori PD-1/PD-L1.
Non solo la PFS, ma anche la risposta obiettiva al trattamento (ORR), cioè la percentuale di pazienti con riduzione significativa del tumore (risposta completa o parziale), era nettamente migliore nel gruppo TD (64.1% vs 33.3% in generale; 69% vs 38.7% nel gruppo con inibitori). Sembra proprio che “disturbare” la tiroide sia un segno che l’immunoterapia sta funzionando meglio!
Un Segnale Precoce nel Sangue? Il Ruolo del TSH
Siamo andati a cercare anche possibili “indovini” della TD. E ne abbiamo trovato uno potenzialmente molto utile: il livello basale dell’ormone TSH (l’ormone che stimola la tiroide). Anche se i valori erano nel range di normalità all’inizio dello studio per tutti, abbiamo notato che i pazienti che poi avrebbero sviluppato TD partivano con un livello di TSH significativamente più alto rispetto a quelli che non l’avrebbero sviluppata (mediana 2.33 vs 1.58 mIU/L in generale; 2.16 vs 1.52 mIU/L nel gruppo con inibitori).
Abbiamo calcolato una soglia: un TSH basale superiore a circa 1.77 mIU/L aumentava significativamente il rischio di sviluppare TD. Questo è un dato prezioso! Anche se il TSH è “normale”, un valore nella parte alta del range potrebbe essere un campanello d’allarme per i medici, suggerendo di monitorare più attentamente la funzione tiroidea in quei pazienti durante l’immunoterapia. Altri parametri infiammatori o nutrizionali (NLR, PLR, PNI) non sembravano invece predittivi per la TD in questo contesto.

Non Tutte le Disfunzioni Tiroidee Sono Uguali: Occhio alla Sindrome da Bassa T3
Abbiamo anche analizzato se il tipo di TD facesse differenza. In generale, non abbiamo trovato differenze significative nella PFS tra ipotiroidismo, ipertiroidismo (manifesti o subclinici). Ma c’era un’eccezione importante: la sindrome da bassa T3 (fT3 basso con TSH e fT4 normali). Questa condizione, che nel nostro studio è comparsa più precocemente delle altre (mediana 45 giorni), sembrava associata a una prognosi peggiore, con un rischio di progressione significativamente più alto rispetto agli altri tipi di TD e anche rispetto a chi non aveva TD. Questo è un punto cruciale: mentre la maggior parte delle TD indotte da ICI sembra un buon segno, la sindrome da bassa T3 potrebbe essere un indicatore negativo da non sottovalutare.
Durata e Tempistica della TD: Altri Indizi Interessanti
Infine, abbiamo osservato che nei pazienti che sviluppavano TD (nel gruppo con inibitori), una comparsa più tardiva della disfunzione e una sua maggiore durata erano associate a una PFS migliore. In pratica, più tardi si manifestava la TD e più a lungo persisteva (escludendo la bassa T3), minore era il rischio di progressione. Questo suggerisce che non solo la presenza, ma anche le dinamiche temporali della TD potrebbero avere un significato prognostico.
Perché Succede? Ipotesi sul Meccanismo
Ma perché mai l’attacco immunitario alla tiroide dovrebbe correlare con una migliore risposta antitumorale? Le ipotesi sono diverse e probabilmente interconnesse:
- Effetto “Bystander”: Le cellule T attivate dall’immunoterapia per combattere il tumore potrebbero, per “errore” o eccesso di zelo, attaccare anche la tiroide. Una risposta immunitaria più forte contro il cancro si tradurrebbe quindi in un maggior rischio di questo effetto collaterale.
- Autoanticorpi e Cross-Reattività: Potrebbero entrare in gioco autoanticorpi tiroidei, o forse esistono antigeni “condivisi” (cross-antigeni) tra il tessuto polmonare (tumorale) e quello tiroideo. Ad esempio, il fattore di trascrizione tiroideo 1 (TTF-1) è espresso in entrambi i tessuti. Attaccare uno potrebbe portare ad attaccare anche l’altro.
- Ruolo della Chemioterapia: Anche la chemio (spesso usata in combinazione) potrebbe avere un ruolo pro-infiammatorio che contribuisce.
Servono ulteriori ricerche per chiarire i meccanismi esatti, ma l’idea di un legame biologico tra la risposta immunitaria efficace e la TD è molto plausibile.
Cosa Portiamo a Casa?
Questo studio, pur con i limiti di un’analisi retrospettiva e di un campione non enorme, rafforza l’idea che lo sviluppo di disfunzione tiroidea durante il trattamento con inibitori PD-1/PD-L1 per il cancro al polmone avanzato sia, nella maggior parte dei casi, associato a una prognosi migliore (PFS più lunga, ORR più alta).
Il livello basale di TSH, anche se normale, potrebbe essere un fattore predittivo per lo sviluppo di TD, aiutando i medici a identificare i pazienti da monitorare più da vicino. È fondamentale, però, distinguere la sindrome da bassa T3, che sembra invece un segnale negativo.
Questi risultati aprono scenari interessanti per la personalizzazione delle cure. La TD potrebbe diventare un biomarcatore clinico per valutare l’efficacia dell’immunoterapia? È presto per dirlo con certezza, ma la strada è aperta. Monitorare attentamente la funzione tiroidea diventa ancora più importante, non solo per gestire l’effetto collaterale, ma forse anche per capire meglio come sta andando la terapia.
È un campo in continua evoluzione, e ogni nuovo tassello ci avvicina a comprendere meglio queste terapie innovative e a usarle nel modo più efficace per ogni singolo paziente. Continueremo a seguire gli sviluppi!
Fonte: Springer
