Immagine concettuale che rappresenta l'integrazione tra mente e spirito: una silhouette umana luminosa contiene sia ingranaggi stilizzati (simbolo della psicologia) che una nebulosa cosmica (simbolo della spiritualità/trascendenza), fusi armoniosamente. Stile fotografico realistico ma simbolico, obiettivo 50mm, colori caldi e freddi bilanciati, sfondo neutro.

Anima Inquieta: Quando il Disagio Chiama e la Psicologia Non Basta Più

Quante volte ci siamo sentiti un po’ persi, come se mancasse un pezzo del puzzle della nostra vita? Un’inquietudine sottile, un disagio che non sappiamo ben definire, che magari la frenesia quotidiana ci spinge a ignorare. Ma poi, torna. A volte è un sussurro, altre un grido. E allora, cosa facciamo? A chi ci rivolgiamo?

Mi sono imbattuto di recente in uno studio affascinante, condotto proprio qui in Italia, che ha cercato di esplorare questo territorio complesso, al confine tra il malessere psicologico e quello che potremmo chiamare “spirituale”. Perché, diciamocelo, a volte sentiamo che il problema non è solo nella testa, ma tocca corde più profonde, esistenziali. Lo studio si è chiesto: perché alcune persone, di fronte a questo tipo di sofferenza, bussano alla porta di figure spirituali – come un prete esorcista o una guida pastorale – anziché a quella di uno psicologo o di un medico?

La ricerca ha adottato un approccio che mi piace definire “completo”: bio-psico-sociale-spirituale. Perché siamo fatti di tante dimensioni, no? Non siamo solo corpo, non solo mente, non solo relazioni. C’è anche quella parte che cerca un senso, che si interroga sul “di più”, sulla trascendenza. Hanno intervistato 35 persone adulte che avevano cercato aiuto spirituale, usando sia questionari psicologici standardizzati sia interviste più aperte, per ascoltare davvero le loro storie.

Quel Bisogno Innato di Andare Oltre

Una delle prime cose emerse è qualcosa che un grande pensatore come Viktor Frankl sottolineava spesso: l’essere umano non è completo senza la sua dimensione spirituale. Abbiamo un bisogno fondamentale di trascendenza, di guardare oltre noi stessi, di connetterci a qualcosa di più grande. E non è solo filosofia: cercare e trovare questa trascendenza è legato a un maggior benessere psicologico, a più soddisfazione nella vita.

Strettamente collegato è il concetto di auto-trascendenza: la capacità di uscire dal proprio piccolo io per coltivare significato e scopo. Pensateci: quando ci dedichiamo a una causa, a una persona, a un ideale che sentiamo più grande di noi, spesso troviamo una forza inaspettata, una resilienza che ci aiuta ad affrontare le difficoltà. La ricerca conferma che l’auto-trascendenza aiuta a mitigare la sofferenza esistenziale.

Il problema è che, nonostante sia un bisogno fondamentale, questa ricerca di trascendenza spesso rimane insoddisfatta. E qui possono nascere disagi psicologici, spirituali, esistenziali. La trascendenza, poi, può avere sfumature diverse: per alcuni è più metafisica, per altri prettamente religiosa. La religione, con le sue credenze e i suoi riti, e la spiritualità, come ricerca più personale di significato, offrono entrambe delle strade per affrontare la sofferenza e le domande ultime sulla vita, sulla morte, sul sacro.

Quando il Disagio ha Radici Profonde: Trauma e Sofferenza Esistenziale

Lo studio ha fatto emergere un dato importante: spesso, dietro questo disagio profondo, ci sono storie di vita difficili. Esperienze infantili traumatiche, in particolare la trascuratezza emotiva (riportata dal 52% dei partecipanti!), l’abuso psicologico, fisico o sessuale, o crescere in ambienti familiari disfunzionali, lasciano segni indelebili.

Queste ferite precoci possono rendere più vulnerabili, più sensibili emotivamente, e portare a cercare spiegazioni o conforto al di fuori delle vie “convenzionali”. A volte, come meccanismo di difesa, si può sviluppare una maggiore propensione alla fantasia, un modo per riformulare la propria sofferenza attraverso narrazioni immaginative o spirituali. Questo, suggerisce lo studio, potrebbe rendere alcune persone più ricettive a credere in forze soprannaturali e a cercare aiuto da figure come gli esorcisti, specialmente se le spiegazioni psicologiche sembrano insufficienti o inaccessibili.

È interessante notare come, nei racconti dei partecipanti, il disagio venisse descritto in termini molto forti, quasi tangibili. Si parlava di sentirsi “oppressi”, “in trappola”, in una “situazione di grande angoscia esistenziale”. Parole che fanno capire la profondità della sofferenza vissuta.

Primo piano ritratto di una persona con sguardo pensieroso e sofferente, metà volto in ombra e metà illuminato da una luce fioca, stile film noir, obiettivo 35mm, bianco e nero con forte contrasto, profondità di campo ridotta per isolare il soggetto.

La Fede Come Ancora di Salvezza (e la Sorpresa dell’Ascolto)

Cosa hanno trovato queste persone rivolgendosi a figure spirituali? Beh, i dati quantitativi sono chiari: usare la religione e la trascendenza come strategie di coping (cioè, per far fronte ai problemi) era significativamente correlato a minori livelli di disagio psicologico. Sembra proprio che la fede possa agire come un fattore protettivo, un’ancora a cui aggrapparsi nella tempesta.

Inoltre, chi vedeva la morte non come annientamento totale, ma come una transizione, mostrava meno disagio psicologico e usava di più la religione come risorsa. Al contrario, chi aveva subito trascuratezza emotiva da bambino tendeva di più a usare strategie di evitamento.

Ma al di là dei numeri, le interviste hanno rivelato qualcosa di molto umano e toccante: il bisogno disperato di sentirsi capiti e accettati. Molti partecipanti hanno raccontato di aver sperimentato, a volte con sorpresa, un’accoglienza e una compassione incondizionate proprio da parte delle figure spirituali. Sentirsi ascoltati senza giudizio, sentirsi “finalmente liberi da un peso”, sentirsi amati nonostante gli errori commessi: queste esperienze sono state descritte come profondamente curative.

  • Percepivano un profondo disagio esistenziale.
  • Avevano alle spalle eventi traumatici o dolorosi.
  • Cercavano disperatamente comprensione e accettazione.
  • Utilizzavano la fede come fonte di resilienza.

Una partecipante ha raccontato di come sentirsi dire “vai, la penitenza non è stata abbastanza quella che hai avuto nella vita?” dopo una confessione difficile, l’abbia fatta sentire finalmente libera. Un’altra ha sottolineato quanto fosse consolante “sapere che nonostante tutti gli errori che posso fare, sono amata”. Questo bisogno di accoglienza è fondamentale, e forse a volte i sistemi di cura tradizionali faticano a offrirlo con la stessa intensità.

Due mani diverse che si stringono delicatamente: una più anziana e vissuta, l'altra più giovane. Lo sfondo è sfocato, suggerendo un ambiente intimo e di supporto. Luce calda e morbida, obiettivo 50mm prime, colori naturali.

Non Aut Aut, Ma Et Et: Integrare Psicologia e Spiritualità

Un aspetto cruciale emerso dallo studio è che la ricerca di aiuto spirituale non escludeva necessariamente quella psicologica. Anzi, quasi la metà dei partecipanti (48%) aveva consultato anche uno psicologo, e altri si erano rivolti a medici o psichiatri. Molti hanno riconosciuto l’importanza di “regolare sia il lato spirituale che quello mentale”, come ha detto un partecipante.

Questo ci dice una cosa fondamentale: le persone sentono che la loro sofferenza ha molte facce e cercano aiuto su più fronti. Chi ha integrato entrambi i tipi di supporto ha riportato maggiori benefici. Sembra quindi che la strada giusta non sia quella di contrapporre psicologia e spiritualità, ma di integrarle.

Lo studio sottolinea con forza la necessità di un approccio olistico alla cura, che tenga conto di tutte le dimensioni dell’essere umano: fisica, psicologica, sociale e spirituale. C’è bisogno di maggiore collaborazione tra professionisti della salute mentale e guide spirituali, di una formazione psicologica che includa la dimensione spirituale, per poter offrire un supporto davvero completo a chi soffre.

In fondo, riconoscere la legittimità del bisogno di trascendenza e del disagio spirituale non significa sminuire la psicologia o la medicina, ma arricchirle, rendendole più capaci di rispondere alla complessità dell’esperienza umana. Si tratta di ascoltare quel grido dell’anima, da qualunque parte provenga, e offrire una mano tesa che sappia accogliere la persona nella sua interezza.

Certo, lo studio ha i suoi limiti – un campione non enorme, la difficoltà nel reclutare partecipanti su temi così personali. Ma il messaggio è forte e chiaro: ignorare la dimensione spirituale nel percorso di cura significa perdere un pezzo importante del puzzle. E forse, proprio nell’integrazione tra ascolto psicologico e accoglienza spirituale, possiamo trovare nuove strade per il benessere.

Paesaggio ampio e sereno al tramonto, con montagne in lontananza e un sentiero che si snoda verso l'orizzonte. Luce calda e dorata, obiettivo grandangolare 18mm, cielo con nuvole soffuse da lunga esposizione, sensazione di pace e apertura.

Fonte: Springer

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