Falene Europee: Dimmi Cosa Mangi (da Bruco) e Ti Dirò Quanto Sei Grande!
Ciao a tutti, appassionati di natura e misteri alati! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo delle falene, in particolare nella variegata famiglia delle Erebidae europee. Avete mai pensato a cosa determina la dimensione di un animale? È una delle sue caratteristiche più distintive, un po’ come la sua carta d’identità biologica, e influenza tantissimo come vive, cosa mangia, dove si nasconde… insomma, la sua intera “nicchia ecologica”. Capire quali tratti della storia evolutiva di una specie sono legati alla sua taglia è una delle grandi domande dell’ecologia evoluzionistica.
Nel nostro caso, ci siamo concentrati sui Lepidotteri, il magnifico ordine che comprende farfalle e falene. Ci siamo chiesti: la dimensione di una falena adulta dipende da cosa mangiava da piccola, da quanto fosse “schizzinosa” nella scelta del cibo (specializzazione dietetica), da quante generazioni riesce a completare in un anno (voltinismo) o se preferisce svolazzare di giorno o di notte (attività diurna/notturna)?
Avevamo delle ipotesi iniziali, basate su studi precedenti. Pensavamo che le falene i cui bruchi si nutrono di piante legnose (alberi, arbusti) fossero tendenzialmente più grandi di quelle che preferiscono piante erbacee o fonti alternative come licheni, detriti, alghe. Immaginavamo anche che le specie più grandi fossero più “generaliste” nella dieta (mangiando un po’ di tutto), avessero un ciclo vitale univoltino (una sola generazione all’anno) e fossero attive principalmente di notte.
Perché proprio le Erebidae?
Abbiamo scelto la famiglia Erebidae perché è un vero caleidoscopio di diversità! Parliamo di oltre 24.500 specie nel mondo, con una variazione di dimensioni pazzesca. Pensate che si va da minuscole falene con meno di 10 mm di apertura alare (come la Micronoctua karsholti) fino alla falena con l’apertura alare più grande del pianeta, la Thysania agrippina, che supera i 30 cm! Non solo dimensioni: anche le loro abitudini sono incredibilmente varie. La maggior parte degli adulti è notturna, ma molte linee evolutive si sono adattate alla vita diurna. I bruchi? Alcuni sono super specializzati, mangiando solo un genere o una famiglia di piante (pensate a certe specie del genere Catocala). Altri, come molti Arctiini (le “falene tigre”), sono tra gli insetti erbivori più polifagi, capaci di nutrirsi di piante diversissime tra loro. E non finisce qui! Molti bruchi di Erebidae non mangiano foglie vive, ma si nutrono di alghe, licheni, funghi, materiale vegetale in decomposizione o addirittura predano altri insetti! Li chiamiamo “alternative feeders”. Anche il loro ciclo vitale varia enormemente: alcune specie completano più generazioni all’anno (multivoltine), altre sono strettamente univoltine, altre ancora impiegano più anni per svilupparsi. Insomma, un gruppo perfetto per mettere alla prova le nostre ipotesi!
Metodi all’avanguardia per svelare segreti evolutivi
Per testare le nostre idee, abbiamo raccolto dati su oltre 220 specie di Erebidae europee. Grazie alla crescente disponibilità di dati molecolari (come le sequenze “barcode” del DNA) e ai progressi nei metodi di analisi comparativa filogenetica, oggi possiamo fare qualcosa di straordinario: studiare le relazioni tra i tratti tenendo conto della storia evolutiva condivisa tra le specie. È un po’ come costruire l’albero genealogico delle falene e vedere come certi caratteri si sono evoluti lungo i rami. Questo ci permette non solo di vedere se due tratti sono associati (ad esempio, taglia grande e dieta legnosa), ma anche di ipotizzare quale tratto abbia influenzato l’altro nel corso dell’evoluzione. È la dimensione che ha determinato la dieta, o viceversa? O si sono influenzate a vicenda?

I risultati: conferme e sorprese!
Ebbene, cosa abbiamo scoperto analizzando tutti questi dati?
Dieta Larvale e Dimensioni: Legno vs Erba
La nostra prima ipotesi è stata confermata! Le specie i cui bruchi si nutrono di piante legnose sono risultate significativamente più grandi, in media, rispetto a quelle che mangiano piante erbacee o risorse alternative. Parliamo di un aumento medio del 42% rispetto ai mangiatori di erbe e addirittura del 74% rispetto agli “alternative feeders”! Sembra proprio che sgranocchiare legno (o meglio, foglie di alberi e arbusti) sia associato a una taglia maggiore. Ma perché? Ci sono due spiegazioni plausibili, e probabilmente entrambe contribuiscono.
- Qualità del cibo: Le piante legnose, specialmente con l’avanzare della stagione, tendono ad essere più coriacee, meno nutrienti e più ricche di difese chimiche rispetto alle erbe. Essere più grandi potrebbe aiutare i bruchi a processare meglio questo cibo di qualità inferiore, un principio noto come ‘Jarman-Bell principle’, osservato anche in altri animali.
- Disponibilità della risorsa: Le piante erbacee, anche se presenti per tutta la stagione, rappresentano spesso una biomassa limitata. Un bruco più piccolo ha bisogno di meno cibo, il che potrebbe essere un vantaggio se la tua pianta preferita non è poi così abbondante. Questo potrebbe valere anche per gli “alternative feeders” che si nutrono di licheni o alghe, risorse spesso limitate.
L’analisi evolutiva ha suggerito qualcosa di ancora più interessante: sembra che sia il tipo di risorsa a influenzare l’evoluzione della dimensione corporea. In altre parole, passare a nutrirsi di piante erbacee tende a favorire una riduzione della taglia, mentre l’associazione con piante legnose favorisce l’aumento delle dimensioni nel tempo evolutivo.
Voltinismo e Dimensioni: Una o Più Generazioni?
Anche qui, abbiamo trovato una conferma: le specie univoltine (una generazione all’anno) tendono ad essere più grandi delle specie bi-/multivoltine (due o più generazioni). In media, le univoltine sono circa il 36% più grandi. L’analisi causale ha rivelato un pattern affascinante: sembra che sia la dimensione corporea a determinare fortemente il voltinismo. Le specie più piccole hanno maggiori probabilità di evolvere verso un ciclo multivoltino, mentre le specie grandi tendono a rimanere o diventare univoltine. È come se essere piccoli desse una maggiore flessibilità per accelerare il ciclo vitale e produrre più generazioni quando le condizioni lo permettono. Essere grandi, invece, sembra “bloccare” le specie su un ciclo univoltino. Perché? Probabilmente è legato ai tempi di sviluppo e alla qualità del cibo. I bruchi su piante erbacee spesso crescono più velocemente (cibo più nutriente?) e molte erbe mantengono una qualità simile per più tempo, favorendo più generazioni. Le foglie degli alberi, invece, cambiano molto qualità durante la stagione, spingendo molte specie a sincronizzarsi strettamente con un periodo specifico (es. le foglie tenere primaverili), il che porta quasi inevitabilmente a un ciclo univoltino. Abbiamo anche scoperto che tipo di risorsa e voltinismo co-evolvono: i mangiatori di legno tendono fortemente ad essere univoltini, mentre i mangiatori di erbe sono più propensi al multivoltinismo.

Specializzazione Dietetica e Attività Diurna: Le Ipotesi Smentite
Qui arrivano le sorprese! Contrariamente a quanto osservato in altri gruppi di insetti e alle nostre aspettative iniziali, non abbiamo trovato nessuna relazione tra la dimensione corporea e la specializzazione dietetica (essere generalisti o specialisti) nelle Erebidae europee. Sembra che la “regola” secondo cui le specie più grandi sono più generaliste non sia così universale come pensavamo. Forse la relazione è più complessa e dipende da altri fattori che non abbiamo considerato.
Allo stesso modo, non abbiamo trovato nessun legame tra la dimensione corporea e l’attività diurna o notturna. In altri gruppi, come le falene geometridi, le specie diurne tendono ad essere più piccole, forse per sfuggire meglio ai predatori visivi come gli uccelli. Ma molte Erebidae diurne sono tutt’altro che indifese! Spesso sfoggiano colori vivaci (aposematismo) che segnalano la loro tossicità (accumulata dalle piante mangiate da bruchi) o hanno strategie di volo evasive. In questo caso, essere più grandi potrebbe addirittura essere un vantaggio per scoraggiare i predatori. Quindi, sembra che il passaggio all’attività diurna non abbia conseguenze universali sulla taglia, ma dipenda dalle strategie anti-predatorie specifiche di ogni gruppo.
Cosa Impariamo da Tutto Questo?
Questo studio sulle Erebidae europee ci racconta una storia affascinante sull’evoluzione della dimensione corporea. Ci dice che essere piccoli, spesso associato al nutrirsi di erbe o risorse alternative, porta con sé un vantaggio evolutivo non da poco: la capacità di completare più generazioni all’anno. Questo significa potersi adattare più rapidamente ai cambiamenti ambientali, come quelli climatici o le variazioni nella disponibilità delle risorse. Al contrario, le specie grandi, legate alle piante legnose e spesso “condannate” a un ciclo univoltino, potrebbero essere più vulnerabili di fronte a un mondo che cambia velocemente.
Certo, il nostro studio si è concentrato sull’Europa. Sarebbe fantastico vedere se questi pattern si confermano anche in altre parti del mondo. E c’è ancora tanto da scoprire, soprattutto per le specie meno conosciute del Sud e dell’Est Europa e per le falene più piccole. Questo sottolinea quanto sia importante continuare a documentare la biologia di base di queste creature affascinanti. Ogni piccolo dato sulla loro vita è un tassello prezioso per comporre il grande puzzle dell’evoluzione!
Spero che questo tuffo nel mondo delle Erebidae vi sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto raccontarvelo!
Fonte: Springer
