Bambino africano riceve una vaccinazione da un operatore sanitario in un contesto difficile, forse un villaggio remoto o un campo. Fotografia ritratto, obiettivo 50mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo, espressione del bambino tra timore e sollievo, luce naturale.

Difterite e Guerra in Africa: Un Legame Pericoloso che Non Possiamo Ignorare

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero colpito e su cui abbiamo lavorato intensamente: il ritorno di una malattia che pensavamo quasi sconfitta, la difterite, e il suo legame inquietante con i conflitti armati in Africa. Sembra roba da libri di storia, vero? Eppure, sta succedendo ora, sotto i nostri occhi.

Una Vecchia Nemica che Ritorna

Ricordate la difterite? È una brutta bestia, causata da un batterio (il Corynebacterium diphtheriae), che una volta era tra le principali cause di morte infantile. Poi sono arrivati i vaccini, come il famoso DTP (difterite-tetano-pertosse), e sembrava l’avessimo messa all’angolo. Negli anni ’70, l’OMS lanciò programmi di immunizzazione che ridussero drasticamente i casi. A metà degli anni 2010, eravamo arrivati a circa 5000 casi l’anno in tutto il mondo. Un successo, no?

Beh, non proprio. Negli ultimi anni, stiamo assistendo a una recrudescenza allarmante. E non è un fenomeno omogeneo, colpisce in modo diverso da zona a zona. La forma più grave è quella respiratoria, che può essere letale e va notificata obbligatoriamente all’OMS. Si trasmette con le goccioline di saliva o per contatto. Il vaccino (tre dosi, il DTP3) è efficace all’87% nel prevenire la malattia sintomatica, ma attenzione: non impedisce di essere portatori sani, perché agisce sulla tossina, non sul batterio.

Per curarla, servono antibiotici e, soprattutto, l’antitossina difterica (DAT). Il problema? Con il calo dei casi, la produzione di DAT è diminuita, le scorte sono poche e la capacità produttiva è minima. Questo significa che oggi è difficile avere scorte regionali pronte all’uso, e la tempestività è tutto: più tardi si somministra la DAT, meno è efficace. Ecco perché i tassi di mortalità nelle epidemie moderne variano tantissimo, dallo 0,6% fino a un terribile 69%, spesso in contesti con poche risorse, bassa copertura vaccinale e accesso limitato alla DAT. Abbiamo visto focolai recenti terribili: negli stati ex-sovietici negli anni ’90, tra i rifugiati Rohingya in Bangladesh e nello Yemen nel 2017, e più di recente in Africa occidentale, partita dalla Nigeria nel 2023.

L’Ombra della Guerra sulla Salute

Capire dove il rischio è maggiore è fondamentale per preparare scorte di DAT e interventi mirati. E qui entra in gioco un fattore che forse non ti aspetti: il conflitto. È stato ipotizzato che guerre e instabilità politica siano fattori di rischio comuni. Studi precedenti hanno notato che focolai recenti (Venezuela, Yemen, Rohingya) erano associati a popolazioni sfollate e al collasso delle infrastrutture. Addirittura, uno studio nello Yemen ha mostrato che il rischio di un focolaio di difterite in un distretto sanitario aumentava di 11 volte se c’era un conflitto in corso, e l’alta copertura vaccinale non bastava a proteggere in quel contesto.

La difterite è prevenibile con il vaccino, quindi il rischio è legato alla copertura vaccinale. Ma come interagisce il conflitto con tutto questo? Ci siamo posti due domande principali, seguendo il quadro strategico dell’OMS per le malattie prevenibili da vaccino:

  • Il conflitto riduce la copertura vaccinale danneggiando le infrastrutture sanitarie?
  • Il conflitto aumenta il rischio di focolai indipendentemente dalla vaccinazione, magari riducendo la sorveglianza, la capacità di risposta alle emergenze, o causando sovraffollamento e migrazioni?

Abbiamo visualizzato queste idee in un diagramma (Fig. 1 nello studio originale), che mostra queste due possibili “strade” attraverso cui il conflitto può alimentare la difterite. Ovviamente è una semplificazione, ci sono tanti altri fattori (disinformazione sui vaccini, attacchi diretti agli operatori sanitari…), ma ci dà un’idea.

Un medico in una clinica rurale africana esamina un bambino malato, luce soffusa, espressione preoccupata. Fotografia ritratto, obiettivo 35mm, profondità di campo, bianco e nero.

La Nostra Indagine: Dati alla Mano

Per capirci di più, abbiamo deciso di analizzare sistematicamente la relazione tra presenza di difterite, copertura vaccinale DTP3 e intensità dei conflitti armati nei paesi della regione africana dell’OMS, dal 2017 al 2024. Ci siamo concentrati sull’Africa proprio per i recenti focolai. E siccome le situazioni variano tantissimo anche all’interno dello stesso paese, abbiamo lavorato a livello subnazionale (le regioni amministrative di primo livello, ADM1). Questo ci permette di vedere meglio quei “cluster” di persone non vaccinate che sono cruciali per l’inizio di un’epidemia.

Abbiamo messo insieme dati da diverse fonti:

  • Casi di difterite: Dai bollettini settimanali dell’OMS Africa su epidemie ed emergenze (marzo 2017 – marzo 2024). Abbiamo considerato una regione “positiva” se riportava più di un caso (sospetto o confermato) nelle ultime 24 settimane. Sappiamo che probabilmente i casi reali sono sottostimati, specialmente dove la sorveglianza è debole.
  • Conflitti: Dal database ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project). Abbiamo contato le fatalità legate ai conflitti in ogni regione ADM1 negli ultimi 4 anni, rapportandole alla popolazione (per 100.000 abitanti).
  • Copertura vaccinale DTP3: Dalle indagini DHS (Demographic Health Surveys), che stimano la copertura tra i bambini di 12-23 mesi. Anche qui, i dati non sono annuali per tutti, quindi abbiamo usato l’indagine più recente disponibile.

Abbiamo incluso 35 paesi africani (su 47 della regione OMS) per cui avevamo dati subnazionali su vaccini e conflitti, per un totale di 541 regioni ADM1 analizzate.

Cosa Abbiamo Scoperto: Risultati Sorprendenti

E ora, i risultati. Tenetevi forte.

Prima ipotesi: il conflitto riduce la copertura vaccinale? Sì. Abbiamo trovato una correlazione negativa: più fatalità da conflitto c’erano in una regione nei 3 anni precedenti e nell’anno dell’indagine sulla vaccinazione, più bassa tendeva ad essere la copertura DTP3 (Odds Ratio [OR] = 0.93, significa circa un 7% in meno di probabilità di copertura per ogni aumento unitario nel logaritmo delle fatalità). Non è un effetto enorme, ma c’è.

Seconda ipotesi: il conflitto è legato alla presenza di difterite? Assolutamente sì, e in modo molto forte.
Un primo modello “grezzo”, senza considerare tempo o vaccini, mostrava già un legame: più fatalità, più probabilità di casi di difterite (OR = 1.41, +41% di rischio).
Ma quando abbiamo usato modelli più sofisticati, che tengono conto del tempo (dati settimanali), delle caratteristiche specifiche di ogni regione e paese, e della copertura vaccinale, il legame è diventato esplosivo. Il nostro modello migliore (chiamato RMCV-Q) ha stimato un Odds Ratio di 30.30 (con un intervallo di confidenza ampio, 23.30–39.39)! Questo suggerisce che, a parità di altre condizioni, un aumento delle fatalità da conflitto negli ultimi 4 anni è associato a un rischio 30 volte maggiore di segnalare casi di difterite. È un numero impressionante.

Campo profughi in una regione africana colpita da conflitto, tende affollate, condizioni precarie visibili in lontananza. Fotografia grandangolare, obiettivo 24mm, luce del tardo pomeriggio, atmosfera polverosa, messa a fuoco nitida.

E la vaccinazione? Qui le cose si complicano. Intuitivamente, ci aspetteremmo: più vaccini, meno difterite. E in parte è vero: nelle regioni con copertura DTP3 molto alta (>80%), non abbiamo trovato casi segnalati. Protezione confermata!
Però, il modello migliore ha mostrato una relazione quadratica: il rischio di difterite era più basso con coperture molto basse (80%), ma raggiungeva un picco intorno al 50% di copertura. Strano, vero?

Come si spiega? Abbiamo qualche idea:

  • Sottostima dei casi: Forse nelle aree con bassissima copertura vaccinale (<25%), le infrastrutture sanitarie sono così deboli che i casi di difterite semplicemente non vengono rilevati o segnalati.
  • Immunità di popolazione: La copertura DTP3 nei bambini piccoli potrebbe non riflettere perfettamente l’immunità dell’intera popolazione (che dipende anche da vaccinazioni passate, richiami negli adulti, immunità da infezioni precedenti).
  • Dati vaccinali imperfetti: Le stime DHS sono basate su sondaggi, non su registri vaccinali sistematici, e possono avere imprecisioni o ritardi.

Implicazioni Pratiche: Usare i Dati sui Conflitti come Sentinella

Al di là delle complessità sulla vaccinazione, il messaggio chiave è forte: la storia recente di conflitti violenti, misurata dalle fatalità, è un potente indicatore del rischio di focolai di difterite in Africa. Questo è importantissimo per la sanità pubblica.

Perché? Perché i dati sui conflitti (grazie a progetti come ACLED) sono spesso disponibili in tempo reale, a livello geografico fine, e più rapidamente delle stime sulla copertura vaccinale, specialmente in contesti difficili. Questo significa che monitorare l’intensità dei conflitti potrebbe darci un segnale precoce di dove il rischio di difterite sta aumentando.

Questo può guidare decisioni cruciali:

  • Dove allocare le scarse scorte di antitossina difterica (DAT)?
  • Dove concentrare gli sforzi di sorveglianza?
  • Dove formare il personale sanitario per riconoscere subito i sintomi?
  • Dove lanciare campagne informative per la popolazione?

Questo è rilevante non solo nelle zone direttamente colpite dal conflitto, ma anche nelle aree circostanti, che potrebbero ricevere flussi di rifugiati o sfollati interni provenienti da zone ad alto rischio.

Mani di un operatore sanitario che preparano una dose di vaccino DTP in una siringa, primo piano dettagliato. Fotografia macro, obiettivo 100mm, alta definizione, messa a fuoco precisa sui dettagli della siringa e del liquido, illuminazione controllata.

Limiti e Prospettive Future

Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. La sottostima dei casi di difterite è probabile, ma pensiamo che se avessimo i dati reali, il legame col conflitto sarebbe ancora più forte. Non abbiamo considerato l’importazione di casi da regioni vicine o l’autocorrelazione temporale. E poi ci sono tanti fattori confondenti che non abbiamo potuto misurare (l’impatto specifico del COVID-19 sulla vaccinazione e sulla trasmissione, per esempio).

Serviranno studi futuri per approfondire, magari con modelli più complessi, dati migliori (come indagini sulla sieroprevalenza, anche se costose) e analisi in altre regioni del mondo colpite da conflitti (pensiamo all’Ucraina).

Ma due tendenze attuali sono preoccupanti: in molte regioni africane, la copertura vaccinale infantile è ancora sotto i livelli pre-pandemici, e i conflitti e il numero di sfollati interni sono in aumento. Se il legame che abbiamo osservato è causale, questo mix è una bomba a orologeria per future epidemie di difterite.

In Conclusione: Non Voltiamoci Dall’Altra Parte

Quello che emerge dalla nostra analisi è un quadro chiaro: in Africa, tra il 2017 e il 2024, una storia locale di conflitti armati gravi è fortemente associata alla comparsa di focolai di difterite. Il conflitto sembra agire sia riducendo le vaccinazioni, sia attraverso meccanismi indipendenti.

Anche se la relazione con la copertura vaccinale è risultata più complessa del previsto (forse per problemi di dati), l’indicazione pratica è forte: i dati sui conflitti possono e devono essere usati come un sistema di allerta precoce per il rischio difterite, specialmente dove mancano dati vaccinali aggiornati. In un mondo con sempre più conflitti e sfollati, questa informazione è vitale per prepararsi e rispondere non solo alla difterite, ma alle emergenze sanitarie in generale. Non possiamo permetterci di ignorare questo legame.

Fonte: Springer

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