Fotografia concettuale, obiettivo grandangolare 15mm, che mostra una testa umana stilizzata e trasparente al cui interno si intrecciano fili luminosi che collegano diverse scene di vita passata (alcune nitide, altre sfocate) a un punto focale luminoso che rappresenta la coscienza presente, simboleggiando la natura costruttiva, epistemica e personale della memoria episodica, long exposure per i fili luminosi.

La Memoria Non È Solo un Album di Ricordi: Difendo la Sua Anima Conoscitiva!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina da sempre: la nostra memoria, in particolare quella che chiamiamo memoria episodica. Sapete, quella che ci permette di rivivere momenti specifici del nostro passato personale – il chi, cosa, dove e, soprattutto, come ci si sentiva in quel preciso istante. Per un sacco di tempo, noi filosofi (e non solo!) abbiamo pensato alla memoria episodica come a una capacità fondamentalmente legata alla conoscenza. In pratica, quando funziona bene, ci dà accesso diretto e di prima mano al nostro passato.

La Svolta “Non-Epistemica”: Ma Davvero la Memoria Serve ad Altro?

Ultimamente, però, tira un’aria diversa. C’è una tendenza crescente, che potremmo chiamare la “svolta non-epistemica”, a considerare questa dimensione conoscitiva della memoria come secondaria, quasi un effetto collaterale. L’idea è che la memoria episodica esista principalmente per fare *altro*. Ma cosa? Le ipotesi sono tante:

  • Aiutarci a immaginare scenari futuri o alternativi (controfattuali).
  • Costruire e mantenere un senso di continuità del nostro “io” nel tempo.
  • Fornire materiale per comunicare con gli altri e rafforzare i legami sociali.

Chi sostiene queste idee, spesso appoggiandosi a scoperte delle neuroscienze e della psicologia, nega che la memoria sia, nella sua essenza più profonda, una facoltà per conoscere il passato. Dicono che guardare alla memoria solo come fonte di conoscenza sia limitante e non spieghi tutta la sua complessità.

La Mia Difesa: Un Approccio Basato sulle Capacità

Ecco, io non sono per niente d’accordo. Voglio difendere l’idea che la memoria episodica sia, prima di tutto e fondamentalmente, una capacità epistemica, cioè una capacità il cui scopo primario (il suo *telos*, direbbero i filosofi più classici) è fornirci un tipo specifico di conoscenza del passato.

Adotto quello che chiamo un “approccio basato sulle capacità” (capacities-first approach). L’idea è semplice: le nostre facoltà mentali (percezione, ragionamento, memoria…) sono poteri per conoscere. Ogni capacità ha un suo “caso buono”, l’esercizio riuscito che porta alla conoscenza. I “casi cattivi” – errori, illusioni, falsi ricordi – sono importanti per capire i meccanismi, certo, ma sono *derivati* dal caso buono. Sono tentativi falliti di raggiungere lo scopo primario della capacità.

Quindi, un ricordo fallace non è qualcosa di completamente diverso da un ricordo vero; è un esercizio difettoso della *stessa* capacità di ricordare, una capacità che *mira* alla conoscenza. Questo approccio non dice che la memoria sia infallibile (non è “fattiva”), ma che il suo obiettivo intrinseco è la conoscenza. E questo obiettivo definisce cosa sia un ricordo, anche quando è sbagliato. Un errore di memoria è un errore *di memoria* proprio perché mirava alla conoscenza e l’ha mancata.

Fotografia macro, obiettivo 100mm, di un complesso meccanismo di orologeria svizzera con ingranaggi finemente lavorati che si incastrano, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli, a simboleggiare la natura costruttiva e precisa ma potenzialmente complessa della memoria.

Memoria è Costruzione, Non Archiviazione? E Allora?

Uno degli argomenti forti della svolta non-epistemica viene dalle scoperte scientifiche che mostrano come la memoria non sia un semplice magazzino dove depositiamo esperienze intatte. Piuttosto, sembra che i ricordi vengano *ricostruiti* ogni volta che li richiamiamo, assemblando pezzi di informazioni, immagini mentali, sensazioni. Studi di neuroimmagine mostrano che le aree cerebrali attive quando ricordiamo sono in parte le stesse che usiamo per immaginare il futuro o scenari alternativi.

Da qui, l’obiezione: se la memoria è così “costruttiva” e non una semplice registrazione, come può essere una fonte affidabile di conoscenza? Sembra un processo troppo caotico, troppo “rumoroso”.

La mia risposta è duplice. Primo: perché mai costruzione dovrebbe essere incompatibile con la conoscenza? Pensate all’immaginazione. Oggi molti filosofi sostengono che possiamo usare l’immaginazione (opportunamente vincolata dalla realtà) per conoscere. Possiamo immaginare cosa succederebbe se facessimo una certa azione e trarne conclusioni valide. Se l’immaginazione, che è l’essenza della costruzione mentale, può avere scopi epistemici, perché non la memoria? Non c’è contraddizione logica nel dire che la memoria costruisce i suoi contenuti *e* che il suo scopo primario è la conoscenza.

Secondo: pensiamoci bene. Anche le funzioni alternative proposte – pianificare il futuro, costruire il sé, creare legami sociali – come potrebbero funzionare efficacemente se la memoria non fosse, almeno in buona parte, affidabile nel rappresentare il passato? Per pianificare azioni future basate sull’esperienza, quella base esperienziale deve essere ragionevolmente accurata. Per costruire un senso di sé coerente nel tempo, serve un legame veritiero con le esperienze passate. Per condividere esperienze con altri in modo significativo, i ricordi devono avere un certo grado di fedeltà. Insomma, mi sembra che queste funzioni alternative *dipendano* dalla natura fondamentalmente epistemica della memoria, non la sostituiscano.

Troppi Errori? Guardiamo Meglio il Contesto!

Un altro cavallo di battaglia della critica è l’apparente fragilità della memoria. La scienza ci dice che siamo soggetti a un sacco di “peccati” mnemonici:

  • Distrazione (encoding fallito)
  • Transitorietà (i ricordi svaniscono)
  • Blocco (il classico “ce l’ho sulla punta della lingua”)
  • Suggestionabilità (ricordi impiantati da informazioni esterne)
  • Confabulazione (creare ricordi falsi, in parte o del tutto)
  • Errata attribuzione (ricordare l’evento ma attribuirlo alla fonte sbagliata)
  • Bias (le nostre credenze attuali distorcono i ricordi)

Se la memoria è così incline all’errore, come possiamo considerarla una capacità per la conoscenza?

Anche qui, ho delle obiezioni. Primo: siamo sicuri che la memoria sia *così* inaffidabile nella vita di tutti i giorni? Molti studi che evidenziano errori di memoria usano paradigmi sperimentali molto specifici, spesso isolando le persone e inducendo deliberatamente l’errore (pensate agli esperimenti sui falsi ricordi di Elizabeth Loftus). È possibile che questi contesti artificiali facciano sembrare la memoria più fragile di quanto non sia nel suo “habitat naturale”, dove interagisce continuamente con la pianificazione, la nostra identità e le relazioni sociali, e dove spesso ricordiamo insieme ad altri che possono correggerci o integrare i nostri ricordi. Forse gli errori clamorosi sono l’eccezione, non la regola, quando la memoria opera nel suo contesto ecologicamente valido.

Ritratto in bianco e nero, stile film noir, 35mm, di una persona che guarda perplessa la propria immagine distorta riflessa in uno specchio rotto, creando un senso di confusione e incertezza sulla realtà, simboleggiando gli errori e le distorsioni della memoria, profondità di campo accentuata.

Secondo: se neghiamo alla memoria il suo scopo epistemico fondamentale, come spieghiamo la differenza tra un ricordo (anche se imperfetto) e un’invenzione pura? Se la memoria serve solo a creare coerenza interna o a pianificare, senza un ancoraggio primario alla verità del passato, rischiamo di non poter distinguere tra un resoconto di vita basato sulla realtà e uno completamente delirante ma internamente coerente. Gli approcci non-epistemici faticano a dare una spiegazione *principled* (basata su un principio) della differenza tra ricordare e sbagliare, spesso dovendo reintrodurre surrettiziamente criteri come l’accuratezza, che è intrinsecamente epistemica. L’approccio basato sulle capacità, invece, ha una spiegazione chiara: l’errore è un fallimento nel raggiungere lo scopo conoscitivo intrinseco della memoria.

E i Nostri Amici Animali?

Un ultimo potenziale argomento contro la natura epistemica della memoria viene dal mondo animale. La ricerca suggerisce che animali come topi, ratti, ghiandaie e persino pesci zebra possiedano forme di memoria che assomigliano alla nostra memoria episodica (ricordano cosa, dove e quando hanno trovato del cibo, per esempio). Ma, si obietta, gli animali non sono “conoscitori” nel senso complesso in cui lo siamo noi umani (non hanno credenze proposizionali, autocoscienza riflessiva, ecc.). Quindi, se loro hanno memoria episodica senza essere pienamente “conoscitori”, allora la memoria episodica non può essere fondamentalmente una capacità di conoscenza.

Anche questo argomento, secondo me, non regge. Ci sono almeno tre modi per rispondere:

  1. Forse non è vera memoria episodica: Potremmo sostenere che ciò che osserviamo negli animali non sia la memoria episodica umana completa, ma piuttosto delle capacità precursorie o componenti che noi condividiamo con loro, ma che solo negli umani si integrano in una piena capacità epistemica di rivivere il passato in prima persona.
  2. Un tipo diverso di conoscenza: Potremmo dire che gli animali *sono* conoscitori, ma in un senso più pratico, legato all’azione e all’adattamento all’ambiente. La loro memoria episodica-simile servirebbe a una forma di “conoscenza pratica” (sapere come orientarsi, dove trovare risorse), che è comunque una forma di conoscenza, anche se diversa dalla nostra conoscenza autocosciente.
  3. Approccio “trasformativo”: Potremmo pensare alla memoria episodica come a un genere funzionale (conoscere il passato per guidare l’azione) che si realizza in modi diversi nelle diverse specie. La “specie” umana di memoria episodica avrebbe caratteristiche uniche (autocoscienza, contenuto concettuale, legame con il linguaggio) che la rendono una capacità di conoscenza di ordine superiore, pur condividendo la funzione di base con altre specie.

Qualunque sia la risposta preferita, l’argomento basato sugli animali non riesce a scalfire l’idea che la *nostra* memoria episodica sia fondamentalmente epistemica.

Fotografia naturalistica con teleobiettivo zoom, 300mm, di una ghiandaia (scrub jay) che nasconde con cura una ghianda sotto le foglie secche in un bosco, scatto rapido per congelare l'azione, tracciamento del movimento, luce naturale filtrata dagli alberi, a rappresentare i comportamenti legati alla memoria animale.

Conclusione: Ridiamo alla Memoria il Suo Ruolo di Guida

Insomma, tirando le somme, gli argomenti empirici portati a sostegno della “svolta non-epistemica” non mi convincono. Né la natura costruttiva della memoria, né la sua fallibilità, né le osservazioni sul mondo animale riescono davvero a dimostrare che la memoria episodica non sia, nel suo nucleo più profondo, una capacità per la conoscenza di prima mano del nostro passato personale.

Anzi, credo che solo riconoscendo questo suo scopo primario possiamo davvero comprendere appieno anche le altre sue importanti funzioni. Come potrebbe la memoria aiutarci a pianificare il futuro, a costruire la nostra identità o a connetterci con gli altri, se non fosse innanzitutto un tentativo, per quanto imperfetto, di afferrare la verità del nostro vissuto?

Forse è ora di smetterla di contrapporre funzioni pratiche e funzioni epistemiche, e di riconoscere che, almeno per la nostra meravigliosa e complessa memoria, conoscere il passato è la base fondamentale per poter agire sensatamente nel presente e proiettarci verso il futuro.

Fonte: Springer

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