Immagine simbolica che rappresenta le barriere alla diagnosi di ME/CFS: una figura stilizzata cerca di attraversare un labirinto complesso fatto di cartelle cliniche e simboli di etnia, genere ed età. Obiettivo 50mm, illuminazione drammatica con ombre profonde, stile film noir per enfatizzare la difficoltà e l'ineguaglianza.

ME/CFS: La Lotteria della Diagnosi in Inghilterra – Perché l’Accesso Non È Uguale per Tutti?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, purtroppo, tocca la vita di tantissime persone in modo invisibile ma devastante: l’Encefalomielite Mialgica, spesso chiamata anche Sindrome da Stanchezza Cronica o ME/CFS. Se non ne avete mai sentito parlare, immaginate una stanchezza così profonda da non andare via nemmeno col riposo, accompagnata da dolori, problemi cognitivi (la famosa “nebbia mentale”) e un peggioramento terribile dei sintomi dopo sforzi anche minimi – il cosiddetto malessere post-sforzo (PEM). È una condizione cronica, senza una cura specifica e, cosa frustrante, senza un test diagnostico univoco.

Proprio la mancanza di un test semplice rende la diagnosi un percorso a ostacoli. Molti pazienti, me compreso idealmente in questa narrazione, aspettano anni prima di ricevere un nome per la loro sofferenza, spesso passando per diagnosi errate o sentendosi dire che “è tutto nella loro testa”. Ma un recente studio basato sui dati del sistema sanitario inglese (NHS) ha gettato una luce cruda su un altro problema: l’accesso alla diagnosi di ME/CFS in Inghilterra è tutt’altro che uguale per tutti. Anzi, sembra quasi una lotteria basata su chi sei e dove vivi.

I Dati Che Fanno Riflettere

Lo studio ha analizzato le statistiche ospedaliere (Hospital Episode Statistics – HES) inglesi dal 1989 al 2023, cercando il codice diagnostico ICD-10 G93.3, quello che più si avvicina alla ME/CFS (anche se tecnicamente si riferisce alla “sindrome da fatica post-virale”). Ebbene, sono emerse quasi 100.000 diagnosi in questo periodo, circa lo 0,16% dei pazienti registrati. Ma il dato interessante non è solo il numero totale, quanto la sua distribuzione.

Donne e Uomini: Un Divario Enorme

La prima disparità che salta all’occhio è quella di genere. Su 100.000 diagnosi, quasi 80.000 riguardano donne e solo 20.000 uomini. Parliamo di un rapporto di quasi 4 a 1! E pensate che questo divario diventa ancora più marcato, arrivando a 6 donne per ogni uomo, nella fascia d’età tra i 40 e i 60 anni. Certo, si sapeva che la ME/CFS colpisce più le donne, ma questi numeri sono davvero impressionanti e fanno sorgere domande sulle cause biologiche o forse anche su bias diagnostici.

L’Età Conta, Ma in Modo Strano

Anche l’età gioca un ruolo. La prevalenza della diagnosi sembra raggiungere il picco intorno ai 50 anni per le donne e, stranamente, circa un decennio dopo per gli uomini (tra i 70 e gli 80 anni). Cosa ancora più curiosa, dopo i 60 anni per le donne e gli 80 per gli uomini, la probabilità di ricevere questa diagnosi registrata negli archivi ospedalieri diminuisce. Non perché si guarisca (la guarigione è rara) o per maggiore mortalità, ma forse perché in passato si diagnosticava meno, o forse queste persone accedono meno agli ospedali per questo problema in età avanzata? E i giovani? Lo studio ha trovato pochissimi casi sotto i 18 anni registrati negli ospedali inglesi (0,010%), molto meno che in altri paesi. Sembra che i servizi pediatrici per la ME/CFS in Inghilterra siano limitati, lasciando potenzialmente molti giovani senza diagnosi.

Primo piano di un grafico medico astratto che mostra linee di dati disuguali e colorate su sfondo scuro, simboleggiando le disparità nella diagnosi dell'encefalomielite mialgica per genere, età ed etnia. Illuminazione controllata, obiettivo macro 80mm, alta definizione per evidenziare la complessità e la frammentazione dei dati.

La Disparità Etnica: Un Dato Scioccante

Ma il dato che forse mi ha colpito di più è quello relativo all’etnia. Le persone bianche in Inghilterra hanno una probabilità circa cinque volte maggiore di ricevere una diagnosi di ME/CFS rispetto alle persone appartenenti ad altri gruppi etnici. In particolare, le persone di origine Nera, Asiatica o Cinese sembrano avere tassi di diagnosi bassissimi. Questo “bias etnico” è risultato addirittura più marcato rispetto ad altre malattie comuni come la depressione clinica o la fibromialgia. Non si tratta probabilmente di differenze genetiche, ma più verosimilmente di barriere sociali, economiche, culturali o di accesso differenziato alle cure specialistiche ospedaliere (da cui provengono i dati HES). Pensate che ben 8 aree amministrative sanitarie (ICB) in Inghilterra, pur avendo quasi 300.000 residenti non-bianchi registrati, riportavano meno di 8 (!) diagnosi di ME/CFS tra di loro. È una disuguaglianza enorme che va assolutamente affrontata.

Dove Vivi Fa la Differenza (Purtroppo)

Come se non bastasse, anche il luogo di residenza e il livello socio-economico sembrano influenzare la diagnosi. La prevalenza varia tantissimo tra le diverse aree geografiche (ICB), con differenze fino a 10 volte! Inoltre, le persone che vivono nelle aree più svantaggiate (misurate tramite l’Indice di Deprivazione Multipla – IMD) hanno meno probabilità di avere una diagnosi registrata. Addirittura, il 3% degli studi medici di base (GP practices) in Inghilterra, pur avendo migliaia di pazienti, non aveva nessun paziente con diagnosi di ME/CFS registrata nei dati ospedalieri HES. E questi studi medici si trovano sproporzionatamente nelle aree più deprivate. Viene da chiedersi quanti pazienti in quelle aree stiano soffrendo in silenzio senza un riconoscimento ufficiale.

Quanti Casi Stiamo Mancando? La Stima Impressionante

Un punto debole, ammesso dallo studio stesso, è che i dati HES analizzati provengono dagli ospedali (ricoveri e visite ambulatoriali) e potrebbero non catturare tutte le diagnosi fatte magari solo dal medico di base e non registrate successivamente in ospedale. Infatti, dati da altre fonti (UK Biobank) suggeriscono che solo una minoranza (circa il 28%) di chi ha un codice ME/CFS nelle cure primarie lo ha anche nei dati ospedalieri HES. Inoltre, il codice G93.3 si riferisce alla sindrome “post-virale”, escludendo potenzialmente chi ha sviluppato la ME/CFS senza un’infezione virale scatenante evidente.

Considerando queste limitazioni e usando come riferimento l’area con la più alta prevalenza registrata (Cornwall e Isole Scilly, che ha una popolazione più anziana e prevalentemente bianca, quindi con meno barriere diagnostiche apparenti), lo studio prova a fare una stima del numero *potenziale* di persone con ME/CFS nel Regno Unito se l’accesso alla diagnosi fosse equo. I numeri sono da capogiro: si parla di una possibile prevalenza dello 0,92% per le donne e dello 0,25% per gli uomini. Applicato a tutta la popolazione UK, significherebbe circa 404.000 persone! Quasi il doppio delle stime attuali. Anche dimezzando questa cifra per tenere conto di criteri diagnostici più stringenti, il numero rimarrebbe altissimo.

Una mappa stilizzata dell'Inghilterra con aree evidenziate in diverse tonalità di blu e grigio per rappresentare la variazione geografica e le disparità socio-economiche nella diagnosi di ME/CFS. Obiettivo grandangolare 20mm, messa a fuoco nitida su tutta la mappa, illuminazione uniforme per un aspetto professionale e informativo, stile duotone blu e grigio.

Perché la Diagnosi È Comunque Fondamentale

Qualcuno potrebbe dire: “Ma se non c’è una cura, a cosa serve la diagnosi?”. Serve, eccome se serve! Ricevere una diagnosi valida:

  • Combatte la delegittimazione e l’incomprensione che spesso circondano questa malattia.
  • Migliora il rapporto tra paziente e medico.
  • Permette una gestione più mirata dei sintomi (ad esempio, imparando a gestire i propri limiti energetici per evitare il PEM).
  • È spesso necessaria per accedere a sussidi di invalidità o supporto sociale.
  • Consente ai pazienti di partecipare a future sperimentazioni cliniche.
  • Aiuta le persone a trovare comunità di supporto e informazioni affidabili.

Cosa Possiamo Fare?

Questi risultati sono un campanello d’allarme. Mostrano chiaramente che in Inghilterra (e probabilmente altrove) ci sono enormi disparità nell’accesso alla diagnosi di ME/CFS. Servono interventi urgenti:

  • Migliorare la formazione dei medici e del personale sanitario sulla ME/CFS, sui suoi sintomi e sui criteri diagnostici aggiornati.
  • Dare priorità alla ricerca per identificare biomarcatori e test diagnostici affidabili.
  • Affrontare attivamente le barriere che impediscono ai gruppi etnici minoritari, alle persone anziane e a chi vive in aree svantaggiate di ricevere una diagnosi tempestiva ed equa.

La strada è ancora lunga, ma conoscere il problema è il primo passo per risolverlo. Dobbiamo lavorare tutti insieme perché nessuno debba più sentirsi invisibile o combattere una battaglia solitaria per ottenere il riconoscimento della propria condizione.

Fonte: Springer

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