Derna: Anatomia di un Disastro Annunciato tra Piogge Estreme e Dighe Fatali
Amici, a volte ci sono storie che ti stringono il cuore e ti fanno riflettere profondamente sulla fragilità della vita e sull’impatto, spesso devastante, delle nostre azioni – o inazioni – sull’ambiente che ci circonda. Oggi voglio parlarvi di Derna, una città libica che l’11 settembre 2023 è stata teatro di una delle più spaventose inondazioni della storia moderna. Un evento che non è stato solo frutto della furia della natura, ma anche, e forse soprattutto, del cedimento di infrastrutture vecchie e mal gestite.
Immaginatevi la scena: la tempesta Daniel, un uragano mediterraneo (o “Medicane”, come lo chiamano gli esperti), si scatena con una violenza inaudita sul bacino del Wadi Derna. Parliamo di piogge torrenziali, con una media di 350 mm in sole 24 ore. Per darvi un’idea, in alcune zone si è registrato l’equivalente di quanto piove in un intero anno, o anche di più! Un evento con un periodo di ritorno stimato superiore ai 1000 anni. Una vera e propria bomba d’acqua.
La Furia della Tempesta Daniel
La tempesta Daniel non è nata dal nulla. Si è formata sul Mar Ionio, ha attraversato i Balcani seminando distruzione in Grecia, Bulgaria e Turchia, per poi dirigersi verso il Golfo della Sirte. Qui, alimentata dalle acque del Mediterraneo insolitamente calde – un probabile effetto dei cambiamenti climatici e delle temperature record di luglio e agosto – si è intensificata fino a diventare un Medicane. Quando ha toccato terra sulla costa orientale della Libia, il 10 settembre, ha scaricato una quantità di pioggia senza precedenti.
Derna, situata alla foce di una stretta valle, un wadi (un letto di fiume prevalentemente secco), è da sempre vulnerabile alle inondazioni improvvise. La sua geografia, unita a un clima arido, la rende un bersaglio perfetto. E infatti, la storia di Derna è costellata di alluvioni: nel 1942, 1956, 1959, 1968. Proprio per proteggere la città, negli anni ’70 erano state costruite due dighe sul Wadi Derna: la Bu Mansour e la Al-Bilad.
Le Dighe: Una Difesa Fallace
Queste due dighe, realizzate con un nucleo di argilla e riempimento in roccia, avrebbero dovuto essere il baluardo contro la furia delle acque. La Bu Mansour, più grande, si trovava a circa 14 km a sud della città, mentre la Al-Bilad era più vicina, quasi ai margini dell’abitato. Ma qui iniziano i problemi. I dati ufficiali sulla loro capacità e altezza non corrispondevano alla topografia reale della valle. Analisi più recenti, basate su dati satellitari, hanno ridimensionato queste cifre: la Bu Mansour, ad esempio, aveva un’altezza di circa 42 metri e una capacità di 22.5 milioni di metri cubi (MCM), mentre la Al-Bilad poteva contenere 1.5 MCM con un’altezza di 24.5 metri.
Ma il vero dramma è che queste infrastrutture, fin dalla fine degli anni ’80, avevano mostrato problemi strutturali e avevano sofferto di una prolungata incuria e mancanza di manutenzione. Una negligenza fatale. Così, nelle prime ore dell’11 settembre, sotto la pressione immane dell’acqua accumulata – si stima un volume di deflusso di 160 MCM, ben sette volte la capacità combinata delle due dighe – entrambe hanno ceduto.
Il risultato? Un’onda di piena alta diversi piani ha travolto interi quartieri di Derna, spazzandoli via verso il mare. Una catastrofe immane, con un bilancio di vittime stimato tra le 11.000 e le 24.000 persone, fino al 20% della popolazione della città. Un incubo.
Cosa Sarebbe Successo Senza il Crollo delle Dighe? L’Analisi Modellistica
A questo punto, la domanda sorge spontanea: le dighe sarebbero crollate comunque, vista l’eccezionalità dell’evento, anche se fossero state in perfette condizioni? O la negligenza ha giocato un ruolo determinante? E la presenza delle dighe ha forse indotto un falso senso di sicurezza negli abitanti?
Per rispondere a queste domande, noi ricercatori abbiamo messo in campo un approccio modellistico integrato, una sorta di “CSI” della catastrofe. Abbiamo combinato immagini satellitari, simulazioni idrologiche, idrauliche e geotecniche, machine learning, testimonianze oculari e dati altimetrici digitali. L’obiettivo era ricostruire l’accaduto e valutare l’impatto del cedimento a cascata delle dighe.
I risultati sono stati illuminanti, e terribili. Abbiamo scoperto che, anche se le dighe fossero state strutturalmente integre, avrebbero offerto una protezione minima contro un deflusso così estremo. L’acqua era semplicemente troppa. Tuttavia, il loro cedimento ha scatenato un’onda di piena distruttiva che ha amplificato enormemente la magnitudo e la devastazione del disastro.
Abbiamo simulato diversi scenari con modelli come HEC-HMS (per l’analisi idrologica) e HEC-RAS (per quella idrodinamica):
- Scenario 1 (cedimento a cascata): Basato sulle testimonianze, la diga Bu Mansour cede per prima (alle 2:40 del mattino), e l’onda di piena fa crollare successivamente la Al-Bilad (intorno alle 3:00).
- Scenario 2 (cedimento indipendente): La Al-Bilad cede prima (alle 1:40) a causa del sormonto, seguita dalla Bu Mansour (alle 2:40).
- Scenario 3 (dighe integre): Le dighe vengono sormontate ma non crollano.
- Scenario 4 (assenza di dighe): Il deflusso raggiunge Derna senza ostacoli.
Confrontando gli scenari, è emerso chiaramente che il crollo delle dighe (Scenario 1) ha provocato un aumento drammatico della portata e della profondità dell’inondazione. Ad esempio, 1 km a valle della diga Al-Bilad, la portata è schizzata da 4600 m³/s a 17.600 m³/s in meno di un’ora nello scenario del cedimento a cascata. L’estensione dell’area inondata è aumentata del 45% rispetto allo scenario senza dighe. Le profondità dell’acqua dentro il wadi sono state circa il doppio, ma nelle aree golenali (fuori dal letto principale del fiume) sono state addirittura sette volte maggiori con il crollo delle dighe rispetto agli scenari senza crollo o senza dighe.
L’Impatto della Manutenzione: Un’Analisi Geotecnica
Ci siamo poi concentrati sulla diga di Bu Mansour, la più grande. Utilizzando un software di analisi geotecnica (Plaxis 2D), abbiamo simulato il comportamento della diga in diverse fasi di carico idraulico, confrontando una diga ben mantenuta con una malconcia, con possibili crepe nel nucleo di argilla (come suggerito dalla sua storia di incuria).
Le fasi simulate sono state:
- Fase I (serbatoio asciutto): Diga stabile.
- Fase II (serbatoio a metà): L’acqua inizia a saturare la struttura.
- Fase III (serbatoio pieno e sormonto): Aumenta la pressione dell’acqua. In una diga malmessa, l’acqua filtra abbondantemente attraverso il nucleo, aumentando il rischio di “piping” (erosione interna).
- Fase IV (rottura): Il sormonto danneggia gravemente il paramento di valle. L’elevata filtrazione e il piping accelerano significativamente la rottura in una diga malmessa.
L’analisi ha mostrato che, sebbene anche una diga ben mantenuta avrebbe potuto alla fine cedere per erosione superficiale a causa del sormonto eccezionale, il tempo per arrivare al collasso sarebbe stato significativamente più lungo, offrendo forse una finestra per l’evacuazione. Una diga malmessa, invece, è destinata a un cedimento molto più rapido e catastrofico.
Il Paradosso del Controllo delle Inondazioni e le Lezioni Mancate
La tragedia di Derna solleva anche la questione del cosiddetto “paradosso del controllo delle inondazioni”. A volte, fare troppo affidamento su misure strutturali come dighe e argini può creare un falso senso di sicurezza. Questo può portare a un’urbanizzazione sconsiderata nelle pianure alluvionali e a una minore preparazione da parte della popolazione e delle autorità. A Derna, nonostante i problemi strutturali noti, le dighe avevano resistito a due tempeste significative nel 1986 e nel 2011, forse alimentando questa pericolosa compiacenza.
Il disastro è stato esacerbato da allerte mancate o inadeguate, da una preparazione insufficiente e da evacuazioni concentrate sulle aree costiere invece che sulla piana alluvionale del wadi. Secondo il capo dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, allerte ed evacuazioni efficaci avrebbero potuto prevenire la maggior parte delle vittime.
C’è anche da considerare il progetto originale degli anni ’70, che prevedeva la costruzione di una terza diga a monte della Bu Mansour. Se fosse stata realizzata, avrebbe ridotto significativamente il carico idraulico sulla Bu Mansour, intercettando una grossa fetta del deflusso. Anche se non avrebbe evitato del tutto il superamento della capacità della Bu Mansour durante un evento estremo come la tempesta Daniel, avrebbe certamente mitigato la pressione.
Cosa Ci Insegna Derna?
Le lezioni che possiamo trarre da questa immane tragedia sono chiare e urgenti:
- Valutazione Sistematica della Sicurezza delle Dighe: È fondamentale ispezionare regolarmente e, se necessario, riabilitare le infrastrutture esistenti, specialmente quelle più datate.
- Miglioramento delle Previsioni Alluvionali: Sistemi di allerta precoce più efficaci e capillari sono cruciali.
- Strategie Adattive di Gestione del Rischio: Bisogna considerare gli estremi climatici, che stanno diventando sempre più frequenti, e le vulnerabilità infrastrutturali.
- Approccio Integrato: Non basta affidarsi solo a misure strutturali. Servono piani di evacuazione chiari, una robusta comunicazione pubblica e una maggiore consapevolezza del rischio nella popolazione.
- Manutenzione Proattiva: Monitorare le infrastrutture e i livelli dell’acqua, specialmente in vista di eventi meteorologici estremi, è un imperativo.
È importante sottolineare che, nonostante le incertezze intrinseche nei dati (specialmente in una regione con scarsità di informazioni come il bacino di Derna) e nei modelli, questo tipo di analisi integrata è fondamentale per comprendere le dinamiche di questi disastri e per migliorare la preparazione in futuro, soprattutto in aree vulnerabili e con risorse limitate.
La catastrofe di Derna è un monito terribile. Ci ricorda che il cambiamento climatico sta aumentando i rischi e che la negligenza nella manutenzione delle infrastrutture critiche può avere conseguenze inimmaginabili. La speranza è che da tanto dolore e distruzione si possa imparare a costruire un futuro più sicuro e resiliente, dove la prevenzione e la preparazione siano al centro delle nostre priorità.
Fonte: Springer