Democrazia a Sorteggio: La Scommessa Casuale Può Davvero Rimpiazzare il Voto?
Ammettiamolo, la democrazia come la conosciamo sembra un po’ acciaccata ultimamente. Sentiamo parlare ovunque di crisi, di sfiducia, di leader con tendenze autoritarie che spuntano anche dove non te lo aspetteresti. Sembra che il meccanismo si sia inceppato, che la rappresentanza non funzioni più come dovrebbe e che i cittadini si sentano sempre più lontani da chi prende le decisioni. È un problema serio, discusso da decenni, da quando studiosi come Habermas parlavano di “crisi di legittimità”.
E allora, che si fa? Beh, negli ultimi tempi è spuntata un’idea affascinante, quasi provocatoria: la lottocrazia, o democrazia del sorteggio. Immaginate un sistema dove i politici, o almeno una parte di essi, non vengono eletti, ma… estratti a sorte! Sì, proprio come alla lotteria. L’idea di base è che affidarsi al caso potrebbe essere la medicina giusta per curare i mali della democrazia elettorale: meno corruzione, più partecipazione dei cittadini comuni, più fiducia nel sistema. Suona strano, vero? Eppure, c’è chi ci crede fermamente.
Ma questa “logica della casualità” è davvero così benefica come dicono? Può il sorteggio, da solo, reggere le sorti di un paese? Io, francamente, ho qualche dubbio. E non sono l’unico. In questo articolo voglio scavare un po’ più a fondo, guardare oltre la superficie scintillante della novità e capire se questa scommessa sul caso sia davvero la soluzione o solo un’illusione affascinante.
Cos’è Esattamente la Lottocrazia e Perché Piace?
In parole povere, la lottocrazia è un sistema politico dove le persone vengono scelte per ricoprire cariche pubbliche o prendere decisioni tramite un’estrazione casuale. L’idea è mettere i cittadini comuni, non i politici di professione, al centro del processo decisionale. I sostenitori dicono che questo ridurrebbe la corruzione (difficile corrompere qualcuno se non sai chi verrà estratto!) e aumenterebbe la partecipazione e la fiducia.
Ci sono diverse sfumature. C’è chi propone un approccio moderato: usare il sorteggio per integrare e migliorare la democrazia elettorale esistente. Ad esempio, sorteggiare i membri di alcune commissioni, di assemblee cittadine consultive, o magari di una Camera del Parlamento (un po’ come un Senato sorteggiato). Si usano spesso tecniche di “sorteggio civico stratificato” per assicurarsi che il gruppo sorteggiato sia uno specchio fedele della popolazione per età, genere, reddito, provenienza geografica, ecc.
E poi ci sono i radicali. Loro dicono: buttiamo via tutto il sistema elettorale! Sostituiamolo completamente con la lottocrazia. Niente più elezioni, niente più partiti, solo assemblee di cittadini estratti a sorte che legiferano e governano. Si ispirano all’antica Atene (anche se vedremo che è un’interpretazione un po’ forzata), alla Repubblica di Venezia, all’efficacia delle giurie popolari nei tribunali. Uno dei più noti sostenitori di questa visione è David Van Reybrouck, che vede nel sorteggio l’unica via d’uscita da polarizzazione, populismo e sfiducia.
Il Fascino (e le Insidie) della Logica Casuale
Perché il caso dovrebbe funzionare meglio della scelta ragionata? I teorici della lottocrazia esaltano quella che chiamano la “logica della casualità”. Dicono che il sorteggio ha un effetto “igienizzante”: esclude favoritismi, manipolazioni, interessi di parte. Come dice Peter Stone, “una lotteria contribuisce al processo decisionale impedendo che la decisione sia basata su ragioni”. Sembra quasi un elogio dell’irrazionalità, un’idea di società senza leader, o dove tutti sono leader.
Affascinante, sì. Ma funziona davvero così nella vita politica reale? Io credo che questa visione sia un po’ troppo rosea e semplicistica. Guardando l’intero processo del sorteggio, dall’inizio alla fine, emergono un sacco di problemi che questa “logica igienizzante” tende a nascondere. E sono proprio questi problemi a farmi dubitare che la lottocrazia possa davvero sostituire la democrazia elettorale.
Scaviamo più a Fondo: I Problemi Nascosti nel Sorteggio
Analizziamo punto per punto le crepe in questa logica della casualità:
- Minare il Consenso e l’Empowerment: Se un gruppo di persone scelte a caso prende decisioni che riguardano tutti, perché io, che non sono stato estratto, dovrei accettarle? Dov’è finito il mio diritto di scegliere chi mi rappresenta? Il sorteggio scavalca l’idea fondamentale del consenso democratico, quella per cui chi governa lo fa perché ha ricevuto un mandato (diretto o indiretto) da me. Mi sento meno “potente”, meno padrone del mio destino politico.
- Uguaglianza Sostanziale Compromessa: Si dice che il sorteggio dia a tutti la stessa possibilità di essere scelti. Bello a parole. Ma in pratica, spesso si usa il “campionamento stratificato”: si divide la popolazione in gruppi (donne, uomini, giovani, anziani, diverse etnie…) e si estrae a caso da ogni gruppo per garantire la rappresentatività. Ma questo significa che le probabilità non sono uguali per tutti! Alcuni gruppi potrebbero avere più chance di altri. È un’uguaglianza più statistica che reale, sostanziale.
- Il Baratro della Rappresentanza: Quante persone vengono sorteggiate di solito per queste assemblee? Poche. Pochissime rispetto alla popolazione totale. Nell’esperimento di Zeguo in Cina, erano lo 0,002% della popolazione del comune. A livello nazionale o globale, la percentuale diventa infinitesimale. Pensate all’Assemblea Globale sul Clima del 2021: 100 cittadini da tutto il mondo (18 cinesi, zero dalle isole del Pacifico!). Può un gruppo così piccolo rappresentare davvero miliardi di persone? È legittimo che decidano per tutti gli altri 99,99…% esclusi? La rappresentanza diventa un concetto molto, molto stiracchiato.
- Il Bias di Partecipazione (Chi Dice Sì?): Non basta essere estratti, bisogna anche accettare l’invito. E qui casca l’asino. I tassi di accettazione sono spesso bassissimi. Per l’evento G1000 a Bruxelles ci sono volute 50.000 telefonate per mettere insieme 700 persone! In Irlanda, circa il 33% ha accettato. Chi rifiuta potrebbe avere opinioni, valori, esigenze diverse da chi accetta. La loro assenza crea un “bias di selezione silenzioso”. Inoltre, chi accetta potrebbe avere caratteristiche particolari (più tempo libero, più interesse per la politica…). Ironia della sorte: il sorteggio nasce per eliminare i bias di selezione, ma ne introduce uno nuovo dalla porta di servizio attraverso la bassa adesione. (In Cina, curiosamente, l’adesione iniziale fu altissima, oltre il 90%, forse per la novità e l’organizzazione logistica del governo locale).
- La Questione della Competenza: Siamo sicuri che cittadini comuni, scelti a caso, abbiano le competenze necessarie per affrontare temi complessissimi come l’economia, la sanità, la politica estera? Il rischio di decisioni inefficaci o dannose è reale. Certo, si possono fornire informazioni, esperti, formazione. Ma basta? E se introduciamo requisiti minimi (tipo un diploma), non tradiamo il principio stesso del sorteggio aperto a tutti?
- Il Problema dell’Autorizzazione e della Responsabilità: Chi ha autorizzato i sorteggiati a decidere? E a chi rispondono delle loro decisioni? Nella democrazia elettorale, i politici rispondono agli elettori (almeno in teoria). Nel sorteggio, questo legame si spezza.
Lezioni dalla Storia (e dalla Cina)
I fan della lottocrazia citano spesso Aristotele e l’antica Atene. Ma attenzione: Aristotele parlava di “regime misto”. Atene non era una democrazia puramente basata sul sorteggio. C’erano anche elezioni (per cariche importanti come i generali e i magistrati finanziari), c’era la rotazione delle cariche, c’erano assemblee deliberative. Il sorteggio era una parte del sistema, non il tutto. Era mescolato con altri meccanismi. Lo stesso vale per la Repubblica di Venezia, con i suoi complessi sistemi che combinavano sorteggio ed elezione (anche se manipolabili).
L’idea di un sistema misto sembra molto più realistica e storicamente fondata. E troviamo conferme anche in esperimenti moderni. Prendiamo il caso della Cina, in particolare della municipalità di Zeguo, dove per anni hanno sperimentato forme di “sondaggio deliberativo” con cittadini scelti a sorte per decidere su parti del bilancio locale. È un laboratorio affascinante.
Cosa abbiamo imparato da Zeguo?
- Il sorteggio piace (all’inizio): I cittadini lo percepivano come giusto ed equo, e all’inizio l’adesione era alta.
- Emergono problemi pratici: Si sono scontrati con il problema dell’analfabetismo (circa il 9% dei sorteggiati). Come fare? Ignorarli? Aiutarli? Questo ha portato a dibattiti sulla qualità della deliberazione.
- Si cercano soluzioni “miste”: Di fronte ai problemi, i funzionari locali non si sono fossilizzati sul sorteggio puro. Hanno iniziato a sperimentare: metà dei partecipanti sorteggiati tra la popolazione generale, metà sorteggiati tra i rappresentanti di villaggio già eletti (considerati più competenti nel dibattere). Hanno richiesto ai sorteggiati di consultare altri cittadini prima delle riunioni per aumentare la rappresentatività. Hanno coinvolto i membri eletti del Congresso Popolare locale nel processo, facendoli assistere alle deliberazioni o chiedendo loro di approvare i risultati.
- Il contesto conta: Non ovunque il sorteggio è stato accettato. In comuni vicini lo hanno rifiutato. E scalarlo a livello di città si è rivelato difficile, per dubbi sulla rappresentatività di un piccolo campione per una popolazione più grande. Inoltre, il significato culturale del sorteggio in Cina (associato alla fortuna nei templi, non alla democrazia) ha rappresentato un ostacolo.
L’esperienza cinese, quindi, non supporta l’idea di sostituire le elezioni, ma piuttosto quella di integrare il sorteggio in modo pragmatico all’interno delle strutture esistenti, combinandolo con forme di rappresentanza eletta e deliberazione.
Allora, Sostituire le Elezioni? Forse Meglio di No
Tirando le somme, l’idea di buttare a mare le elezioni e affidarsi completamente al caso mi sembra profondamente problematica. La “logica della casualità” tanto esaltata dai sostenitori della lottocrazia radicale si scontra con una serie di ostacoli pratici e teorici non da poco: problemi di consenso, di uguaglianza reale, di rappresentatività, di partecipazione, di competenza, di responsabilità.
Pensare che un piccolo gruppo di cittadini scelti a caso possa magicamente risolvere le complessità della governance moderna, superare le divisioni profonde delle nostre società ed essere più “puro” e meno corruttibile dei sistemi elettivi mi pare un’illusione. La storia (Atene, Venezia) e le esperienze contemporanee (come quella cinese) suggeriscono che il sorteggio non è mai esistito né ha funzionato in isolamento.
La Via d’Uscita: Un Cocktail Democratico?
Se la sostituzione totale sembra impraticabile e indesiderabile, cosa resta? Resta l’idea, molto più promettente secondo me, di usare il sorteggio come uno degli ingredienti di un sistema democratico più ricco e articolato. Un sistema misto o ibrido, che sappia combinare intelligentemente i punti di forza di meccanismi diversi:
- Il sorteggio, per portare dentro voci nuove, garantire una certa rappresentatività descrittiva, e forse limitare certi tipi di corruzione e partigianeria.
- Le elezioni, per garantire il consenso, la responsabilità politica, e la possibilità per i cittadini di scegliere attivamente una direzione politica.
- La deliberazione, per permettere un confronto ragionato delle idee, sia tra i cittadini sorteggiati, sia tra gli eletti, sia tra cittadini ed eletti.
Immaginate, ad esempio, un processo per affrontare temi spinosi (come riforme costituzionali o questioni etiche): si parte con un’assemblea di cittadini sorteggiati che studia il problema e fa delle proposte; queste proposte passano poi al Parlamento eletto, che le discute, le modifica e le vota; infine, magari, si sottopone il risultato a un referendum popolare.
Ovviamente, non c’è una ricetta unica. Come bilanciare questi ingredienti? In che proporzioni? In quale sequenza? Dipende dal contesto, dal problema specifico, dalla cultura politica locale. È qui che sta la vera sfida, la vera “arte democratica” che dovremmo studiare e sperimentare: non cercare la purezza illusoria di un unico metodo, ma imparare a mescolare saggiamente gli strumenti che abbiamo per rendere la nostra democrazia più forte, più inclusiva e più efficace. Il sorteggio può essere uno strumento utile nel nostro arsenale democratico, ma pensare che sia la bacchetta magica che risolve tutto… beh, quella mi sa tanto di scommessa persa in partenza.
Fonte: Springer