COVID: Distruggere il Virus Invece di Bloccarlo? Ecco i Degradatori Proteici Mirati!
La battaglia continua: perché i virus ci danno ancora filo da torcere
Ciao a tutti! Sono qui per parlarvi di qualcosa che mi appassiona tantissimo nel campo della ricerca antivirale. Come sapete, le malattie virali sono una bella gatta da pelare a livello globale. Per molte infezioni, non abbiamo ancora terapie efficaci, e quando le abbiamo, spesso i virus diventano furbi e sviluppano resistenza ai farmaci. L’abbiamo visto bene con il SARS-CoV-2, no?
La pandemia ci ha mostrato quanto velocemente le cose possano cambiare e quanto sia cruciale avere armi efficaci. Sono stati fatti passi da gigante, certo. Pensate agli anticorpi monoclonali o ai farmaci come il nirmatrelvir (componente chiave del Paxlovid). Quest’ultimo è una piccola molecola che blocca un enzima fondamentale del virus, la proteasi principale Mpro (chiamata anche 3CLpro o Nsp5), impedendogli di replicarsi. È stato un grande successo, sviluppato rapidamente adattando vecchi inibitori pensati per i cugini del SARS-CoV-2, cioè SARS-CoV e MERS-CoV.
Però, c’è un “ma”. Come per molti altri antivirali, anche il nirmatrelvir può spingere il virus a mutare per resistergli. Sono già state identificate mutazioni, specialmente in un punto specifico della Mpro (la posizione E166), che rendono il farmaco meno efficace perché non riesce più a legarsi bene all’enzima. E allora, che si fa? Si cerca qualcosa di nuovo, ovviamente!
L’Idea Geniale: I Degradatori Proteici Mirati (TPD)
Qui entra in gioco un approccio che trovo affascinante: i Degradatori Proteici Mirati, o TPD (Targeted Protein Degraders). A volte li chiamano anche PROTACs. Immaginateli come delle molecole “ponte” intelligenti. Hanno due “mani”: una afferra la proteina virale che vogliamo eliminare (nel nostro caso, la Mpro), l’altra afferra un componente del sistema di smaltimento cellulare della cellula ospite (una cosa chiamata E3 ligasi).
Cosa succede? La TPD porta la proteina virale vicino all’E3 ligasi, che la “etichetta” per la distruzione. Questa etichetta (l’ubiquitina) dice al macchinario di riciclaggio della cellula, il proteasoma, “Ehi, questa roba va eliminata!”. Il proteasoma fa il suo lavoro, distrugge la proteina virale, e la TPD, libera, può ricominciare il ciclo, andando a “catturare” altre proteine virali. È un meccanismo catalitico, il che significa che una piccola quantità di TPD può eliminare molte proteine bersaglio. Figo, no?
I TPD sono già studiati tantissimo in oncologia e si stanno affacciando anche nel campo delle malattie infiammatorie e neurodegenerative. Perché potrebbero essere ideali come antivirali?
- Potenza elevata: Grazie alla loro natura catalitica, possono essere efficaci anche a basse concentrazioni.
- Resilienza alla resistenza: Non dipendono solo da un legame super-forte con la proteina. Anche se la proteina muta un po’, la TPD potrebbe comunque riuscire a “etichettarla” per la distruzione. Questo potrebbe rendere più difficile per il virus sviluppare resistenza.
- Effetti multipli? Le proteine virali spesso fanno tante cose diverse. Eliminandole completamente, invece che solo bloccarne una funzione, potremmo avere effetti antivirali più ampi.
Per costruire queste TPD, si possono usare diverse “mani” per agganciare le E3 ligasi. Le più usate si legano a proteine chiamate cereblon, VHL o IAP.
Dal Laboratorio alla Prova del Nove: Creare e Testare i TPD anti-Mpro
Quindi, ci siamo chiesti: possiamo trasformare il nirmatrelvir, un inibitore, in un TPD efficace contro la Mpro del SARS-CoV-2? E questa trasformazione porterà a un’attività antivirale maggiore, magari anche contro i virus resistenti?
Abbiamo sintetizzato un bel po’ di potenziali TPD (una trentina all’inizio!), partendo dal nirmatrelvir ma anche da altri inibitori della Mpro, variando i “bracci” (linker) e le “mani” che legano le E3 ligasi (cereblon, VHL, IAP). Prima di tutto, abbiamo verificato che queste nuove molecole fossero ancora capaci di legarsi alla Mpro e bloccarne l’attività enzimatica in provetta (con un test chiamato FRET). Molte lo facevano, specialmente quelle derivate dal nirmatrelvir, mantenendo una potenza notevole.
Poi è arrivato il momento clou: vedere se queste molecole potevano effettivamente degradare la Mpro all’interno delle cellule. Abbiamo sviluppato un sistema fighissimo: cellule umane modificate per produrre la Mpro legata a una piccola etichetta luminosa (HiBiT). Se la TPD funzionava, la quantità di Mpro (e quindi di luce) sarebbe diminuita.
Abbiamo testato tutti i nostri candidati e… bingo! Tre molecole derivate dal nirmatrelvir si sono distinte: BP-172 (che usa la VHL ligasi), BP-174 e BP-198 (che usano le IAP ligasi). Queste tre riducevano significativamente i livelli di Mpro nelle cellule in modo dipendente dalla concentrazione e dal tempo. La migliore, BP-198, arrivava a ridurre la Mpro del 72% in 24 ore! E questo non perché le cellule morissero, ma proprio perché la Mpro veniva eliminata. Lo abbiamo confermato anche con tecniche più classiche (Western blot).
Per essere sicuri che fosse proprio un meccanismo di degradazione via TPD, abbiamo fatto altre prove:
- Abbiamo visto che bloccando il proteasoma (con MG132), la Mpro veniva “etichettata” (ubiquitinata) ma non distrutta quando trattata con le TPD più efficaci.
- Abbiamo creato delle versioni “spuntate” delle nostre TPD, chiamate controlli non degradanti (NDMI). Queste molecole sono quasi identiche alle TPD (stessa dimensione, stessa parte che lega Mpro), ma hanno una piccola modifica nella “mano” che lega l’E3 ligasi, impedendole di funzionare. Risultato? Gli NDMI (BP-200, BP-202, BP-206) non degradavano la Mpro come le loro controparti TPD (BP-172, BP-174, BP-198). Questo ci dice che la degradazione dipende proprio dal reclutamento dell’E3 ligasi!
- Abbiamo provato a mettere le TPD in competizione con il nirmatrelvir “libero”. Se entrambi si legano allo stesso punto sulla Mpro, il nirmatrelvir dovrebbe “proteggere” la Mpro dalla degradazione indotta dalla TPD. Ed è esattamente quello che è successo!
- Per BP-172, abbiamo usato cellule senza la proteina VHL. In queste cellule, BP-172 perdeva quasi tutta la sua capacità di degradare Mpro, mentre BP-174 (che usa IAP) funzionava ancora benissimo. Conferma definitiva che BP-172 usa proprio la VHL.
Quindi, avevamo in mano delle vere TPD che specificamente prendevano di mira la Mpro e la eliminavano usando il sistema cellulare. Fantastico! Ma la domanda vera era: questo si traduce in una migliore azione antivirale?
Più Efficaci del Semplice Blocco: I TPD all’opera contro il Virus
Abbiamo confrontato l’attività antivirale delle nostre TPD migliori (BP-172, BP-174, BP-198) con quella dei loro controlli non degradanti (NDMI) in cellule infettate con SARS-CoV-2 (sia il ceppo originale che la variante Omicron BA.5). L’idea era isolare l’effetto della degradazione rispetto al semplice blocco enzimatico (che fanno sia le TPD che gli NDMI).
Usando una tecnica che misura la salute delle cellule in tempo reale (RTCA), abbiamo visto che, a dosi sufficienti (quelle a cui osservavamo la degradazione nel test HiBiT), le TPD come BP-198 e BP-174 proteggevano le cellule dall’effetto distruttivo del virus (effetto citopatico) meglio dei loro controlli NDMI. Le cellule trattate con TPD sopravvivevano più a lungo e in condizioni migliori. Abbiamo calcolato la potenza antivirale (IC50) nel tempo e visto che le TPD diventavano progressivamente più potenti dei loro controlli NDMI con il passare delle ore, suggerendo un effetto più duraturo. BP-198, ad esempio, raggiungeva una potenza 2.6 volte maggiore del suo controllo BP-206 dopo 70 ore.
Abbiamo confermato questi risultati anche misurando quanto nuovo virus veniva prodotto dalle cellule infettate (titolo virale e copie del genoma virale). Anche qui, la nostra TPD migliore, BP-198, si è dimostrata circa 2.1 volte più potente del suo controllo NDMI (BP-206) nel ridurre la produzione della variante Omicron BA.5 in cellule umane (Calu-3).
Quindi, sì! Convertire un inibitore enzimatico in un degradatore porta a un’attività antivirale potenziata. La degradazione aggiunge qualcosa in più rispetto al solo blocco dell’enzima.
La Sfida Finale: Battere la Resistenza
Ma la vera ciliegina sulla torta doveva ancora arrivare. Uno dei grandi vantaggi attesi dei TPD è la capacità di superare la resistenza. Potevano le nostre TPD funzionare contro le forme di Mpro resistenti al nirmatrelvir?
Abbiamo introdotto nel nostro sistema cellulare HiBiT le mutazioni della Mpro note per conferire resistenza al nirmatrelvir (come E166V, da sola o combinata con T21I o L50F). Ebbene, le nostre TPD (BP-172, BP-174, BP-198) erano ancora perfettamente capaci di degradare queste Mpro mutanti! La perdita di efficacia nella degradazione era minima (meno di 2 volte), nulla in confronto alla perdita di efficacia del nirmatrelvir nel legarsi a queste Mpro mutanti (che può essere di oltre 100-200 volte!).
Il passo successivo era testarlo su un virus vero, resistente al nirmatrelvir. Abbiamo usato un virus SARS-CoV-2 Delta modificato per avere le mutazioni L50F ed E166V nella Mpro, un ceppo noto per essere altamente resistente al nirmatrelvir (circa 260 volte meno sensibile!). Abbiamo infettato le cellule con questo virus resistente o con il virus Delta normale (wild-type, WT) e trattato con nirmatrelvir, la nostra TPD BP-198 o il suo controllo NDMI BP-206.
I risultati sono stati illuminanti:
- Contro il virus Delta WT, BP-198 e BP-206 avevano un’efficacia simile (in questo specifico test).
- Ma contro il virus resistente (Delta L50F/E166V), la TPD BP-198 era 2.7 volte più potente del suo controllo NDMI BP-206!
- Inoltre, mentre il nirmatrelvir perdeva tantissimo (261 volte) in efficacia contro il virus resistente rispetto al WT, e l’NDMI BP-206 perdeva comunque molto (75 volte), la nostra TPD BP-198 subiva una perdita di efficacia molto più contenuta (solo 25 volte).
Questo è un risultato chiave! Dimostra che la TPD non solo è più potente del controllo che inibisce solo l’enzima, ma mantiene questa superiorità anche contro un virus altamente resistente al farmaco da cui deriva. La capacità di degradare la proteina bersaglio offre un vantaggio cruciale per aggirare la resistenza.
Cosa Significa Tutto Questo? Prospettive Future
Questo studio, secondo me, è una conferma importante: trasformare inibitori virali in TPD è fattibile e porta a vantaggi concreti. Abbiamo dimostrato che si può ottenere un’attività antivirale superiore al semplice blocco enzimatico e, cosa forse ancora più eccitante, si può mantenere l’efficacia contro virus che hanno sviluppato resistenza al farmaco originale.
Certo, la strada è ancora lunga. Le nostre TPD attuali, essendo molecole più grandi e complesse del nirmatrelvir, probabilmente hanno problemi di permeabilità cellulare e biodisponibilità. Infatti, contro il virus wild-type, il nirmatrelvir puro è ancora più potente delle nostre TPD attuali, anche se queste ultime battono i loro controlli NDMI di dimensioni simili. Questo significa che dovremo lavorare per ottimizzare queste molecole, magari modificando i linker per migliorarne le proprietà farmacocinetiche, senza perdere la capacità di degradare la Mpro.
Il modesto vantaggio (2-3 volte) della TPD sull’NDMI nelle nostre prove antivirali potrebbe dipendere dal fatto che il nirmatrelvir è già un inibitore eccezionale. Forse la degradazione offre un beneficio maggiore quando la proteina bersaglio ha altre funzioni importanti oltre a quella enzimatica, o quando l’inibitore di partenza non è così ottimizzato. Sarà interessante esplorare i TPD per altri bersagli virali.
Comunque, questi risultati sono molto incoraggianti. Mostrano che i TPD sono una strategia promettente per sviluppare nuove terapie antivirali, potenzialmente più potenti e capaci di contrastare l’emergere della resistenza, un problema enorme in virologia. Potrebbero anche avere attività ad ampio spettro contro virus correlati, come suggerito da altri studi recenti su TPD contro Dengue e altri flavivirus.
È un campo in rapida crescita, e sono convinto che sentiremo parlare sempre di più dei Degradatori Proteici Mirati come nuova frontiera nella lotta contro le infezioni virali. Chissà, magari un giorno avremo farmaci che non si limitano a “bloccare” il nemico, ma lo “smantellano” pezzo per pezzo!
Fonte: Springer