Innesti Gengivali e Recessioni: Meglio ‘Pulire’ Dentro o Fuori dalla Bocca? La Scienza Risponde!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, lo so, può sembrare un po’ tecnico, ma che in realtà tocca da vicino la salute e l’estetica del sorriso di molte persone: gli innesti gengivali per trattare le fastidiose recessioni gengivali. Sapete, quelle situazioni in cui la gengiva si ritira e lascia scoperta una parte della radice del dente? Ecco, proprio quelle. E la domanda che spesso ci si pone in sala operatoria è: qual è il modo migliore per preparare questi innesti?
Nel mondo dell’odontoiatria, e in particolare della parodontologia, si discute da tempo sull’efficacia di diversi metodi per “pulire” l’innesto di tessuto connettivo, ovvero rimuovere lo strato più superficiale chiamato epitelio. Questa procedura si chiama de-epitelizzazione. Ma perché è così importante? Perché si teme che eventuali residui di epitelio possano causare qualche problemino a lungo termine, come la formazione di cisti o risultati estetici non proprio al top. Però, diciamocelo, non c’è ancora un consenso unanime su quale sia la tecnica regina per eliminare questo strato.
Le Due Star del Ring: eoDE vs. ioDE
Le due tecniche principali che si contendono il podio sono la de-epitelizzazione extra-orale (eoDE) e quella intra-orale (ioDE). Cosa significano questi acronimi un po’ ostici?
- eoDE (Extra-Oral De-epithelialization): Immaginate di prelevare un pezzettino di tessuto dal palato (la zona donatrice più comune) che include sia l’epitelio sia il tessuto connettivo sottostante. Poi, con calma e precisione, fuori dalla bocca, su un tavolino sterile, si rimuove l’epitelio. Questo metodo, soprattutto se fatto con l’ausilio di sistemi di ingrandimento, permette di vedere bene cosa si sta facendo e di essere molto accurati.
- ioDE (Intra-Oral De-epithelialization): Qui, invece, la “pulizia” avviene direttamente dentro la bocca, prima ancora di prelevare l’innesto vero e proprio. Si gratta via l’epitelio dalla zona donatrice e solo dopo si preleva il tessuto connettivo. I vantaggi? Si dice sia più facile da manipolare, riduca i tempi alla poltrona e, cosa non da poco, interrompa per meno tempo l’apporto di sangue all’innesto. Un segnale che spesso si cerca è un sanguinamento uniforme, che indicherebbe una rimozione efficace dell’epitelio.
Nonostante ci siano studi che hanno analizzato il dolore post-operatorio o la copertura della radice con i diversi approcci, mancava una ricerca che mettesse davvero a confronto eoDE e ioDE sia per quanto riguarda i residui epiteliali sia per i risultati clinici complessivi. Ed è qui che entro in gioco io, o meglio, lo studio che voglio raccontarvi!
Cosa Abbiamo Fatto (e Scoperto!) nel Nostro Studio
Abbiamo deciso di vederci chiaro e abbiamo condotto uno studio clinico randomizzato, in parallelo e in singolo cieco (il che significa che il valutatore non sapeva quale tecnica fosse stata usata sul paziente). Abbiamo coinvolto 40 pazienti, ognuno con una singola recessione gengivale, e li abbiamo divisi in due gruppi: uno trattato con la tecnica eoDE e l’altro con la ioDE, entrambe combinate con un lembo avanzato coronalmente (CAF), una tecnica chirurgica standard per coprire le radici esposte.
Abbiamo misurato un sacco di cose: il tempo impiegato per l’intervento, vari parametri parodontali (come la profondità della recessione, l’ampiezza del tessuto cheratinizzato, lo spessore gengivale) e abbiamo anche chiesto ai pazienti come si sentivano, valutando il comfort post-operatorio e l’estetica. Ma la vera chicca è stata l’analisi istologica: abbiamo usato una tecnica chiamata “citologia per impronta” per andare a caccia dei residui epiteliali sugli innesti. In pratica, abbiamo “timbrato” delle speciali lastrine adesive sulla superficie dell’innesto prima e dopo la de-epitelizzazione per contare quante cellule epiteliali fossero rimaste.
Per la de-epitelizzazione intra-orale (ioDE), abbiamo usato un coltello di Kirkland, uno strumento parodontale comune, maneggevole e poco costoso, che si adatta bene all’anatomia del palato. L’idea era di vedere se questo strumento potesse offrire buoni risultati, magari anche più velocemente di altri metodi come il laser, che richiedono attrezzature specifiche.

Risultati Clinici: Un Pareggio Sorprendente?
Ebbene, dopo 12 mesi di osservazione, cosa abbiamo scoperto? Dal punto di vista dei risultati clinici, le due tecniche si sono dimostrate praticamente equivalenti! Non c’erano differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda la copertura della radice, l’aumento di tessuto cheratinizzato o lo spessore gengivale. Anche i risultati estetici sono stati giudicati simili in entrambi i gruppi. Questo è un dato importante, perché ci dice che, clinicamente parlando, entrambe le strade portano a Roma, o meglio, a un bel sorriso!
Tutti i parametri parodontali sono migliorati significativamente in entrambi i gruppi durante il follow-up, il che è fantastico. La percentuale media di copertura della radice è stata del 76.9% per il gruppo eoDE e dell’80.1% per il gruppo ioDE, una differenza non statisticamente rilevante. Abbiamo ottenuto una copertura completa della radice nel 35% dei casi con eoDE e nel 65% con ioDE, anche qui senza una differenza significativa che ci permettesse di incoronare un vincitore assoluto, sebbene ci sia un trend a favore dell’ioDE per la copertura completa.
Tempo alla Poltrona e Comfort: Qui le Cose Cambiano
Una differenza interessante, però, l’abbiamo trovata: il tempo chirurgico. La tecnica ioDE si è rivelata significativamente più rapida, con una media di circa 34 minuti contro i 38 del gruppo eoDE. Quattro minuti possono non sembrare un’eternità, ma per il paziente (e anche per l’operatore!) possono fare la differenza in termini di comfort. E parlando di comfort, il fastidio post-operatorio nella zona donatrice (il palato) è scomparso prima nel gruppo ioDE (dopo la seconda settimana) rispetto al gruppo eoDE (terza settimana). Questo potrebbe essere legato al fatto che con la tecnica eoDE la sutura del sito donatore avviene un po’ più tardi, dopo aver “lavorato” l’innesto fuori dalla bocca.
Un altro dato interessante riguarda la profondità vestibolare (lo spazio tra la gengiva e la guancia/labbro). Nel gruppo ioDE c’è stato un aumento più marcato di questa profondità rispetto al gruppo eoDE. Questo potrebbe essere un vantaggio a lungo termine, forse dovuto a una minore contrazione dell’innesto grazie alla più breve interruzione dell’apporto sanguigno.
E i Residui Epiteliali? La Lente d’Ingrandimento della Scienza
Passiamo ora all’analisi istologica, quella che ci diceva quanto “pulito” fosse l’innesto. Qui, la tecnica eoDE si è dimostrata più efficace nel rimuovere le lamelle di cheratina (lo strato più superficiale dell’epitelio). Questo non ci ha sorpreso più di tanto: lavorando fuori dalla bocca e con una buona visuale, è più facile essere meticolosi. Con la tecnica ioDE, distinguere perfettamente l’epitelio dal connettivo sottostante, basandosi solo sul sanguinamento o sulla profondità di raschiamento, può essere più complicato.
Nonostante questa differenza nella quantità di cheratina residua, è fondamentale sottolineare una cosa: non abbiamo osservato alcuna complicazione a lungo termine dovuta a questi residui epiteliali in nessuno dei due gruppi. E, cosa ancora più importante, la quantità di residui epiteliali non ha influenzato i risultati clinici come la copertura della radice. Questo suggerisce che, anche se la tecnica ioDE può lasciare qualche cellula epiteliale in più, ciò non sembra tradursi in problemi clinici o estetici per il paziente, almeno nel periodo di osservazione del nostro studio.
È interessante notare che in circa l’85% dei campioni di entrambi i gruppi erano presenti dei residui epiteliali, anche se in piccola quantità. Questo ci dice che ottenere una de-epitelizzazione completa al 100% è davvero difficile con entrambe le metodiche, anche se si presta molta attenzione. La nostra tecnica di “citologia per impronta” potrebbe essere stata più sensibile nel rilevare queste cellule rispetto ad altri metodi usati in passato.

Quindi, Quale Tecnica Scegliere?
Alla luce dei nostri risultati, possiamo dire che sia la tecnica eoDE sia la ioDE sono valide ed efficaci nel trattamento delle recessioni gengivali quando combinate con un lembo avanzato coronalmente. Entrambe portano a risultati clinici ed estetici simili e migliorano significativamente i parametri parodontali.
La tecnica ioDE, soprattutto se eseguita con strumenti maneggevoli come il coltello di Kirkland, offre il vantaggio di un tempo chirurgico più breve e di un disagio post-operatorio che si risolve più rapidamente. Sebbene possa essere leggermente meno efficace nella rimozione completa dell’epitelio a livello microscopico, questo non sembra avere ripercussioni cliniche negative.
La tecnica eoDE, d’altro canto, permette una rimozione più accurata dell’epitelio, il che potrebbe essere preferibile in situazioni particolari o per operatori che danno priorità assoluta a questo aspetto istologico, pur richiedendo un po’ più di tempo.
In conclusione, la scelta tra le due tecniche potrebbe dipendere dalle preferenze dell’operatore, dalle caratteristiche specifiche del caso e, perché no, dal desiderio di ottimizzare il tempo alla poltrona e il comfort del paziente. Il nostro studio, utilizzando per la prima volta la citologia per impronta in questo contesto, aggiunge un tassello importante alla comprensione di queste procedure.
Certo, la ricerca non si ferma qui! Serviranno ulteriori studi, magari con valutazioni istologiche ancora più dettagliate e follow-up più lunghi, per definire con ancora più certezza quale sia la tecnica ottimale in ogni singola situazione. Ma per ora, possiamo dire che abbiamo due ottime frecce al nostro arco per combattere le recessioni gengivali e ridare ai nostri pazienti un sorriso sano e bello!
Fonte: Springer
