Immagine al microscopio di fibre muscolari respiratorie (diaframma o intercostali) post-mortem. Sezione istologica colorata (ematossilina-eosina) che mostra la struttura delle fibre, nuclei cellulari e tessuto connettivo. Obiettivo macro 60mm, alta definizione, illuminazione controllata da laboratorio per evidenziare i dettagli cellulari, contesto di ricerca patologica legata a COVID-19 e degenerazione muscolare.

COVID e Muscoli Respiratori: Età e BMI Più Decisivi del Virus?

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel cuore della ricerca medica, un viaggio che ci ha portato a guardare il COVID-19 da una prospettiva un po’ diversa. Ricordate i giorni bui della pandemia, quando l’attenzione era tutta sui polmoni, sulla difficoltà a respirare, sulle terapie intensive? Ecco, anche noi ricercatori eravamo lì, a cercare di capire ogni sfaccettatura di questa malattia. E una domanda ci frullava in testa: oltre ai polmoni, cosa succede ai muscoli che ci permettono di respirare, come il diaframma e i muscoli intercostali, durante un’infezione acuta da COVID-19?

L’ipotesi iniziale: il virus attacca i muscoli?

Partiamo da un presupposto logico: il COVID-19 colpisce duramente l’apparato respiratorio. Molti pazienti, soprattutto anziani o con altre patologie, finiscono per avere un’insufficienza respiratoria. Ci siamo chiesti se, oltre al danno polmonare diretto, ci fosse anche un coinvolgimento dei muscoli respiratori. Si parlava di possibili effetti a lungo termine, di una debolezza muscolare persistente (quella che in gergo chiamiamo degenerazione muscolare respiratoria o RMD). L’idea era che forse il virus stesso, o l’infiammazione scatenata, potesse danneggiare direttamente queste fibre muscolari, compromettendo la loro funzione e la capacità di recupero. Si ipotizzavano vari meccanismi:

  • Disturbi nella trasmissione tra nervi e muscoli
  • Rilascio locale di citochine infiammatorie
  • Aumento del catabolismo muscolare (il muscolo si “mangia” da solo)
  • Vere e proprie miopatie (malattie muscolari)

Insomma, un quadro complesso. Ma c’era un aspetto che ci incuriosiva particolarmente: il ruolo delle cellule staminali presenti nel muscolo, le cosiddette cellule satelliti, che normalmente si attivano per riparare i danni e creare nuove fibre muscolari. Come reagivano queste cellule all’attacco del COVID-19? Potevano essere una chiave per nuove terapie mirate a rigenerare i muscoli respiratori?

L’indagine al microscopio: cosa abbiamo cercato?

Per rispondere a queste domande, abbiamo intrapreso uno studio istopatologico, che tradotto significa: siamo andati a vedere i tessuti muscolari al microscopio. Abbiamo analizzato campioni di muscoli intercostali e diaframma prelevati post-mortem da pazienti deceduti a causa del COVID-19 (li chiameremo gruppo CI-positivo) e li abbiamo confrontati con campioni di pazienti deceduti per altre cause (gruppo CI-negativo). L’obiettivo era cercare differenze specifiche legate all’infezione.

Cosa cercavamo esattamente? Abbiamo usato delle “etichette” speciali (anticorpi in immunoistochimica) per evidenziare diversi marcatori chiave:

  • Stress ossidativo: Molecole come ALDH1 A1, ALDH1 A3, SelK, che indicano se le cellule sono sotto attacco da radicali liberi.
  • Infiammazione: Citochine come IL-1 e IL-6, i “messaggeri” del sistema immunitario che segnalano un’infiammazione in corso.
  • Attività delle cellule satelliti: Marcatori come CD56 e Pax7, che ci dicono quante cellule staminali ci sono e se sono attive nel processo di rigenerazione.
  • Invecchiamento cellulare (senescenza): Il marcatore GLB-1, che indica se le cellule stanno invecchiando precocemente.
  • Composizione delle fibre muscolari: Abbiamo distinto tra fibre di tipo “lento” (Myosin ST, resistenti alla fatica) e “veloce” (Myosin FT, per sforzi rapidi), per vedere se l’infezione alterava questo equilibrio.

Oltre allo stato di infezione (CI-positivo vs CI-negativo), abbiamo considerato anche altri fattori che potevano influenzare la salute muscolare: l’età dei pazienti, il loro indice di massa corporea (BMI), il sesso, se erano stati sottoposti a ventilazione meccanica e la durata della loro degenza ospedaliera (indice di immobilità).

Microscopio ottico in un laboratorio di patologia, con vetrini istologici di tessuto muscolare visibili su un tavolino motorizzato. Luce controllata e focalizzata sui vetrini colorati con ematossilina-eosina. Obiettivo macro 100mm, alta definizione dei dettagli delle fibre muscolari e dei nuclei cellulari.

La scoperta sorprendente: non è (solo) colpa del COVID!

E qui arriva il bello, la parte che ci ha fatto davvero riflettere. Contrariamente alle nostre aspettative iniziali, analizzando i dati complessivi, non abbiamo trovato una correlazione diretta e significativa tra l’infezione da COVID-19 e la maggior parte dei marcatori di danno muscolare che abbiamo studiato. Stress ossidativo, infiammazione, senescenza cellulare, composizione delle fibre… i valori medi non erano statisticamente diversi tra il gruppo CI-positivo e quello CI-negativo.

Un momento. Ma allora tutte le ipotesi sul danno diretto del virus ai muscoli? Sembrava che la realtà fosse più complessa. L’unica differenza emersa, e solo dopo aver “aggiustato” i dati per età e sesso, riguardava le cellule satelliti: i pazienti CI-positivi mostravano un numero leggermente maggiore di cellule Pax7-positive, quelle che indicano un tentativo di rigenerazione muscolare. Questo potrebbe suggerire che sì, il muscolo “sente” l’infezione e prova a reagire attivando le sue riserve staminali, ma questo non si traduceva, almeno a livello istopatologico visibile al nostro microscopio, in un quadro generale di danno significativamente peggiore rispetto ai controlli per gli altri marcatori esaminati.

Certo, dobbiamo essere onesti sui limiti del nostro studio: il numero di pazienti non era enorme, alcune informazioni cliniche erano incomplete (come il numero di vaccinazioni anti-COVID, che non abbiamo potuto analizzare a fondo), e non avevamo campioni adatti per analisi molecolari più approfondite, che magari avrebbero rivelato differenze più sottili. Forse con tecniche più avanzate, come la microscopia elettronica, avremmo visto alterazioni ultrastrutturali, come riportato in altri studi su pazienti con Long-COVID.

Ma allora, cosa danneggia davvero i muscoli respiratori?

Se il COVID-19 acuto, da solo, non sembrava essere il principale motore del danno muscolare osservato (almeno con i nostri metodi), quali altri fattori entravano in gioco? Analizzando i dati incrociati con le informazioni cliniche e anagrafiche dei pazienti, sono emerse correlazioni molto più forti e interessanti, indipendentemente dallo stato di infezione:

* L’Età Conta Eccome: I pazienti più anziani mostravano livelli significativamente più alti di stress ossidativo (p=0.001) e di senescenza cellulare (p=0.027) nei loro muscoli respiratori. L’invecchiamento, quindi, rende i muscoli più vulnerabili di per sé.
* Il Peso Fa la Differenza (soprattutto negli Intercostali): Il BMI ha mostrato un impatto notevole, in particolare sui muscoli intercostali. Pazienti con BMI più elevato avevano:
* Una ridotta capacità antiossidante (meno cellule positive per ALDH1 A1, p=0.054).
* Un numero inferiore di cellule satelliti CD56-positive (p=0.024), suggerendo una minor capacità rigenerativa.
* Curiosamente, livelli più bassi del marcatore infiammatorio IL-6 rispetto a pazienti con BMI più basso (p=0.035). Questo è un dato da approfondire, ma sottolinea come l’obesità rimodelli profondamente il tessuto muscolare. Sembra che i muscoli intercostali siano particolarmente sensibili agli effetti del peso corporeo.
* L’Immobilità Trasforma le Fibre: La durata della degenza ospedaliera, un chiaro indicatore di immobilità prolungata, è risultata correlata negativamente con il numero di fibre muscolari di tipo veloce (Myosin FT) (p=0.034). In pratica, stare a letto a lungo porta a una perdita o trasformazione di questo tipo di fibre nei muscoli respiratori. Questo conferma quanto già si sapeva: l’immobilità è un nemico giurato dei muscoli, anche di quelli che ci servono per respirare.

Un’altra cosa interessante: lo stato di ventilazione meccanica, che spesso si associa a debolezza muscolare acquisita in terapia intensiva, nel nostro campione non è risultato correlato né allo stato di infezione da COVID-19, né a particolari comorbilità polmonari, né ai marcatori di RMD che abbiamo analizzato.

Immagine concettuale fotorealistica: silhouette di una persona anziana su una sedia a rotelle accanto a un letto d'ospedale, con l'ombra che proietta la forma di un grafico a barre che indica correlazioni tra età, BMI e immobilità. Luce laterale drammatica, profondità di campo che sfoca lo sfondo ospedaliero. Obiettivo 35mm, toni duo blu e grigio.

Cosa ci portiamo a casa da questo studio?

La faccio breve: la degenerazione dei muscoli respiratori (RMD) è una faccenda complessa. Il nostro studio suggerisce che, almeno nella fase acuta dell’infezione da COVID-19, fattori come l’età avanzata, un BMI elevato e l’immobilità prolungata giocano un ruolo probabilmente più determinante del virus stesso nel definire lo stato di salute di questi muscoli, almeno per quanto riguarda i marcatori che abbiamo potuto osservare.

Questo non significa che il COVID-19 sia innocuo per i muscoli, anzi, il leggero aumento delle cellule staminali attivate suggerisce che una qualche forma di stress o danno indotto dal virus (o dalla risposta sistemica ad esso) ci sia. Ma il messaggio chiave è che non possiamo guardare solo al virus. Dobbiamo considerare il paziente nella sua interezza: la sua età, il suo peso, quanto tempo è rimasto immobilizzato.

Questi risultati hanno implicazioni cliniche importanti. Identificare i pazienti più a rischio di RMD (anziani, obesi, lungodegenti) è fondamentale per poter intervenire precocemente, magari con terapie respiratorie mirate o programmi di mobilizzazione precoce. Il fatto che i muscoli intercostali sembrino particolarmente sensibili al BMI suggerisce che potrebbero essere un bersaglio specifico per interventi riabilitativi in pazienti sovrappeso o obesi. Inoltre, la trasformazione delle fibre muscolari legata all’immobilità sottolinea l’importanza cruciale della fisioterapia per contrastare il decondizionamento muscolare, anche nei pazienti ricoverati per COVID-19.

Insomma, la ricerca continua. Serviranno studi più ampi, con analisi molecolari e dati clinici più completi, per dipanare completamente questa matassa. Ma per ora, abbiamo aggiunto un tassello importante: quando parliamo di difficoltà respiratorie post-COVID, non dimentichiamoci dei muscoli, e ricordiamoci che la loro salute dipende da un delicato equilibrio in cui età, peso e movimento giocano un ruolo da protagonisti, forse anche più del virus stesso.

Fonte: Springer

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