Fotografia simbolica: una mano anziana e fragile tenuta con cura da una mano più giovane con guanto medico in un ambiente ospedaliero luminoso ma intimo, prime lens 35mm, depth of field, toni caldi, rappresenta la compassione e il supporto nelle cure palliative generali.

Cure Palliative in Ospedale: Missione Possibile? La Nostra Ricerca sul Campo

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me dietro le quinte di un tema tanto delicato quanto fondamentale: le cure palliative generali (GPC) in ospedale. Spesso pensiamo all’ospedale come al luogo dove si combatte per la vita a tutti i costi, ma c’è anche un’altra faccia della medaglia: accompagnare chi si avvicina alla fine del percorso nel modo più dignitoso e confortevole possibile. È un equilibrio difficile, quasi un paradosso, come sottolineava già Cicely Saunders, la pioniera degli hospice moderni.

Le cure palliative generali non sono quelle super specialistiche degli hospice o dei reparti dedicati, ma quelle che ogni professionista sanitario dovrebbe poter integrare nel proprio lavoro quotidiano, in qualsiasi reparto ci si trovi. Sembra semplice a dirsi, ma la realtà è ben più complessa.

La Sfida Iniziale: Un Approccio Frammentato

Quando abbiamo iniziato a indagare in un grande ospedale universitario danese, ci siamo subito resi conto di quanto fosse complicato. Immaginate un’orchestra senza spartito né direttore: tanti musicisti bravi, ma ognuno suona un po’ per conto suo. Ecco, la situazione delle GPC era simile. Mancava una struttura standardizzata: chi fa cosa? Quando è il momento giusto per parlare di fine vita? Come identificare sistematicamente i bisogni dei pazienti?

Abbiamo intervistato 64 persone tra dirigenti e personale di 24 reparti diversi. È emerso un quadro chiaro: le GPC erano spesso affidate alla buona volontà di singoli “appassionati” in modo sporadico, quasi “artigianale”. Gli strumenti per valutare i bisogni dei pazienti (come scale del dolore o questionari specifici) esistevano, ma venivano usati poco e male, quasi solo per i malati terminali, quando invece le linee guida internazionali dicono chiaramente che bisogna pensarci prima.

“La sfida più grande è che le cure palliative competono con tutte le altre cose che dobbiamo fare”, ci ha detto un cardiologo. E come dargli torto? Nella frenesia quotidiana di un reparto, trovare il tempo e il modo per affrontare questi temi è un vero rompicapo. Mancava un approccio sistematico, e questo, secondo la stessa direzione ospedaliera, era il motivo principale per cui avevano deciso di lanciare un’iniziativa congiunta per migliorare le cose.

Mettere in Moto il Cambiamento: La Nostra Ricerca-Azione

Per affrontare questa complessità, abbiamo scelto un approccio di ricerca-azione. Non siamo rimasti a guardare da fuori, ma ci siamo messi “le mani in pasta” insieme al personale dell’ospedale. In pratica, abbiamo seguito un ciclo:

  1. Identificare il problema: Le interviste iniziali di cui vi ho parlato.
  2. Pianificare e agire: Basandoci sui bisogni emersi, abbiamo sviluppato e tenuto workshop formativi in 14 reparti. Non volevamo imporre soluzioni dall’alto, ma stimolare ogni reparto a creare un proprio piano d’azione.
  3. Valutare: Dopo circa un anno, siamo tornati a intervistare 27 persone da 16 reparti per capire cosa fosse cambiato, cosa avesse funzionato e cosa no.

Questo processo ciclico ci ha permesso di imparare e aggiustare il tiro man mano, creando una cultura di miglioramento continuo. Il nostro focus non era tanto valutare i singoli workshop, quanto capire gli ostacoli e i facilitatori a livello organizzativo nel tentativo di rafforzare le GPC in tutto l’ospedale.

Fotografia di un corridoio d'ospedale moderno ma leggermente cupo, vuoto, luce soffusa da una finestra in fondo, prime lens 35mm, depth of field, duotone blu e grigio, simboleggia la complessità e la solitudine potenziale delle cure palliative.

Ostacoli sul Percorso: Cosa Rende Difficile Potenziare le Cure Palliative

Durante questo viaggio, abbiamo incontrato parecchie salite. Gli ostacoli principali che abbiamo identificato riguardano soprattutto la collaborazione e l’integrazione.

  • Collaborazione interdisciplinare zoppicante: Sebbene tutti riconoscessero l’importanza di lavorare insieme, farlo davvero era un’altra storia. Abbiamo notato discrepanze nelle decisioni tra infermieri e medici. “La sfida più grande è raggiungere un consenso interdisciplinare, perché non sempre infermieri e medici sono d’accordo”, ci ha confidato un altro cardiologo. Coinvolgere attivamente i medici nelle GPC si è rivelato particolarmente difficile; spesso erano gli infermieri i più entusiasti.
  • Diffusione della conoscenza a macchia di leopardo: Come assicurarsi che tutti i professionisti coinvolti abbiano le competenze e la sensibilità necessarie? La conoscenza rimaneva spesso confinata a pochi “esperti” o figure di riferimento, rendendo il sistema vulnerabile.
  • Responsabilità decisionali poco chiare: Chi prende la decisione finale sul livello di trattamento, specialmente in situazioni complesse come quelle del pronto soccorso? Il personale del pronto soccorso si sentiva molto dipendente dalle decisioni prese (o non prese) negli altri reparti prima dell’arrivo del paziente.
  • Il ruolo “scomodo” dei reparti paraclinici: Qui abbiamo scoperto un mondo. Immaginate essere un tecnico di laboratorio o un radiologo e dover fare prelievi o esami invasivi a pazienti chiaramente morenti. Molti professionisti di questi reparti (biochimica clinica, radiologia) ci hanno espresso il loro disagio etico, la sensazione di “violare” momenti intimi e preziosi per il paziente e la famiglia, spesso per esami dal dubbio beneficio clinico in quella fase. Si sentivano privi di voce nel processo decisionale. “A volte sembra che serva un ultimo esame prima di poter ‘lasciar morire’ un paziente”, ci ha detto con amara ironia un radiologo, parlando di “San PETer”, un gioco di parole sulla PET.
  • Pressioni esterne: Non dimentichiamo il contesto. Durante il nostro studio, l’ospedale stava affrontando fusioni e tagli di budget significativi. Questo, unito alla pressione operativa quotidiana, rendeva difficile trovare tempo e risorse per le nuove iniziative GPC. “L’operatività quotidiana inghiotte tutto”, era il lamento comune.

Luci nel Tunnel: Cosa Facilita il Cambiamento

Ma non è tutto nero! Abbiamo anche identificato diversi fattori che hanno aiutato a spingere nella giusta direzione, dei veri e propri facilitatori.

  • Figure di riferimento dedicate (Resource Persons): Nei reparti dove erano state nominate persone specifiche come referenti per le GPC, abbiamo visto una differenza significativa. Queste figure agivano da catalizzatori, da modelli, diffondendo conoscenze e promuovendo la collaborazione. Certo, come dicevamo, questo può creare vulnerabilità se tutto dipende da pochi individui, ma è un inizio importante.
  • Maggiore consapevolezza: Nel corso del progetto, abbiamo notato un netto aumento della consapevolezza sull’importanza delle GPC in quasi tutti i reparti. “C’è stata una maggiore attenzione ai pazienti palliativi, specialmente dopo il workshop”, ci hanno detto da un reparto chirurgico. Questo è stato fondamentale.
  • Supporto della leadership: L’iniziativa è partita dalla direzione ospedaliera (top-down), rispondendo però a un bisogno sentito da tempo alla base (bottom-up). Questo doppio binario è stato potentissimo. Il management ha comunicato chiaramente l’importanza del progetto, e questo ha dato legittimità e spinta agli sforzi dei reparti.
  • Iniziative locali: Molti reparti hanno iniziato a muoversi autonomamente, creando gruppi GPC interni, lanciando progetti sulla pianificazione anticipata delle cure (Advance Care Planning – ACP) o sullo Shared Decision Making (decisioni condivise). Questo dimostra un coinvolgimento attivo e la volontà di adattare le GPC al proprio contesto specifico.
  • Coinvolgimento crescente dei reparti paraclinici: Nonostante le difficoltà iniziali, anche i reparti paraclinici hanno mostrato grande entusiasmo nel partecipare al progetto e ai workshop. Piccoli gesti, come mettere cartelli fuori dalle stanze dei pazienti terminali per facilitare la comunicazione con il personale di reparto, sono stati visti come passi importanti verso una maggiore collaborazione.

Macro fotografia, 100mm macro lens, di mani diverse (medico, infermiere, tecnico di laboratorio riconoscibili dalle divise o strumenti) che si incontrano delicatamente sopra una cartella clinica aperta, high detail, precise focusing, controlled lighting, simboleggia la collaborazione interdisciplinare necessaria.

Il Ruolo Cruciale (e Spesso Ignorato) dei Reparti Paraclinici

Voglio tornare un attimo sui reparti paraclinici, perché credo sia uno degli aspetti più interessanti e meno esplorati emersi dalla nostra ricerca. Il loro disagio etico non è solo un problema individuale, ma un sintomo di una mancata integrazione nel percorso di cura palliativa. Includerli attivamente nelle discussioni potrebbe non solo alleviare il loro stress morale, ma anche portare benefici concreti: potrebbero aiutare a identificare precocemente complicazioni, evitare esami inutili e migliorare l’efficienza generale.

Pensate alla teoria del Coordinamento Relazionale di Gittell: la collaborazione efficace si basa su obiettivi condivisi, conoscenza reciproca e rispetto mutuo. Ecco, questo è esattamente ciò che serve tra reparti clinici e paraclinici. Devono parlarsi, capire le reciproche sfide e lavorare insieme per il benessere del paziente, bilanciando protocolli e umanità.

Guardando Avanti: Cosa Abbiamo Imparato e Prossimi Passi

Cosa ci portiamo a casa da questa esperienza? Che potenziare le cure palliative generali in un ospedale è un processo complesso e continuo, non un progetto con un inizio e una fine. Richiede uno sforzo costante per migliorare la collaborazione tra discipline diverse (medici, infermieri, tecnici, tutti!), per chiarire ruoli e responsabilità, e per diffondere conoscenze e competenze.

È fondamentale superare la frammentazione, sia interna all’ospedale sia verso l’esterno (medici di base, cure domiciliari, hospice). La collaborazione intersettoriale è un altro nodo cruciale per garantire continuità al paziente.

Il nostro lavoro di ricerca-azione non finisce qui. Stiamo già pianificando il prossimo ciclo, coinvolgendo ancora di più tutti gli attori. L’idea è di potenziare le figure di riferimento per le GPC in tutti i reparti e creare un centro dedicato che definisca standard minimi e promuova lo sviluppo continuo.

La strada è ancora lunga e le sfide non mancano (soprattutto in contesti di risorse limitate), ma la crescente consapevolezza e le iniziative nate “dal basso” ci danno speranza. Serve un impegno sostenuto a tutti i livelli, dalla direzione ai singoli professionisti, per far sì che l’ospedale diventi davvero un luogo dove si cura la vita fino all’ultimo istante, con competenza e compassione.

Fotografia di un gruppo eterogeneo di professionisti sanitari (medici, infermieri, personale paraclinico) in una sala riunioni luminosa, sorridenti e impegnati in una discussione costruttiva attorno a un tavolo, zoom lens 24mm, luce naturale, atmosfera positiva e collaborativa.

Insomma, la missione non è impossibile, ma richiede visione, impegno e, soprattutto, la volontà di remare tutti nella stessa direzione. Spero che questa condivisione della nostra esperienza possa essere utile anche ad altre realtà che stanno affrontando sfide simili.

Fonte: Springer

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