La Cultura che Cura: Quando l’Arte Diventa la Tua Migliore Medicina!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, ne sono convinta, ha un potenziale enorme per migliorare la nostra vita: la prescrizione sociale di opportunità culturali. Sì, avete capito bene! Immaginate di andare dal medico perché vi sentite un po’ giù, stressati o soli, e invece (o in aggiunta) a una pillola, vi venisse “prescritto” di partecipare a un corso di pittura, unirvi a un gruppo di lettura, visitare un museo o magari fare una bella passeggiata in un parco storico. Fantascienza? Assolutamente no!
C’è un crescente numero di prove scientifiche che dimostra come immergersi nella cultura – e qui intendo cultura in senso larghissimo, dalle arti creative al digitale, dal patrimonio storico al cibo, dalla natura allo sport – possa avere un impatto potentissimo sulla nostra salute e sul nostro benessere. Pensateci un attimo: quante volte vi siete sentiti meglio dopo aver ascoltato la vostra musica preferita, aver letto un buon libro o aver passato del tempo immersi nella bellezza di un’opera d’arte o di un paesaggio naturale?
Ma cos’è esattamente questa “Prescrizione Sociale”?
La prescrizione sociale è un meccanismo fantastico che cerca di colmare il divario tra il mondo della sanità e quello delle risorse comunitarie. In pratica, permette a figure di fiducia, sia in ambito clinico che comunitario, di identificare bisogni sociali non strettamente medici di una persona e di connetterla a supporti e servizi non clinici presenti sul territorio. Si tratta di co-produrre una “ricetta” non medica per migliorare la salute, il benessere e rafforzare i legami con la comunità. È un approccio che mette al centro la persona, i suoi interessi e ciò che per lei è importante.
Nel Regno Unito, ad esempio, la prescrizione sociale è diventata una componente chiave della cura personalizzata, con investimenti significativi in figure come i “social prescribing link workers” (operatori di collegamento per la prescrizione sociale) e la nascita della National Academy for Social Prescribing. L’idea è quella di spostare l’attenzione da un modello basato solo sul deficit (malattia, deprivazione) a uno che valorizza le risorse e le capacità individuali e comunitarie, il cosiddetto Asset Based Community Development (ABCD). Invece di chiederci solo “cosa c’è che non va?”, iniziamo a chiederci “quali sono i punti di forza e le risorse che possiamo mobilitare?”.
L’Importanza del Linguaggio, del Coinvolgimento e dell’Inclusione
Recentemente, ho letto con grande interesse uno studio condotto nell’Est dell’Inghilterra (nella zona di Chelmsford, per la precisione) che ha esplorato proprio come le opportunità culturali vengono “prescritte” a livello locale e come si potrebbe rafforzare questo sistema. E sapete cosa è emerso con forza? Tre parole chiave: linguaggio, coinvolgimento e inclusione.
Parliamoci chiaro: se non usiamo le parole giuste, se non ci capiamo, come possiamo sperare che le persone si avvicinino a queste opportunità? Lo studio ha evidenziato che spesso c’è confusione su cosa sia effettivamente la prescrizione sociale. Alcuni professionisti sanitari non ne conoscono appieno il potenziale, e molti cittadini non sanno nemmeno che esiste! A volte, la stessa parola “prescrizione” può suonare un po’ troppo medica e allontanare, invece di avvicinare. Forse servirebbe un termine più accattivante o una bella campagna informativa per far capire i benefici di “curarsi” con la cultura.

E poi c’è il coinvolgimento della comunità. Non si può pensare di calare dall’alto soluzioni preconfezionate. È fondamentale ascoltare le persone, capire cosa vogliono, quali sono i loro interessi, quali attività culturali li farebbero sentire meglio. Lo studio suggerisce che per coinvolgere davvero le comunità locali, servono strategie di outreach proattive. Bisogna coinvolgere i leader della comunità, gli organizzatori, i “connettori” sociali, i rappresentanti dei vari gruppi. E perché non rendere i membri della comunità stessi protagonisti, attraverso il volontariato, tirocini per studenti, opportunità di formazione o schemi di “buddy” (amici di supporto)?
Abbattere le Barriere: Nessuno Deve Rimanere Indietro
L’inclusione è l’altro pilastro fondamentale. Dobbiamo chiederci: queste opportunità culturali sono davvero accessibili a tutti? Pensiamo alle persone con disabilità fisiche o bisogni educativi speciali, a chi soffre di problemi di salute mentale, agli anziani fragili, a chi vive in isolamento sociale, ai rifugiati e richiedenti asilo, alle persone appartenenti a minoranze etniche. Spesso queste persone affrontano ostacoli enormi:
- Barriere linguistiche: non tutti parlano la lingua dominante o sanno leggere.
- Accessibilità fisica: i luoghi sono attrezzati?
- Costi: anche se l’attività è gratuita, c’è il costo del trasporto, il tempo. E con la crisi del costo della vita, questo è un problema per molti.
- Paura del giudizio, non sentirsi rappresentati o al sicuro.
- Mancanza di fiducia in sé stessi.
Lo studio ha messo in luce come sia cruciale offrire supporto specifico. Ad esempio, un “Outreach Officer” pagato per aiutare le persone ad accedere alle opportunità culturali, oppure il supporto di leader comunitari per i rifugiati, schemi di amicizia, supporto linguistico, informazioni chiare sull’accessibilità. A volte, non basta “indicare la strada”, ma bisogna letteralmente “accompagnare” le persone, almeno all’inizio. E non dimentichiamoci dei caregiver, che spesso hanno bisogno di supporto e opportunità di respiro per poter, a loro volta, facilitare la partecipazione dei loro cari.
I giovani, ad esempio, hanno sottolineato l’importanza della rappresentanza: vedere persone come loro incluse nelle attività culturali è fondamentale. Una partecipante allo studio ha raccontato come, avendo una condizione di salute grave e un figlio con bisogni speciali, avesse bisogno di qualcuno che la accompagnasse anche solo per partecipare a un evento nel parco.
Cosa Possiamo Imparare e Fare?
Anche se questa ricerca specifica è stata condotta in una zona del Regno Unito, le sue conclusioni sono, a mio avviso, universalmente valide. Per far funzionare davvero la prescrizione sociale di cultura, dobbiamo:
- Creare una comprensione chiara e condivisa di cosa significhi “cultura per la salute” e come si colleghi alla prescrizione sociale. Usiamo esempi concreti!
- Affrontare le barriere linguistiche e comunicative: le informazioni devono essere accessibili e appropriate per pubblici diversi.
- Sviluppare strategie di coinvolgimento comunitario proattive: ascoltiamo e co-progettiamo con le persone.
- Garantire l’inclusione dei gruppi marginalizzati: servono supporti specifici e un’attenzione costante all’accessibilità.
- Pensare alla sostenibilità: i progetti culturali hanno bisogno di finanziamenti stabili e a lungo termine. Non si può accendere e spegnere l’entusiasmo a intermittenza.
- Rafforzare la collaborazione tra il settore sanitario, le organizzazioni culturali, il volontariato e le comunità stesse.

Mi ha colpito molto un esempio emerso dallo studio, quello del Recovery College locale, un centro educativo che aiuta le persone a gestire la salute mentale e il benessere. Lì, molti membri dello staff sono ex studenti che, dopo aver frequentato i corsi, sono diventati tutor o professionisti. Che splendido esempio di come le persone possano diventare modelli positivi e contribuire attivamente al benessere della propria comunità!
Insomma, la strada è tracciata. C’è bisogno di un impegno collettivo per far sì che la cultura diventi davvero uno strumento di salute e benessere alla portata di tutti. Dobbiamo assicurarci che chi opera nella prescrizione sociale conosca bene le offerte culturali del territorio e che il settore creativo sia preparato e supportato per “erogare” arte, creatività e cultura in modo sicuro ed efficace. E, soprattutto, dobbiamo continuare ad ascoltare le voci di tutti, dai professionisti ai cittadini, perché solo così potremo costruire un sistema che funzioni davvero.
Io credo fermamente che investire nella cultura come strumento di salute non sia una spesa, ma un investimento incredibilmente fruttuoso per il futuro delle nostre comunità. E voi, cosa ne pensate?
Fonte: Springer
