Tigray: Quando la Fame Diventa un’Arma – Voci da una Crisi Dimenticata
Ciao a tutti, sono qui oggi per parlarvi di una situazione che mi ha profondamente colpito e che merita molta più attenzione di quella che riceve: la crisi alimentare nel Tigray, in Etiopia. Ho letto uno studio recente che getta una luce cruda sulla realtà che le comunità locali stanno vivendo a causa del conflitto armato che ha devastato la regione per quasi due anni. E credetemi, i risultati sono un pugno nello stomaco.
Un Passato Diverso: Il Tigray Prima della Guerra
Prima che iniziasse questo incubo, il Tigray non era una terra afflitta dalla fame. Anzi, grazie all’agricoltura su piccola scala, alla produzione commerciale di sesamo, all’attività mineraria, alle industrie e ai programmi di sostegno sociale, la regione era considerata sostanzialmente sicura dal punto di vista alimentare. La gente viveva del proprio lavoro, che fosse nel commercio, nell’industria manifatturiera, o impiegata nel settore pubblico e privato. Sembra quasi un’altra epoca, vero?
Il Conflitto e l’Assedio: La Catastrofe Umanitaria
Poi è arrivata la guerra. E con essa, la distruzione. Mercati chiusi, infrastrutture danneggiate, vie di comunicazione interrotte. Ma non è finita qui. È stato imposto un vero e proprio assedio: blocco totale degli aiuti alimentari e medici, interruzione dei servizi bancari e dei trasporti, blackout delle comunicazioni. Immaginatevi di essere tagliati fuori dal mondo, senza accesso a cibo, acqua, cure mediche, senza poter ricevere nemmeno un aiuto economico dai parenti all’estero perché le banche non funzionano. È questo che la popolazione del Tigray ha dovuto e sta affrontando. Le Nazioni Unite stimano che circa tre milioni di tigrini abbiano bisogno di aiuti urgenti. Tre milioni di persone sull’orlo del baratro. I prezzi dei generi alimentari sono schizzati alle stelle, e il governo locale non aveva la capacità di controllarli. Una tempesta perfetta che ha portato a livelli di malnutrizione spaventosi, soprattutto tra i bambini. Pensate che durante il conflitto, la malnutrizione acuta grave nei bambini è arrivata al 6,1% e quella globale al 27,6%, cifre drammaticamente più alte rispetto al periodo pre-bellico. Addirittura, in alcune zone, si parla di tassi di malnutrizione acuta tra il 23,8% e il 34,3%, livelli che corrispondono alla fase 5 dell’IPC, ovvero “carestia”. Carestia. Una parola che non dovremmo più sentire nel XXI secolo.

Lo Studio: Uno Sguardo da Vicino alla Sopravvivenza
Proprio per capire meglio come le persone stessero cercando di sopravvivere in questa situazione disperata, è stato condotto uno studio specifico nella città di Mekelle, la capitale del Tigray. Tra maggio e giugno 2022, i ricercatori hanno intervistato 310 famiglie, scelte casualmente tra i sette sotto-distretti della città. Hanno raccolto dati sulle loro condizioni socio-demografiche, sulla situazione alimentare, sulle fonti di sostentamento prima e durante l’assedio, e soprattutto, sulle strategie adottate per tirare avanti. Mekelle è stata scelta per motivi di accessibilità, dato che raggiungere altre zone era quasi impossibile a causa del conflitto e dell’assedio, ma è chiaro che l’impatto della guerra si è fatto sentire ovunque nella regione.
Risultati Scioccanti: La Fame Dilaga
I risultati dello studio sono allarmanti. Preparatevi: ben l’87% delle famiglie intervistate ha dichiarato di aver sofferto la carenza di cibo durante l’assedio. Quasi nove famiglie su dieci. Un dato che fa venire i brividi e che conferma quanto riportato anche dal Programma Alimentare Mondiale (WFP) per la zona orientale del Tigray. La maggior parte delle fonti di sostentamento pre-guerra è semplicemente svanita. Il 69% delle famiglie ha perso il proprio mezzo di sussistenza e dipende ora dagli aiuti umanitari (quando arrivano). Molti ex dipendenti pubblici si sono ritrovati a vendere per strada per racimolare qualcosa. Chi lavorava nel settore privato non riceveva stipendio perché le banche erano bloccate. Una paralisi economica totale.
Strategie di Sopravvivenza: Stringere la Cinghia Fino all’Inverosimile
Di fronte a questa carestia indotta, cosa potevano fare le persone? Hanno dovuto adottare misure disperate, quelle che in gergo tecnico vengono chiamate “strategie di coping basate sul consumo”. E sono strategie che spezzano il cuore:
- Ridurre le porzioni dei pasti: Lo ha fatto il 32,6% delle famiglie. Meno cibo nel piatto per tutti.
- Abbassare la qualità del cibo o mangiare cibi meno graditi: Il 27,3% ha dovuto ripiegare su alimenti più poveri o che normalmente non avrebbero scelto.
- Saltare completamente i pasti: Quasi una famiglia su quattro (23,2%) è stata costretta a non mangiare per interi periodi.
- Mandare i bambini a mangiare da parenti: Il 38% ha dovuto fare questa scelta difficile, sperando che altrove ci fosse qualcosa in più per i più piccoli.
- Ridurre il cibo per gli adulti per darlo ai bambini: Il 14% degli adulti ha sacrificato il proprio pasto per i figli.

Le testimonianze raccolte nello studio sono toccanti. Una donna sulla cinquantina racconta: “Prima della guerra, avevamo abbastanza per cibo, salute, scuola. Ora la guerra ha distrutto tutto. Siamo a mani vuote… Spesso passiamo la notte senza cibo. Riduciamo i pasti per gli adulti per salvare cibo per i bambini”. Un’altra donna, sulla trentina, il cui marito è andato a combattere, dice tra le lacrime: “Non riesco a dare da mangiare ai miei figli. Abbiamo passato molti giorni senza pasti. A volte mangiamo una volta al giorno. Guardate la mia faccia e i miei figli; potete vedere chiaramente la situazione in cui ci troviamo”.
Misurare la Disperazione: L’Indice rCSI
Per quantificare la gravità di queste strategie, i ricercatori hanno usato un indicatore chiamato “Reduced Coping Strategy Index” (rCSI). In pratica, più alto è il punteggio rCSI, più grave è la situazione di insicurezza alimentare di una famiglia. Ebbene, lo studio ha mostrato che le famiglie costrette a saltare i pasti avevano un rCSI medio di 181,84, mentre quelle che non saltavano i pasti avevano un rCSI medio di soli 38,6. Una differenza enorme e statisticamente significativa, che conferma come saltare i pasti sia una strategia adottata solo quando la fame è davvero nera. Lo stesso vale per chi ha ridotto la qualità del cibo: rCSI medio di 152,4 contro 51,12 di chi non l’ha fatto.
Chi Soffre di Più?
L’analisi ha anche cercato di capire se ci fossero gruppi più vulnerabili. Emerge che le famiglie guidate da persone tra i 36 e i 45 anni e quelle con capifamiglia sopra i 65 anni sembrano essere le più colpite, con indici rCSI più alti. Anche le famiglie il cui capofamiglia è divorziato o separato mostrano una maggiore adozione di queste strategie disperate. Dal punto di vista lavorativo, chi dipendeva da lavori manuali, giornalieri o dalla pensione è risultato molto più vulnerabile rispetto a chi, magari, era coinvolto nel commercio all’ingrosso o al dettaglio, riuscendo forse a mantenere un minimo di attività.

Le Conseguenze sulla Salute: Una Bomba a Orologeria
Queste strategie di sopravvivenza, per quanto necessarie, hanno conseguenze devastanti sulla salute. Saltare i pasti significa non assumere le calorie minime necessarie (circa 2100 kcal per un adulto), portando dritti alla malnutrizione energetico-proteica. Ridurre la qualità del cibo, mangiando alimenti poco nutrienti e non diversificati, colpisce duramente le donne in età riproduttiva (che hanno bisogno di proteine, carboidrati, grassi specifici) e le madri incinte o che allattano. La mancanza di nutrienti essenziali, come gli acidi grassi polinsaturi, può compromettere lo sviluppo del feto. Non è un caso che uno studio citato riporti che il 61% delle donne incinte e che allattano nel Tigray colpito dalla guerra fosse gravemente malnutrito. Stiamo parlando di danni potenzialmente irreversibili per un’intera generazione.
Fame come Arma: Una Violazione Intollerabile
Ciò che rende questa crisi ancora più tragica è il sospetto, supportato da rapporti internazionali come quello della Commissione Internazionale di Esperti sui Diritti Umani in Etiopia delle Nazioni Unite, che la fame sia stata usata deliberatamente come arma di guerra. Il governo federale etiope è accusato di aver implementato misure sistematiche per privare la popolazione del Tigray di beni e servizi essenziali per la sopravvivenza: cibo, acqua, cure, riparo. Usare la fame come metodo di guerra è vietato dalle Convenzioni di Ginevra e dal diritto internazionale umanitario, che obbliga le potenze occupanti a garantire l’approvvigionamento della popolazione civile. È aberrante pensare che le differenze politiche possano portare a infliggere sofferenze così estreme a civili innocenti.
Cosa Fare? Un Appello Urgente
Di fronte a questo quadro drammatico, cosa si può fare? Lo studio è chiaro nelle sue raccomandazioni. C’è un bisogno disperato e immediato di aiuti umanitari mirati. In particolare, si suggerisce l’implementazione di programmi di “Blanket Supplementary Feeding”, ovvero la distribuzione preventiva di cibo supplementare a tutti i membri di gruppi a rischio (bambini piccoli, donne incinte e che allattano) per evitare un ulteriore deterioramento nutrizionale. È fondamentale distribuire razioni alimentari mirate per ridurre la malnutrizione acuta e la mortalità e per iniziare a gettare le basi per una ripresa. Ma non basta l’emergenza. Bisogna pensare anche al futuro: sostenere l’agricoltura locale, fornire aiuti finanziari, rafforzare la resilienza delle comunità e migliorare l’accesso ai mercati per ripristinare la sicurezza alimentare a lungo termine.
Questa non è solo una crisi alimentare, è una crisi umanitaria profonda, causata da un conflitto e aggravata da scelte politiche disumane. Non possiamo voltarci dall’altra parte. È necessario che la comunità internazionale mantenga alta l’attenzione e faccia pressione affinché gli aiuti arrivino senza ostacoli e si lavori per una soluzione pacifica e duratura. La vita di milioni di persone dipende da questo.
Fonte: Springer
