Credere nell’Aldilà? Le Radici Nascoste nell’Infanzia Svelate da uno Studio Globale
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che affascina l’umanità da millenni: la credenza nella vita dopo la morte. È una delle convinzioni spirituali più antiche e diffuse, presente in tantissime culture e religioni. Ma vi siete mai chiesti da dove nasca questa credenza? Cosa, nella nostra infanzia, potrebbe influenzare il fatto che da adulti crediamo o meno in un aldilà?
Mi sono imbattuto in uno studio scientifico davvero imponente, pubblicato su *Nature Scientific Reports*, che ha cercato di rispondere proprio a questa domanda. Pensate: hanno analizzato i dati di oltre 200.000 persone provenienti da ben 22 paesi diversi! Un lavoro mastodontico chiamato Global Flourishing Study (GFS). L’obiettivo? Scovare i “predittori infantili”, cioè quei fattori legati all’infanzia che possono prevedere se una persona crederà nella vita dopo la morte una volta diventata adulta.
Perché Interessa Capire le Radici di Questa Credenza?
Prima di tuffarci nei risultati, fermiamoci un attimo a riflettere sul perché sia importante studiare queste credenze. Non si tratta solo di curiosità accademica. Credere in un aldilà può avere effetti psicologici notevoli. Ad esempio, di fronte alla paura della morte – un’ansia piuttosto universale, direi – questa credenza sembra associata a una minore ansia e a una maggiore accettazione della nostra mortalità.
Pensate a chi ha perso una persona cara: l’idea di potersi riunire un giorno nell’aldilà è stata collegata a una riduzione dei sintomi depressivi e della rabbia. Inoltre, credere in una vita dopo la morte spesso si lega alla convinzione in un mondo giusto, piuttosto che cinico, e può portare a sentimenti di tranquillità, aiutando magari ad affrontare momenti difficili come le difficoltà economiche. Alcuni studi hanno persino trovato un legame inverso tra questa credenza e sintomi psichiatrici come ansia e depressione.
Certo, il quadro non è sempre rose e fiori. In alcuni contesti, come tra i malati terminali, il legame tra credenza nell’aldilà e minore disperazione svanisce se si considerano altri fattori come il senso della vita e la pace interiore. E non sempre questa credenza si traduce in maggiore felicità, specialmente in paesi molto secolarizzati.
Non dimentichiamo poi le implicazioni morali. La credenza in un aldilà, spesso legata a concetti di giudizio divino, ricompense e punizioni, può motivare comportamenti virtuosi e cooperativi. Pensate alle obiezioni morali al suicidio, spesso radicate nella paura di conseguenze negative nell’aldilà: possono essere un fattore protettivo. D’altro canto, la promessa di ricompense post-mortem può, in casi estremi e distorti, giustificare azioni terribili, come nel terrorismo suicida. Insomma, è un tema complesso con tante sfaccettature.

Il Fattore Chiave: La Pratica Religiosa da Ragazzi
Allora, cosa ha scoperto questo mega-studio? Quali fattori dell’infanzia sembrano pesare di più? Tenetevi forte: il predittore più forte e consistente emerso in quasi tutti i 22 paesi è stata la frequenza con cui si partecipava a funzioni religiose intorno ai 12 anni.
Rispetto a chi non frequentava mai luoghi di culto da ragazzino, la probabilità di credere nell’aldilà da adulto era significativamente più alta per chi partecipava:
- Meno di una volta al mese
- Da 1 a 3 volte al mese
- Almeno una volta alla settimana (questi ultimi mostravano l’associazione più forte)
Questo risultato è rimasto valido anche tenendo conto di altri fattori come età e genere, che spesso sono legati alla religiosità. È interessante notare che l’effetto della frequentazione settimanale sembrava ancora più marcato in paesi con bassi tassi generali di partecipazione religiosa (come Svezia, Israele, Hong Kong) rispetto a paesi dove la pratica è molto diffusa (come Sudafrica, Indonesia, India). Forse, dove la religione è meno “scontata” culturalmente, la pratica personale durante l’adolescenza lascia un’impronta ancora più profonda? O magari, frequentare assiduamente da piccoli è semplicemente un segno di essere cresciuti in una famiglia molto religiosa che ha trasmesso attivamente quei valori e quelle credenze.
Legami Inaspettati: Esperienze Difficili e Rapporti Familiari
Qui le cose si fanno ancora più intriganti. Lo studio ha trovato che anche alcune esperienze negative durante l’infanzia erano collegate a una maggiore probabilità di credere nell’aldilà da adulti. In particolare:
- Aver subito abusi fisici o sessuali durante l’infanzia.
- Essersi sentiti degli “outsider” nella propria famiglia durante la crescita.
L’effetto non era enorme, ma c’era. Come si spiega? Una possibile interpretazione è che di fronte a traumi o esperienze di profonda ingiustizia e sofferenza, le persone cerchino un senso, una speranza, una forma di giustizia che magari sentono irraggiungibile in questa vita. La credenza in un aldilà, spesso inserita in una cornice religiosa, potrebbe offrire proprio questo: una sorta di meccanismo di coping, una ricerca di significato e risoluzione.
Sul fronte delle relazioni familiari, è emerso un altro dato interessante: avere avuto un rapporto “molto buono” o “abbastanza buono” con la propria madre durante l’infanzia era associato a una maggiore probabilità di credere nell’aldilà. Per il rapporto con il padre, invece, l’associazione non è risultata significativa a livello globale. Questo risultato si allinea in parte con l’ipotesi della “trasmissione religiosa”, secondo cui i genitori (e forse le madri in particolare, in molti contesti) giocano un ruolo chiave nel trasmettere credenze e pratiche religiose ai figli.

Genere ed Età: Altri Pezzi del Puzzle
Lo studio ha confermato un dato spesso osservato: le donne tendono a credere nell’aldilà più degli uomini. Anche qui, l’effetto sembrava più pronunciato nei paesi meno religiosi (come Svezia, Australia, Giappone), suggerendo che le differenze di genere nella credenza nell’aldilà potrebbero essere più marcate in contesti secolarizzati.
Per quanto riguarda l’età (o meglio, l’anno di nascita, visto che si tratta di coorti), il quadro è più complesso e variegato. A livello globale, sembrava emergere una tendenza un po’ a “U rovesciata”: la credenza tende ad aumentare con l’età, forse raggiungendo un picco tra i 40-50 anni, per poi magari stabilizzarsi o iniziare a calare leggermente nelle fasce più anziane. Ma attenzione: questo trend globale nascondeva enormi differenze tra i paesi! In alcuni (es. Polonia, Kenya), gli anziani credevano di più; in altri (es. Giappone, Svezia), credevano di meno rispetto ai più giovani. Questo suggerisce che più che l’età in sé, potrebbero contare le esperienze storiche e culturali vissute dalle diverse generazioni (i cosiddetti “effetti coorte”).
Un Mondo di Differenze: Il Contesto Conta
E questo ci porta a un punto cruciale emerso dallo studio: l’enorme eterogeneità tra i paesi. Sebbene alcuni fattori (come la frequentazione religiosa a 12 anni) mostrassero una certa consistenza, per molti altri predittori (genere, esperienze di abuso, sentirsi outsider, età) le associazioni variavano parecchio da nazione a nazione, a volte andando persino in direzioni opposte!
Ad esempio, abbiamo visto che globalmente le donne credono di più, ma in Egitto, Tanzania e Nigeria è risultato il contrario. L’abuso infantile era legato a maggiore credenza in 7 paesi, ma a minore credenza in Kenya. Sentirsi outsider aumentava la credenza in Giappone e Spagna, ma la diminuiva negli Stati Uniti.
Questo cosa ci dice? Che non esiste una “ricetta” unica e universale. Il contesto socio-culturale, le tradizioni religiose dominanti, la storia di un paese… tutto questo modella profondamente il modo in cui le esperienze infantili si traducono (o non si traducono) in credenze adulte sull’aldilà.

Cosa Tenere a Mente (e Cosa Ci Aspetta)
Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. I dati sull’infanzia erano raccolti retrospettivamente, cioè chiedendo agli adulti di ricordare il loro passato. Questo può introdurre dei bias di memoria. Inoltre, non si possono escludere altri fattori non misurati (come certi tratti di personalità o stili cognitivi) che potrebbero influenzare sia le esperienze infantili ricordate sia la credenza nell’aldilà. Infine, misurare una credenza così complessa con una singola domanda (“Credi nella vita dopo la morte?”) è per forza di cose una semplificazione.
Nonostante ciò, questo studio rappresenta un passo avanti importantissimo. È il primo a usare dati multinazionali così ampi per esplorare le radici infantili della credenza nell’aldilà. Ci mostra che una combinazione di fattori – pratica religiosa giovanile, esperienze di vita (anche difficili), relazioni familiari e caratteristiche individuali come genere ed età – sembra giocare un ruolo. Ma ci ricorda anche, con forza, che il modo in cui questi fattori interagiscono è profondamente influenzato dal contesto culturale in cui cresciamo.
Insomma, la prossima volta che vi troverete a riflettere sulla vita dopo la morte, magari penserete anche a come le vostre esperienze da bambini potrebbero aver contribuito a formare le vostre convinzioni attuali. È un viaggio affascinante nella psicologia umana, nella sociologia e nella spiritualità, non trovate?
Fonte: Springer
