Visualizzazione 3D fotorealistica del cervello umano con un craniofaringioma evidenziato vicino all'ipofisi e ai nervi ottici, illuminazione drammatica laterale, stile cinematografico, obiettivo 50mm.

Craniofaringioma nei Bambini: Chirurgia Aggressiva, Sì o No? Il Pendolo Oscilla Ancora

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento tanto delicato quanto affascinante nel campo della neurochirurgia pediatrica: il craniofaringioma nei bambini. È un tumore cerebrale raro, tecnicamente benigno, ma che dà un sacco di filo da torcere a noi medici e, soprattutto, ai piccoli pazienti e alle loro famiglie. Perché? Beh, cresce in una zona del cervello davvero “trafficata”, vicino a strutture vitali come i nervi ottici, l’ipotalamo e l’ipofisi. Questo significa che sia il tumore stesso, sia il tentativo di rimuoverlo, possono causare problemi seri e duraturi.

La Sfida del Trattamento: Aggressività vs Conservazione

Per anni, la comunità medica si è interrogata sulla strategia migliore. Da un lato, c’è l’idea di un approccio chirurgico aggressivo: togliere tutto il tumore per cercare di ottenere una guarigione definitiva. Sembra logico, no? È un tumore benigno, se lo togli tutto, il problema è risolto. Peccato che “togliere tutto” in quella zona così delicata significhi rischiare danni permanenti, soprattutto all’ipotalamo (che regola fame, sete, sonno, ormoni…) e ai nervi ottici.

Dall’altro lato, c’è l’approccio più conservativo: rimuovere solo una parte del tumore, quel tanto che basta per ridurre i sintomi più urgenti, e poi affidarsi alla radioterapia per controllare la parte rimasta. Questo riduce i rischi chirurgici immediati, ma introduce i problemi legati alla radioterapia (specialmente nei bambini piccoli) e non sempre garantisce il controllo a lungo termine della malattia. Se non si fa la radioterapia dopo una rimozione parziale, il rischio che il tumore ricresca è molto alto.

È come un pendolo, capite? Per decenni, l’orientamento è oscillato tra questi due estremi: prima la chirurgia radicale, poi un periodo di maggiore cautela con rimozioni parziali e radioterapia o terapie intracistiche (come chemio iniettata direttamente nella cisti del tumore), e ora… beh, sembra che il pendolo stia tornando a oscillare verso un approccio più aggressivo, almeno in centri con grande esperienza.

L’Esperienza Recente di Lione: Uno Sguardo da Vicino

Proprio su questo tema, mi sono imbattuto in uno studio recente molto interessante condotto a Lione, in Francia. Hanno analizzato retrospettivamente 26 bambini operati per craniofaringioma tra il 2010 e il 2023, con l’obiettivo primario di una rimozione chirurgica totale. I risultati sono davvero spunto di riflessione.

Prima di tutto, i dati pre-operatori: quasi la metà dei bambini arrivava alla diagnosi con sintomi di ipertensione intracranica (mal di testa, vomito), altri con problemi di vista (circa il 53%) o disturbi endocrini come deficit di crescita (65%) o problemi alla tiroide (42%) o surrene (38%). Un dato importante: già prima dell’intervento, il 35% dei bambini era in sovrappeso o obeso, e questo era più frequente nei casi in cui il tumore coinvolgeva l’ipotalamo (classificati come tipo 1 o 2 secondo Puget). Questo coinvolgimento ipotalamico si è rivelato un fattore di rischio chiave non solo per i problemi pre-operatori, ma anche per le complicanze successive.

Immagine macro ad alta definizione di un modello 3D di craniofaringioma vicino all'ipotalamo e ai nervi ottici, illuminazione controllata per evidenziare la complessità anatomica, obiettivo macro 100mm.

Risultati Chirurgici e Complicanze: Luci e Ombre

L’équipe di Lione è riuscita a ottenere una rimozione macroscopicamente completa nell’88% dei casi, verificata con la risonanza magnetica post-operatoria precoce. Un risultato notevole! La stragrande maggioranza degli interventi (96%) è stata eseguita per via transcranica (l’approccio “dall’alto”), preferendo l’approccio pterionale sottofrontale che, secondo loro, offre una buona visuale delle strutture chiave. L’endoscopia transnasale (dal naso) è stata usata solo in un caso primario e per due recidive, ritenendola più adatta a lesioni piccole e sulla linea mediana, ma meno indicata per i tumori grandi e laterali tipici dei bambini, per via dei rischi di fistola liquorale e infezioni.

Ma veniamo alle note dolenti: le complicanze. Dopo l’intervento, i deficit endocrini sono diventati quasi la norma:

  • Deficit dell’ormone della crescita (GH): 88% (era 65% prima)
  • Deficit tiroideo (TSH): 96% (era 42% prima)
  • Deficit surrenalico (ACTH): 96% (era 38% prima)
  • Diabete insipido (problemi a regolare i liquidi): 96% (era 11% prima)

Quasi tutti i bambini, quindi, hanno avuto bisogno di terapie ormonali sostitutive a vita. Un fenomeno particolare osservato è stata la “disfunzione idroelettrolitica trifasica” post-operatoria in molti pazienti (65%), una complessa altalena tra diabete insipido, secrezione inappropriata di ormone antidiuretico (SIADH) e di nuovo diabete insipido persistente, che richiede una gestione molto attenta in terapia intensiva.

E l’obesità? Dopo l’intervento, la percentuale di bambini sovrappeso/obesi è aumentata, passando dal 35% al 40% a 6 mesi e al 56% a 1 anno. C’è stato poi un leggero calo al 50% a 2 anni, forse grazie all’intervento multidisciplinare (dietologi, fisioterapisti, psicologi) introdotto nel centro. Questo sottolinea come l’obesità sia un problema complesso, legato sì al danno ipotalamico, ma influenzato anche da fattori educativi e comportamentali della famiglia.

Ritratto fotografico di un bambino preadolescente in una clinica pediatrica, espressione pensierosa, luce soffusa, profondità di campo ridotta per focalizzare sul bambino, obiettivo prime 35mm, toni duo blu e grigio.

Recidive e Qualità della Vita: Il Bilancio Finale

Nonostante l’aggressività chirurgica, 6 bambini (23%) hanno avuto una recidiva del tumore durante il follow-up (mediana 5.2 anni). Quattro di questi sono stati rioperati rapidamente, e tutti e sei hanno poi ricevuto protonterapia (una forma di radioterapia più mirata). È un tasso di recidiva non trascurabile, ma in linea con altre casistiche dopo rimozione totale.

E la qualità della vita? Qui i dati sono contrastanti ma, nel complesso, incoraggianti. Dal punto di vista visivo, sebbene il 53% avesse problemi prima, dopo l’intervento la percentuale è scesa al 35%, indicando che in alcuni casi la decompressione ha portato a un miglioramento. Dal punto di vista neuropsicologico, i test effettuati su 15 bambini a distanza dall’intervento hanno mostrato punteggi di intelligenza globalmente nella norma. Quasi tutti (96%) frequentavano un percorso scolastico normale o adattato. Tuttavia, sono emerse difficoltà specifiche in alcuni:

  • Deficit di memoria (42% dei testati)
  • Problemi di attenzione e controllo esecutivo (difficoltà a iniziare compiti, controllare le emozioni, passare da un’attività all’altra)
  • Faticabilità patologica (25%)
  • Ansia (20%)

È interessante notare che, nonostante i buoni punteggi cognitivi generali, molti di questi bambini vivevano un forte disagio sociale, con tendenza all’isolamento. Questo suggerisce che il follow-up psicologico e il supporto sociale sono fondamentali e forse ancora insufficienti.

Allora, il Pendolo Ha Ragione a Tornare Indietro?

Lo studio di Lione sembra suggerire di sì, *ma con molte cautele*. In mani esperte, una chirurgia aggressiva mirata alla rimozione totale può offrire una buona possibilità di cura definitiva per questo tumore benigno, con risultati neuropsicologici globali accettabili e una buona integrazione scolastica per la maggior parte dei bambini. Questo anche a fronte di sequele endocrinologiche quasi certe e di un rischio non nullo di peggioramento visivo o recidiva.

La chiave sembra essere l’esperienza chirurgica (per preservare al massimo le delicate strutture ipotalamiche e i vasi perforanti, la cui lesione è spesso causa dei danni maggiori) e un approccio multidisciplinare intensivo nel post-operatorio. Gestire il diabete insipido, l’obesità, i deficit ormonali multipli e fornire un supporto psicologico adeguato al bambino e alla famiglia è tanto importante quanto l’atto chirurgico stesso.

Fotografia di un team medico multidisciplinare (neurochirurgo, endocrinologo, psicologo) che discute una cartella clinica in una sala riunioni luminosa, stile documentaristico, obiettivo zoom 24-70mm.

Certo, la speranza è che in futuro gli studi molecolari (che stanno identificando sottotipi diversi di craniofaringioma, come l’adamantinomatoso più comune nei bambini e legato alla via WNT/beta-catenina, e il papillare più frequente negli adulti e spesso con mutazione BRAF V600E) portino a terapie mediche mirate che possano sostituire o affiancare la chirurgia, riducendone i rischi. Ma fino ad allora, la strategia della “safe maximal surgery” (rimozione massima possibile in sicurezza), puntando alla resezione completa quando fattibile, sembra rimanere un’opzione valida e forse preferibile alla rimozione parziale seguita da radioterapia, specialmente nei bambini molto piccoli.

Il pendolo, quindi, continua a oscillare, guidato dall’esperienza, dalla tecnologia e dalla costante ricerca del miglior equilibrio possibile tra cura della malattia e qualità della vita per questi piccoli, coraggiosi pazienti.

Fonte: Springer

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