Grafico scientifico stilizzato che mostra due curve ascendenti su assi cartesiani: una per l'IFR (Infection Fatality Rate) e una per l'IHR (Infection Hospitalization Rate), entrambe correlate positivamente all'aumento dell'incidenza di COVID-19 sull'asse orizzontale. Lo sfondo è un'immagine astratta e sfocata di particelle virali stilizzate. Colori dominanti blu e grigio in duotone, alta definizione, obiettivo prime 50mm, illuminazione da laboratorio.

COVID-19: Incidenza e Mortalità nella Prima Ondata, C’entra Davvero Solo il Sovraccarico Ospedaliero?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che ci ha tenuto col fiato sospeso durante la prima, terribile ondata della pandemia di COVID-19: il legame tra quanto il virus circolava (l’incidenza) e il rischio di morire una volta infettati (il famoso IFR, Infection Fatality Rate). Ricordate la paura degli ospedali al collasso? Ecco, molti studi hanno subito puntato il dito lì: più casi ci sono, più gli ospedali si sovraccaricano, meno riescono a curare bene tutti, e quindi l’IFR sale. Logico, no? Beh, forse non è *tutta* qui la storia.

Una Lente d’Ingrandimento sulla Francia

Abbiamo deciso di andare a fondo della questione, prendendo come caso studio la Francia durante quella prima fase critica. Ci siamo basati su un’indagine sierologica enorme, la SAPRIS-SERO, che ha coinvolto ben 82.467 campioni raccolti tra maggio e novembre 2020. L’idea era semplice: usare questi dati per capire meglio la reale diffusione del virus (l’incidenza cumulativa) nei vari dipartimenti francesi e vedere come questa si collegasse all’IFR.

Per farlo, non ci siamo accontentati di semplici correlazioni. Abbiamo messo in piedi un modello statistico piuttosto sofisticato, un modello Bayesiano gerarchico con smoothing spaziale (lo so, suona complicato, ma in pratica ci aiuta a tenere conto delle incertezze e delle differenze geografiche in modo più intelligente). E, cosa fondamentale, abbiamo “aggiustato” i nostri calcoli per tenere conto di fattori che potevano confondere le acque, come:

  • Il numero di posti letto in terapia intensiva per abitante (prima della pandemia).
  • L’età media della popolazione in ogni dipartimento.
  • La prevalenza del diabete (usata un po’ come spia per l’obesità, altro fattore di rischio noto).

L’Ipotesi Sotto Esame: Ospedali al Limite?

La nostra ipotesi di partenza, basata sulla vulgata comune, era questa: nelle zone con altissima incidenza, il sovraccarico ospedaliero avrebbe fatto schizzare l’IFR alle stelle, ma *senza* necessariamente aumentare la probabilità di essere ricoverati se infetti (l’IHR, Infection Hospitalization Rate). Anzi, se gli ospedali fossero stati davvero strapieni e avessero dovuto “respingere” pazienti meno gravi, l’IHR sarebbe dovuto addirittura diminuire o rimanere stabile. Aveva senso, no? Se non ci sono letti, non ti ricoverano, anche se forse dovrebbero. Oppure, ti ricoverano in strutture temporanee meno efficaci, e il rischio di morire aumenta comunque.

Fotografia realistica di una mappa stilizzata della Francia con aree colorate in diverse tonalità di rosso per indicare l'incidenza del COVID-19 durante la prima ondata, focus nitido sui confini dei dipartimenti, illuminazione controllata da studio, obiettivo macro 80mm, alta definizione.

Risultati che Fanno Riflettere

E qui arrivano i dati, quelli veri. Abbiamo scoperto che, effettivamente, un aumento dell’incidenza era associato a un aumento dell’IFR. Per darvi un’idea: passare da un’incidenza del 3% a una del 9% in un dipartimento faceva salire l’IFR medio dallo 0.42% all’1.14%. Una bella differenza, quasi triplicato! Fin qui, tutto come previsto, penserete voi.

Ma ecco il colpo di scena: nello stesso scenario (incidenza dal 3% al 9%), anche l’IHR (la probabilità di finire in ospedale se infetto) aumentava in modo significativo, passando dall’1.66% al 3.61%. Praticamente, IFR e IHR aumentavano di pari passo! Questo risultato mette un po’ in crisi l’idea che il problema principale fosse la *mancanza di letti* o il rifiuto dei pazienti. Se così fosse stato, l’IHR non sarebbe dovuto salire così tanto, anzi.

E se la Chiave Fosse l’Età degli Infetti?

Allora, cosa sta succedendo? Abbiamo scavato ancora un po’ e abbiamo trovato un altro pezzo del puzzle, forse quello decisivo. Abbiamo notato che nei dipartimenti con incidenza più alta, la proporzione di persone sopra i 60 anni tra gli infetti era significativamente maggiore. Ad esempio, passando da un’incidenza del 6% a una del 12% nella fascia sotto i 60 anni, la percentuale di over 60 tra tutti gli infetti saliva dall’11.6% al 17.4%.

Questa scoperta cambia le carte in tavola. Sappiamo tutti che il COVID-19 è stato molto più severo con le persone anziane. Un aumento dell’età media degli infetti porta *naturalmente* a un aumento sia del rischio di ospedalizzazione (IHR) sia del rischio di morte (IFR). Quindi, l’aumento dell’IFR che abbiamo osservato nelle zone ad alta incidenza potrebbe essere spiegato, in gran parte, non tanto (o non solo) dal sovraccarico ospedaliero in sé, quanto dal fatto che in quelle zone il virus aveva raggiunto una fetta più ampia e più vulnerabile della popolazione: gli anziani.

Fotografia realistica in bianco e nero di un letto d'ospedale vuoto in un corridoio lungo e scarsamente illuminato, evocando un senso di solitudine e potenziale sovraccarico, stile film noir, profondità di campo accentuata, obiettivo 35mm, focus selettivo sul cuscino.

Cosa Ci Dice Questo Studio (e Cosa Non Dice)

Attenzione, questo non significa che il sovraccarico ospedaliero non sia stato un problema reale e drammatico. Lo è stato eccome, e altri studi focalizzati proprio sull’ambiente ospedaliero lo hanno dimostrato. Il nostro lavoro, però, guardando i dati a livello di popolazione generale e usando i tassi di infezione reali (stimati con i test sierologici, non solo i casi confermati), suggerisce che l’equazione “alta incidenza = ospedali pieni = più morti” potrebbe essere troppo semplicistica. C’è un fattore potentissimo in gioco: chi si infetta.

Il nostro approccio Bayesiano ci ha permesso di gestire meglio le incertezze (stimare l’incidenza reale non è banale!) ed evitare correlazioni “spurie”. Concentrarci sulla Francia ha eliminato le differenze tra sistemi sanitari e politiche di paesi diversi, che complicano i confronti internazionali.

Certo, anche il nostro studio ha dei limiti. È focalizzato sulla Francia, quindi generalizzare ad altri contesti va fatto con cautela. Le nostre ipotesi causali sono una semplificazione della realtà. E non abbiamo potuto analizzare la dinamica *temporale* all’interno della prima ondata, ma ci siamo basati sull’incidenza cumulativa. Inoltre, i dati sui decessi includono quelli nelle case di riposo, dove le decisioni sul ricovero in terapia intensiva possono seguire logiche diverse, indipendenti dal sovraccarico.

In Conclusione: Rileggere il Passato per Capire Meglio

Alla fine della fiera, cosa ci portiamo a casa? Che sì, dove il virus ha colpito più duro durante la prima ondata, il rischio di morire per chi si infettava è aumentato. Ma il nostro studio suggerisce fortemente che una parte importante di questo aumento sia legata al fatto che, con l’aumentare della circolazione virale, sono state colpite persone più anziane e fragili. L’aumento parallelo di IFR e IHR punta in questa direzione, più che verso un semplice effetto “tappo” degli ospedali.

Questo ci invita a rileggere con occhio critico alcuni studi passati che collegavano direttamente i casi confermati o il carico ospedaliero all’aumento della mortalità, senza magari considerare a fondo l’età *reale* delle persone infette in quelle aree. Non è una verità assoluta, ma uno spunto importante per capire meglio le complesse dinamiche di una pandemia. E voi, cosa ne pensate?

Fonte: Springer

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