COVID e Bambini: Vi Racconto Cosa Abbiamo Scoperto Davvero sulle Ondate!
Ciao a tutti! Oggi voglio chiacchierare con voi di un argomento che, ammettiamolo, all’inizio della pandemia ci ha un po’ tutti tratti in inganno: il COVID-19 e i nostri bambini. Ricordate? Si diceva che i più piccoli fossero quasi immuni, che al massimo avessero sintomi lievi. Beh, le cose, come spesso accade nella scienza, si sono rivelate un po’ più complesse. E ora vi racconto cosa abbiamo imparato da uno studio approfondito che ha analizzato la situazione attraverso ben cinque ondate pandemiche.
All’inizio era il “quasi nulla”… o così credevamo
Quando il SARS-CoV-2 ha iniziato a fare il giro del mondo, l’attenzione era tutta concentrata sugli adulti, soprattutto sugli anziani e sulle persone con altre patologie. I bambini sembravano essere i meno colpiti, con quadri clinici spesso non allarmanti. Questo ha portato, un po’ ovunque, a testarli meno. Ma, come dice il proverbio, l’apparenza inganna! Uno studio retrospettivo condotto a Lahore, in Pakistan, presso il Provincial Public Health Reference Lab, ha voluto vederci più chiaro, analizzando tamponi nasofaringei e orofaringei di ben 21.562 bambini, indipendentemente dalla presenza di sintomi, tra ottobre 2020 e settembre 2023. Un lavorone, ve lo assicuro!
I numeri che non ti aspetti: la vera incidenza nei più piccoli
Ebbene, tenetevi forte: complessivamente, è stata osservata una positività del 6,5%. Non proprio bruscolini, eh? E la cosa interessante è che il picco di casi, l’8,3%, si è registrato durante la quinta ondata. Ma andiamo con ordine, perché le diverse fasce d’età hanno risposto in modo diverso.
Analizzando i dati, è emerso un quadro piuttosto variegato:
- I piccolissimi (0-1 anno) sono stati i meno colpiti in generale. Un sospiro di sollievo, almeno parziale.
- Durante la quinta ondata, la fascia d’età 2-5 anni ha mostrato l’incidenza più alta, con un bel 3,39%. Immaginatevi l’asilo nido o la scuola materna in quel periodo!
- Dopo la quinta ondata, invece, i più colpiti sono stati i bambini tra i 6 e i 10 anni, con un’incidenza del 3%.
- I più grandicelli, tra gli 11 e i 18 anni, hanno avuto il loro picco di positività (2,11%) durante la terza ondata.
Insomma, la situazione è stata dinamica, con diverse fasce d’età che si sono “passate il testimone” come le più colpite a seconda dell’ondata e, presumibilmente, della variante circolante.
Le ondate e le varianti: un ballo continuo
Il Pakistan, come il resto del mondo, ha affrontato diverse ondate, ognuna caratterizzata da varianti specifiche del virus: Alpha, Beta, Gamma, Delta, Omicron… un vero e proprio alfabeto greco che ha messo a dura prova i sistemi sanitari e la nostra pazienza. Ogni variante, con le sue mutazioni, cercava di eludere la risposta immunitaria, aumentare la trasmissibilità e superare gli effetti della vaccinazione. Un vero incubo per la salute globale e l’economia.
Lo studio ha evidenziato che i bambini sono stati infettati maggiormente durante la quinta ondata, seguita dalla sesta (anche se non dichiarata formalmente), terza, quarta e seconda. È interessante notare come, anche dopo la fine ufficiale della pandemia dichiarata dall’OMS, la fascia 6-10 anni continuasse a mostrare il tasso di positività più alto (3%). Questo ci dice che il virus non scompare con un decreto, ma continua a circolare.
Inizialmente, la bassa percentuale di casi diagnosticati nei bambini (1-5%) era dovuta anche al fatto che presentavano sintomi più lievi o addirittura assenti. Questo ha creato una falsa percezione di bassa positività. Pensate che una revisione sistematica di articoli scientifici aveva già riportato un tasso di infezione tra il 15% e il 42% nei bambini asintomatici! Questo studio pakistano ha quindi confermato la necessità di testare la popolazione pediatrica, anche senza sintomi evidenti, per avere un quadro reale della diffusione.

Il governo pakistano ha adottato misure importanti, come la chiusura delle frontiere, restrizioni ai viaggi, lockdown intelligenti, chiusura di scuole e mercati, oltre a fornire vaccinazioni gratuite e assistenza sanitaria. Un tassello fondamentale è stata la creazione di laboratori di Biosicurezza di Livello III (BSL-III), dove venivano inviati i campioni per i test COVID-19, inclusi quelli provenienti dall’Ospedale Pediatrico e Istituto di Salute Infantile di Lahore, il più grande del Pakistan.
Maschietti più colpiti? Una questione di recettori?
Un altro dato emerso dallo studio è che i maschietti (855 casi positivi) sono risultati più frequentemente colpiti dal COVID-19 rispetto alle femminucce (558 casi positivi) in tutte le fasce d’età. Questa predominanza maschile non è una novità assoluta; è stata osservata anche in altri paesi asiatici come Cina, India e Iran. Una delle ipotesi scientifiche per spiegare questa differenza riguarda la maggiore espressione del gene della proteina ACE-2 nei maschi. L’ACE-2, per chi non lo sapesse, è il recettore a cui il virus SARS-CoV-2 si lega per entrare nelle nostre cellule. Più recettori, più porte d’ingresso per il virus, potremmo semplificare.
L’evoluzione dell’infezione: dai più grandi ai più piccoli
Nelle prime ondate, come abbiamo visto, gli adolescenti (11-18 anni) mostravano tassi di positività più alti rispetto ai bambini più piccoli. Questo trend è stato confermato anche da studi in USA e Ontario. Sembrava quasi che i più piccoli fossero più “protetti”.
Tuttavia, con la diffusione di varianti più virulente come la Delta e l’Omicron, e con la campagna vaccinale inizialmente limitata agli adulti, l’apertura delle scuole e l’allentamento delle restrizioni, la situazione è cambiata. L’attenzione si è spostata sui bambini più piccoli, con un aumento dei test indipendentemente dai sintomi e, in alcuni casi, dei ricoveri. Questo ha sottolineato l’urgenza di estendere la vaccinazione anche a loro.
Lo studio pakistano ha infatti rilevato che i bambini più piccoli, della fascia 6-10 anni, hanno mostrato una maggiore positività (2,08%) durante la quarta ondata (dominata dalla Delta), e i bambini di 2-5 anni sono stati i più infettati (3,39%) durante la quinta ondata (Omicron). Addirittura, la sesta ondata di Omicron ha colpito maggiormente la fascia 6-10 anni, che è risultata la più comunemente affetta considerando tutte le ondate nel complesso. Tendenze simili sono state osservate anche nel Regno Unito con la Delta (aumento di cinque volte dell’infezione nei bambini non vaccinati 5-12 anni), in Ucraina (alto numero di bambini 5-10 anni colpiti dalla Delta) e in Sud Africa (bambini sotto i 5 anni più colpiti dall’Omicron).

Il contesto pakistano e le lezioni apprese
Nonostante sia il quinto paese più popoloso al mondo, il Pakistan si colloca al 51° posto tra i paesi che hanno affrontato il COVID-19, con circa 1,6 milioni di casi a febbraio 2024. Questa incidenza relativamente più bassa potrebbe essere attribuita ai lockdown intelligenti e, bisogna dirlo, anche a un numero di test inferiore rispetto ad altri paesi (il Pakistan è al 103° posto su 132 per capacità di test). La minore incidenza di positività riscontrata in questo studio potrebbe quindi essere influenzata anche da questi fattori e dal fatto che i dati provengono da un singolo ospedale del Punjab.
È interessante notare le variazioni regionali: sebbene la maggior parte dei campioni provenisse da Lahore, la sua incidenza di positività (7%) era inferiore a quella di aree come Rajanpur e Multan (15%). Questo potrebbe dipendere dal fatto che nelle aree più remote si tendeva a testare solo i bambini sintomatici, concentrando i test sui casi sospetti.
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Che il COVID-19 ha colpito i bambini meno gravemente degli adulti, è vero, ma non li ha risparmiati. Che c’è stata un’evoluzione: nelle prime ondate erano più colpiti gli adolescenti, poi, con le nuove varianti, il testimone è passato ai più piccoli (6-10 anni). E che i maschietti sembrano essere stati più suscettibili.
La lezione più importante è che non bisogna mai abbassare la guardia. Studi recenti indicano che le nuove varianti del SARS-CoV-2 stanno mostrando una prevalenza crescente tra le fasce d’età più giovani. Questo significa che dobbiamo intensificare i test e le strategie vaccinali, soprattutto per loro. La partita non è ancora finita, e capire come il virus si muove tra i più piccoli è fondamentale per proteggerli al meglio.
Fonte: Springer
