Foresta rigogliosa accanto a un campo agricolo arato, separati da una linea netta, simboleggiando il concetto di uso del suolo e il confronto tra stato naturale e antropizzato. Fotografia paesaggistica, obiettivo grandangolare 20mm, luce naturale del tardo pomeriggio che crea contrasto, messa a fuoco nitida su entrambi gli elementi per evidenziare la dicotomia.

Costo Opportunità del Carbonio (COC): Occhio al Doppio Conteggio nell’Impronta Ambientale!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che sta facendo discutere parecchio nel mondo della sostenibilità e della valutazione ambientale dei prodotti: il cosiddetto Costo Opportunità del Carbonio, o COC (Carbon Opportunity Cost). Recentemente, se ne è parlato anche nelle bozze di aggiornamento del metodo PEF (Product Environmental Footprint) della Commissione Europea, ma, come spesso accade, non è tutto oro quello che luccica. Anzi, vi dirò di più: questo approccio nasconde delle insidie non da poco, soprattutto il rischio di fare un bel pasticcio chiamato “doppio conteggio”.

Parliamoci chiaro: quando valutiamo l’impatto ambientale di un prodotto, specialmente con metodologie come l’Analisi del Ciclo di Vita (LCA), la precisione è fondamentale. Vogliamo capire quanta “zavorra” ambientale ci portiamo dietro con un certo bene o servizio. Introdurre metodi che rischiano di gonfiare questi numeri, beh, non è proprio il massimo. E il COC, secondo me e molti esperti, rischia proprio questo.

Ma cos’è esattamente questo Costo Opportunità del Carbonio?

In parole povere, l’approccio COC si basa sull’idea del “mancato sequestro di carbonio”. Cosa significa? Immaginate un terreno agricolo. Se invece di coltivarlo lo lasciassimo tornare al suo stato naturale, magari ridiventando una foresta, quella vegetazione assorbirebbe CO2 dall’atmosfera. Il COC cerca di quantificare proprio questo carbonio che non viene assorbito perché noi continuiamo a usare quel terreno per le nostre attività. Solitamente, si calcola la differenza tra lo stock di carbonio che ci sarebbe nella “vegetazione naturale potenziale” (PNV – Potential Natural Vegetation) e quello attuale del terreno coltivato. Sembra interessante, vero? Misurare l’impatto di ciò che *non* lasciamo accadere. Ma è qui che iniziano i problemi.

Il Problema Principale: Il Rischio del Doppio Conteggio

Il cuore della questione sta nel fatto che l’approccio COC rischia di sovrapporsi a un altro metodo già consolidato e utilizzato nell’LCA e nel PEF: l’approccio basato sulla trasformazione del suolo (Land Transformation). Quest’ultimo calcola le emissioni (o gli assorbimenti) di carbonio che avvengono quando un terreno cambia uso, ad esempio da foresta a campo coltivato. Il punto di partenza (la baseline) è solitamente lo stock di carbonio storico, quello della vegetazione naturale originaria. Queste emissioni vengono poi “spalmate” sui prodotti ottenuti da quel terreno per un certo periodo (periodo di ammortamento, di solito 20 anni).

Ora, pensateci:

  • L’approccio della trasformazione calcola il carbonio emesso quando si passa dalla vegetazione storica all’uso attuale.
  • L’approccio COC calcola il carbonio non sequestrato perché si mantiene l’uso attuale invece di tornare alla vegetazione potenziale.

Vedete la sovrapposizione? In molti casi, la quantità di carbonio persa con la trasformazione iniziale e quella “persa” per il mancato ritorno alla natura sono, in parte o totalmente, la stessa cosa! Se usiamo entrambi i metodi contemporaneamente nello stesso studio LCA, finiamo per contare due volte lo stesso impatto sul clima. È come pagare due volte la stessa bolletta: il risultato finale è gonfiato e non rappresenta la realtà. Questo va contro principi fondamentali dell’LCA come l’additività (gli impatti delle varie fasi devono potersi sommare senza sovrapposizioni).

Grafico comparativo stilizzato che mostra una barra per lo stock di carbonio storico, una più bassa per l'uso attuale del suolo (es. agricolo), e una più alta per la vegetazione naturale potenziale (PNV). Frecce indicano la perdita di carbonio (Land Transformation, freccia rossa verso l'alto dalla barra storica a quella attuale) e il sequestro perso (COC, freccia blu tratteggiata verso il basso dalla barra PNV a quella attuale), evidenziando visivamente l'area di sovrapposizione tra le due misure. Alta definizione, illuminazione controllata, stile infografica.

Land Transformation vs. COC: Due Metodi a Confronto

Ricapitoliamo le differenze chiave:

  • Approccio Land Transformation:
    • Baseline: Stock di carbonio storico (vegetazione naturale originaria).
    • Misura: Emissioni/assorbimenti dovuti al passaggio da uno stato all’altro.
    • Tipo di Impatto: Considerato antropogenico (causato dall’uomo) rispetto a una baseline naturale.
    • Compatibilità LCA Attribuzionale: Generalmente buona.
  • Approccio COC (Standard):
    • Baseline: Stock di carbonio della Vegetazione Naturale Potenziale (PNV).
    • Misura: Sequestro di carbonio “perso” a causa del mantenimento dell’uso attuale.
    • Tipo di Impatto: Misura un’opportunità mancata, confrontando l’impatto antropico non con la natura originaria, ma con una potenziale rigenerazione futura.
    • Compatibilità LCA Attribuzionale: Problematica (rischio doppio conteggio, baseline non storica).

Come evidenziato anche da studiosi come Brander (2015, 2016), il rischio di contare due volte lo stesso cambiamento nello stock di carbonio è concreto se si applicano entrambi gli approcci. Non importa se il periodo di ammortamento delle emissioni da trasformazione iniziale sia ancora in corso o sia già passato: il carbonio “mancato” secondo il COC include, per definizione, quello perso con la trasformazione.

Un’Alternativa Proposta: Il COC “Aggiuntivo”

Per cercare di superare il problema del doppio conteggio, è stata proposta una variante: il COC “aggiuntivo”. L’idea è calcolare la differenza non tra PNV e uso attuale, ma tra PNV e lo stock di carbonio storico. In pratica, si quantificherebbe solo il sequestro “extra” che la natura potrebbe realizzare oggi (magari grazie a fattori come il riscaldamento globale o la fertilizzazione da CO2) rispetto a quanto faceva in passato, se non ci fossero le attività umane.

Questo approccio “aggiuntivo” sembrerebbe, in linea di principio, sommabile a quello della trasformazione senza creare sovrapposizioni. Se la PNV ha uno stock di carbonio maggiore di quello storico, allora c’è un “mancato sequestro aggiuntivo” che potremmo considerare. Bello, no? Purtroppo, anche qui le cose non sono semplici.

Perché il COC Standard Non Va Bene per l’LCA Attribuzionale?

L’LCA attribuzionale, che è la base del metodo PEF, mira a quantificare gli impatti ambientali antropogenici (causati dall’uomo) rispetto a una baseline naturale, non antropogenica. L’approccio della trasformazione del suolo rientra in questa logica: misura l’effetto dell’azione umana (cambiare l’uso del suolo) rispetto allo stato naturale precedente.

L’approccio COC standard, invece, confronta l’uso attuale con una potenziale rigenerazione futura (PNV). Misura, come dice Brander, un “mancato sequestro antropogenico“, perché questo sequestro avverrebbe solo se cessassero le attività umane che hanno già modificato il territorio. Non confronta direttamente con la baseline naturale originaria. Per questo motivo, non si sposa bene con la filosofia dell’LCA attribuzionale, anche se potrebbe avere senso in studi di tipo “consequenziale” (che valutano le conseguenze di scelte alternative).

Il COC “aggiuntivo”, invece, misurando la differenza tra PNV e stock storico, rappresenterebbe un “mancato sequestro non-antropogenico“, cioè un potenziale naturale che non si realizza a causa nostra. Questo, in teoria, sarebbe compatibile con l’LCA attribuzionale. Ma, come vedremo, le difficoltà pratiche sono enormi.

Fotografia macro di un campione di suolo fertile tenuto tra le mani guantate di un ricercatore in un campo agricolo. Sullo sfondo, sfocata, si intravede una foresta lussureggiante. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, messa a fuoco precisa sul suolo, luce naturale controllata, per simboleggiare l'analisi dettagliata richiesta e l'incertezza dei dati storici e potenziali.

Incertezze e Limiti Pratici: Perché Essere Scettici?

Al di là del doppio conteggio, entrambi gli approcci COC (standard e aggiuntivo) soffrono di grandi incertezze:

  • Stima del PNV: Quantificare lo stock di carbonio della vegetazione naturale potenziale è molto difficile. Può essere maggiore, uguale o minore di quello storico a causa di cambiamenti climatici, disturbi naturali, effetto fertilizzante della CO2, ecc. Le stime sono spesso molto incerte.
  • Stima dello Stock Storico: Anche conoscere con precisione quanto carbonio c’era in origine può essere complicato. Questa incertezza è meno critica per l’approccio della trasformazione (che guarda al cambiamento rispetto allo stato precedente), ma diventa cruciale per il COC “aggiuntivo”, che si basa proprio sulla differenza tra PNV e storico. Se non possiamo stimare bene entrambi, il risultato è poco affidabile.
  • Tempo di Rigenerazione: Quanto tempo ci metterebbe un terreno a tornare al suo stato PNV? E come “spalmare” questo mancato sequestro nel tempo (ammortamento)? Le scelte sono soggettive e influenzano molto i risultati, rendendoli difficili da interpretare e confrontare.
  • Nessun Incentivo contro la Deforestazione Recente: Un aspetto critico è che il COC non distingue tra un cambio d’uso avvenuto 100 anni fa e uno avvenuto l’anno scorso. Darebbe lo stesso “costo opportunità” a un campo coltivato su ex-foresta da secoli e a uno su foresta appena abbattuta. Questo non incentiva affatto a fermare la deforestazione attuale, a differenza dell’approccio della trasformazione che penalizza i cambi d’uso recenti.

È vero che il COC potrebbe incentivare un uso più efficiente del suolo, ma questo tipo di valutazione a livello di scenario va oltre lo scopo del PEF, che si concentra sull’impronta di un prodotto specifico lungo la sua filiera.

La Mia Raccomandazione (e Quella degli Esperti)

Considerando il rischio concreto di doppio conteggio con l’approccio COC standard, la sua incompatibilità di fondo con i principi dell’LCA attribuzionale su cui si basa il PEF, e le grandi incertezze metodologiche e la limitata utilità pratica anche della versione “aggiuntiva”, la mia conclusione è netta: meglio tenere gli approcci COC fuori dal metodo PEF della Commissione Europea.

L’approccio basato sulla trasformazione del suolo, pur con le sue sfide, è più coerente, consolidato e meno soggetto a questi problemi specifici. Gonfiare artificialmente gli impatti con il doppio conteggio non aiuta nessuno, né le aziende né l’ambiente. Continuiamo a lavorare per migliorare i metodi esistenti, ma evitiamo di introdurre complicazioni che rischiano di minare l’affidabilità delle valutazioni ambientali.

E voi, cosa ne pensate? Avete incontrato questo approccio nei vostri studi o nel vostro lavoro? Fatemelo sapere!

Fonte: Springer

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